Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27292 del 25/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27292 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OLIVIERI CRISTIAN N. IL 27/09/1989
avverso l’ordinanza n. 434/2014 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
13/06/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
Us cez.
lette/se le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/03/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza resa in data 7 luglio 2014 la Corte di appello di Napoli,
quale giudice dell’esecuzione, in accoglimento dell’istanza formulata da Christian
Olivieri rideterminava la pena inflitta al medesimo con la sentenza della stessa
Corte 27/4/2011, irrevocabile il 6/11/2013, in anni tre di reclusione ed euro
8000 di multa, con la già ritenuta la diminuente del rito.
2. Nei confronti di Olivieri era stato emesso l’ordine di esecuzione per
l’espiazione della pena di anni 3, mesi 11, giorni 28 di reclusione in relazione alla

1 bis D.P.R. 309 del 1990. Dopo aver richiamato la pronuncia della Corte
Costituzionale n. 32 del 2014 che aveva determinato la “reviviscenza” dell’art. 73
nel testo anteriore alle modifiche apportate dal Decreto Legge 30 dicembre 2005
n. 272, convertito con modificazioni dall’art. 1 comma 1 della Legge 21 febbraio
2006 n. 49, nonché la sentenza 29 maggio 2014 n. 42858, Gatto, la Corte di
appello riteneva che, nella rideterminazione della pena da infliggere in concreto
secondo i più miti limiti edittali, non era vincolata ai parametri utilizzati dal
giudice di merito. La circostanza che nella vigenza della normativa che
prevedeva un più severo trattamento sanzionatorio il giudice della cognizione
avesse ritenuto di applicare il minimo edittale, non impediva al giudice
dell’esecuzione di utilizzare l’intera forbice sanzionatoria prevista dalla legge e
quindi applicare in sede esecutiva una pena superiore al minimo. Osservava il
giudicante che “l’individuazione della pena base entro i limiti edittali, infatti, non
è mai l’operazione neutra ma è sempre condizionata dalla pena in astratto
prevista, sicché la valutazione può cambiare con il mutare dei limiti edittali
previsti dalla legge.”.
Nel caso di specie, in linea con quanto ritenuto dal giudice della cognizione,
la Corte di appello riteneva che la detenzione di un quantitativo rilevante di
stupefacente, avuto riguardo al principio attivo ed al numero di dosi ricavabili,
nonché al ruolo del condannato di essere stato addetto alla coltivazione intensiva
della canapa, imponeva l’applicazione di una pena base superiore al minimo di
legge.
3. Avverso questa ordinanza ha presentato ricorso per cassazione Christian
Olivieri a mezzo del difensore di fiducia deducendo violazione di legge,
sostanziale e processuale, in relazione agli artt. 649 del codice di rito, 2 cod.
pen. e 3 della Costituzione. Sostiene il ricorrente che il giudice aveva violato i
limiti del giudicato, non essendogli consentito in sede esecutiva riesaminare le
valutazioni effettuate in merito alla commisurazione della pena. Il giudice della
cognizione aveva applicato il minimo edittale della norma giudicata
incostituzionale, pari a anni sei di reclusione, e quella valutazione era vincolante
1

condanna ad anni 4 ed euro 18.000 di multa per il reato di cui all’art. 73 comma

anche per il giudice dell’esecuzione, in quanto l’applicazione del minimo era
coperto dal giudicato e non era possibile al giudice dell’esecuzione far rivivere i
margini di discrezionalità esauriti con la fine del giudizio di cognizione.
4. Il Procuratore generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta
ha chiesto il rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato. La Corte di appello non dubita che spetta al giudice

luce della più favorevole cornice edittale applicabile per tali violazioni in
conseguenza della reviviscenza della precedente disciplina determinatasi per
effetto della sentenza della Corte Costituzionale n. 32 del 2014. Il ricorrente
invece pone in discussione l’ambito dei poteri valutativi del giudice
dell’esecuzione e ritiene non superabile che il giudice della cognizione abbia, nel
vigore della disciplina dichiarata incostituzionale, irrogato il minimo edittale.
2. Il Collegio ritiene, innanzi tutto, dì condividere la ratio decidendi della
sentenza delle Sezioni Unite 29/5/2014 n. 42858, Gatto, che, muovendosi nel
solco della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 210 del 2013) e in
consonanza con i principi sviluppati da Sez. U., n. 40910 del 27/09/2005, William
Morales, Rv 232066, ha evidenziato che alla giurisdizione esecutiva sono
riconosciuti «ampi margini di manovra», incidenti anche sul contenuto del titolo
esecutivo, «allorquando imprescindibili esigenze di giustizia, venute in evidenza
dopo l’irrevocabilità della sentenza, lo esigano»; ed ha ribadito che il
procedimento di esecuzione è il mezzo con cui investire il giudice dell’esecuzione
«di tutti quei vizi che, al di là delle specifiche previsioni espresse, non potrebbero
farsi valere altrimenti, considerata l’esigenza di garantire la permanente
conformità a legge del fenomeno esecutivo» (Sez. U., n. 18821 del 2014,
Ercolano). Quanto ai poteri valutativi di cui detto giudice dispone, le Sezioni
Unite Gatto, da un lato, ricordano i penetranti poteri di accertamento e di
valutazione attribuiti dal legislatore a tale organo in materia di concorso formale
e reato continuato (art. 671 cod. proc. pen.), dall’altro richiamano quanto è stato
già affermato dalla Corte di cassazione, sulla razionalità del sistema processuale,
per cui, una volta «che la legge processuale demanda al giudice una determinata
funzione, allo stesso giudice è conferita la titolarità di tutti i poteri necessari
all’esercizio di quella medesima funzione» (Sez. U., n. 4687 del 2006, Catanzaro,
cit.).
3. Applicando il contenuto delle affermazioni operate dalla decisione emessa
dalle Sezioni Unite Gatto al caso della «abrogazione» del trattamento
sanzionatorio vigente all’epoca della decisione perchè contrario a norme
2

dell’esecuzione procedere alla rivalutazione della pena irrogata al ricorrente alla

costituzionali, deve essere riaffermato il principio che rientra nei compiti del
giudice dell’esecuzione procedere alla determinazione della pena, applicando i
criteri di cui agli artt. 132 e 133 cod. pen., dando ragione con adeguata
motivazione dell’opzione adottata, essendogli soltanto preclusa la possibilità di
rettificare in aumento la pena inflitta in sede di cognizione per le singole
fattispecie criminose. Nella sentenza di questa Corte di legittimità Sez. 1, n.
53019 del 2014 è stato chiarito che il profondo mutamento di «cornice»
derivante dalla declaratoria di incostituzionalità rende necessaria – sempre in

in sede esecutiva, “che va compiuto tenendosi conto del «fatto» così come
accertato in cognizione ma non anche dei termini matematici espressi da tale
giudice (in rapporto alla scelta tra minimo e massimo edittale) in una condizione
in realtà «alterata» dalla adozione di un criterio legislativo (legge del 2006) teso
a «parificare» il disvalore di condotte tra loro diverse (in rapporto alla tipologia di
sostanze oggetto delle condotte)”, nel senso che, la rideterminazione in sede
esecutiva della pena inflitta sulla base della norma dichiarata incostituzionale non
può esclude che – con valutazione in concreto e rispettosa del «fatto accertato» il giudice dell’esecuzione possa rivalutarne la valenza in rapporto ai «nuovi» e
profondamente diversi parametri edittali.
4. La Corte di appello ha spiegato con coerenza logico-giuridica le ragioni in
base alle quali i nuovi limiti edittali previsti, significativamente inferiori a quelli
vigenti al momento del giudizio, essendosi passati infatti da una forbice che
prevedeva la pena della reclusione da sei a venti anni ad una previsione
sanzionatoria che prevede un minimo di due anni fino ad un massimo di sei anni
di reclusione, rendevano necessario procedere ad una diversa valutazione del
trattamento sanzionatorio, discostandosi da quella operata dal giudice della
cognizione che era partito dal minimo di sei anni. La Corte, nella valutazione
degli elementi posti a base della sua decisione, ha proceduto necessariamente
allo scrutinio della gravità del comportamento delittuoso posto in essere dal
ricorrente, in relazione al quantitativo della droga e al ruolo da esso rivestito.
Tali considerazioni sono tutte puntualmente elencate nell’ordinanza in questione.
Alla Corte di cassazione resta preclusa la rilettura di altri elementi di fatto,
peraltro non dedotti, rispetto a quelli posti a fondamento della decisione
impugnata, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione del giudice
dell’esecuzione sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e
spiegare l’iter logico seguito.
5. Non pertinente è infine il richiamo operato nel ricorso al tema del
giudicato. Alla luce della fondamentale decisione delle Sezioni Unite Tuzzolino,
che ha precisato la distinzione tra la cosa giudicata che si forma sui capì della
3

ipotesi di condanna per ‘droghe leggere’ – una rivalutazione piena di tale aspetto,

sentenza e la preclusione che opera sui punti di essa, va rimarcato che non
costituiscono punti del provvedimento impugnato e non sono suscettibili di
autonoma considerazione le argomentazioni svolte a sostegno di ciascuna
statuizione. Il punto della decisione nel giudizio di merito é costituito dalla
determinazione della pena e non dal criterio utilizzato per definirla. Il giudice
dell’esecuzione ha affrontato il punto della decisione concernente la pena e lo ha
risolto in me/ius adottando, come era nei suoi poteri, un criterio diverso da quello
del giudice di merito.

pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, il 25 marzo 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

6. Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al

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