Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27291 del 25/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27291 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HAMDO DACIC’ N. IL 27/02/1974
avverso l’ordinanza n. 80/2014 TRIBUNALE di UDINE, del
31/07/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere D tt. ADET TONI NOVIK;
lette/seetite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 25/03/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa il 31 luglio 2014, il Tribunale di Udine, in
composizione monocratica, ha rigettato la richiesta presentata il 1/7/2014 da
Dacic Hamdo di restituzione nel termine per impugnare la sentenza emessa dallo
stesso Tribunale il 12.10.2005, irrevocabile il 27/9/2007, che lo ha
condannato alla pena di anni 2 di reclusione per l’evasione dalla casa
circondariale di Udine consumata il 1.1.2001. A sostegno dell’istanza Dacic
aveva dedotto le nullità dell’ordine di esecuzione, in quanto non tradotto, e del

dell’avviso di fissazione dell’udienza preliminare, del decreto che dispone il
giudizio e dell’estratto contumaciale), in quanto le ricerche non erano state
adeguate, non erano state svolte all’estero, né era stata indicata l’attività di
ricerca espletata.
2.

In ordine alla contestata validità del titolo esecutivo, il Tribunale

osservava che la traduzione dell’ordine di esecuzione non rientrava tra gli atti
per i quali l’art. 143 c.p.p. prevedeva detto obbligo. In ogni caso, la traduzione
era stata effettuata al momento dell’arresto e l’omissione poteva produrre il solo
effetto di non far decorrere il termine per impugnare il provvedimento, e non già
la scarcerazione. Quanto alle asserite nullità degli atti del processo, per mancata
traduzione e per incompletezza delle ricerche finalizzate all’emissione del decreto
di irreperibilità, affermava che le doglianze avrebbero dovuto essere proposte
con gli ordinari mezzi di impugnazione.
3.

Relativamente alla regolare formazione del titolo esecutivo, il

giudicante richiamava la nota trasmessa dal Ministero dell’Interno che
informava che per le ricerche di Dacic Hamdo, nato a Rozaje (Bosnia) era
stato interessato il collaterale Sevizio estero e che ulteriori elementi
sarebbero stati comunicati non appena in possesso. Non essendo pervenuta
nessuna notizia, in data 19.6.2007 il Giudice aveva emesso il decreto di
irreperibilità sull’evidente presupposto che Dacic non fosse stato rintracciato.
Il decreto quindi era stato emesso legittimamente stante l’impossibilità di
rinvenire il soggetto.
4. Quanto all’omessa traduzione dell’estratto contumaciale, il Tribunale
richiamava la giurisprudenza di legittimità secondo cui l’obbligo di traduzione
degli atti in favore dell’imputato alloglotta che non comprenda la lingua
italiana è escluso ove lo stesso, per causa propria, si sia reso latitante o
irreperibile (tale essendo indubbiamente la condizione di Dacic Hanndo), così
da imporre la notificazione degli atti processuali che lo riguardano mediante
consegna al difensore, non verificandosi in tal caso alcuna lesione concreta

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decreto di irreperibilità emesso per la notifica degli atti del processo (notifica

dei suoi diritti (Cass. Sez. 6, n. 7644 del 22/10/2009 – dep. 25/02/2010,
Cerhozi, Rv. 246167).
5. Il giudicante rigettava altresì la domanda subordinata di restituzione nel
termine ex art. 175 co. 2 e 2 bis c.p.p. Dacic aveva affermato di essere venuto a

conoscenza della condanna riportata per l’evasione solo a seguito della notifica, a
mani, dell’ordine di esecuzione effettuata il 17 giugno 2014 (in occasione della
consegna per estradizione dalla Serbia); notifica rinnovata, previa traduzione, il
26 giugno 2014. La domanda, secondo il Tribunale, era quindi tempestiva,

consegna dall’estero (art. 175 co. 2-bis c.p.p.). Tuttavia, pur riconoscendo che
secondo la giurisprudenza di legittimità la situazione dell’imputato del delitto
di evasione, il quale non abbia nominato un difensore di fiducia e sia rimasto
irreperibile nel procedimento per il quale è evaso, può costituire prova della
conoscenza del procedimento e della volontà di non comparire, ma non
anche prova della conoscenza del provvedimento e della rinuncia ad
impugnare, il Tribunale rilevava un’incoerenza motivazionale nelle sentenze di
legittimità emesse, in quanto il detto reato non necessitava, per il suo carattere
elementare, di alcuna maggiore delineazione, dal che, si afferma, chi evade
non solo è a conoscenza che al suo gesto seguirà un processo, ma che
l’imputazione risponde effettivamente a ciò che l’imputato poteva presumere
venisse lui addebitato. Anche se Dacic avesse ricevuto a mani la citazione a
giudizio, avrebbe tenuto lo stesso comportamento processuale. L’irreperibilità
dell’ imputato non trovava altra giustificazione che in quella di volersi sottrarre
all’esecuzione dell’originaria pena, nonché alla conoscenza e alla partecipazione
al processo per evasione.
6. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso a questa Corte di cassazione
Hamdo Dacic personalmente, chiedendone l’annullamento.
6.1. Primo e secondo motivo: il ricorrente eccepisce ex art. 606, lett. b), ed
e) c.p.p., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, inosservanza
di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonché la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal
provvedimento impugnato, in relazione agli artt. 663, 175, 170, 178, 179, 143,
125, 3 co., c.p.p., art. 24, 111. Cost. Il titolo esecutivo era nullo ex lege in
quanto l’ordine di esecuzione consegnatogli presso l’Ufficio di Polizia Frontiera
Aerea di Fiumicino al momento dell’estradizione non era stato tradotto nella
lingua nazionale. Solo il 21.07.14 ed il 26.07.14 successivi aveva ricevuto l’atto
tradotto. L’ordinanza impugnata era inoltre illegittima laddove aveva ritenuto che
le violazioni incidenti sulla partecipazione al processo dovessero essere
impugnate con i mezzi ordinari.
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essendo stata presentata il 1.7.2014, nel rispetto del termine di 30 giorni dalla

6.2. Terzo motivo: il ricorrente eccepisce ex art. 606, lett. b), c) ed e)
c.p.p., l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale, l’inosservanza di
norme processuali stabilite a pena di nullità, nonché la mancanza, la
contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione, risultando il vizio dal
provvedimento impugnato, in relazione agli artt. 3, 24, 111 Cost. In particolare,
deduce che il processo si era svolto in violazione del diritto di difesa e della
partecipazione dell’imputato, in quanto non erano state svolte attività di ricerca
all’estero ai fini delle dichiarazioni di irreperibilità emesse nelle diverse fasi. Il

quella effettuata in uno stato diverso (Bosnia Erzegovina), era stata svolta. Negli
atti non era presente il decreto di irreperibilità emesso dal pubblico ministero e
gli altri decreti erano stati emessi senza nessuna attività di ricerca all’estero,
nonostante risultasse il suo domicilio in Germania. Errava il giudice di merito nel
ritenere che l’esito del processo non sarebbe stato diverso anche in presenza del
ricorrente. La stessa nota del ministero dell’interno dava conto della carenza
delle ricerche.
6.3. Quarto motivo: il ricorrente eccepisce ex art. 606, lett. b), c) ed e)
c.p.p, l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale,
l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullità, nonché la
mancanza, la contraddittorietà o la manifesta illogicità della motivazione,
risultando il vizio dal provvedimento impugnato, in relazione agli artt. 169, 4
comma, 295, 175, 170, 143, 125, 3 co., art, 3, 24, 111 Cost. La mancanza di
specifiche ricerche all’estero, come indicato nel precedente motivo, aveva
pregiudicato la sua possibilità di difendersi.
7. Il Procuratore generale presso questa Corte nella sua requisitoria scritta
ha chiesto raccoglimento del ricorso relativamente alla richiesta di rimessione
nel termine per impugnare la sentenza.
8. Il difensore di Hamdo in data 19/3/2015 ha depositato note di udienza,
ribadendo le difese in precedenza articolate e prestando adesione alle
conclusioni del Procuratore generale.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Va premesso – poiché il condannato ha promosso incidente d’esecuzione
contestando la ritualità di tutte le notificazioni degli atti processuali avvenute nei
sui confronti, quale irreperibile/latitante, e ha allegato altresì la assoluta
mancanza di effettiva conoscenza del procedimento a suo carico – che la
questione da esaminare, ex art. 670 cod. proc. pen., in via principale è soltanto
se la sentenza possa considerarsi correttamente dichiarata esecutiva.

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ricorrente era residente e domiciliato in Germania e nessuna indagine, diversa da

Restano fuori dall’alveo dall’incidente d’esecuzione le questioni attinenti alla
instaurazione del rapporto processuale da farsi valere nell’ambito del giudizio
d’impugnazione ove, accolto l’incidente e rinnovata la notifica dell’estratto
contumaciale della sentenza, venga proposto appello o ricorso.
2. Sul punto della notifica dell’estratto contumaciale della sentenza, va
rilevata l’inapplicabilità, nel caso in esame del rito degli evasi (art. 165 e 296
cod. proc. pen), non rivestendo Dacic la formale posizione di “evaso” nel
procedimento di cui trattasi. Era quindi necessario ai fini della notifica compiere

il Ministero dell’Interno e l’Interpol. Correttamente, quindi, atteso l’evidente esito
negativo delle ricerche il giudice emise il decreto di irreperibilità e notificò gli atti
al difensore di ufficio nominato. È paradossale, in relazione alla sua perenne
qualità di “ricercato” (ad opera di tutte le forze di polizia) che Dacic possa
sostenere di essere nello stesso tempo reperibile in un indirizzo noto ai fini delle
notifiche, e non rintracciabile ai fini del ripristino del provvedimento cui si è
sottratto.
3. Anche la doglianza relativa alla mancata traduzione dell’ordine di
esecuzione è infondato. A tacere che nel ricorso redatto personalmente il
condannato da’ conto di conoscere adeguatamente la lingua italiana e di avere
assimilato anche cognizioni tecnico giuridiche, va considerato che nel novellato
comma 2 dell’art. 143 cod. proc. pen. si prevede che l’autorità procedente
disponga la traduzione scritta degli atti “entro un termine congruo tale da
consentire l’esercizio dei diritti e delle facoltà della difesa”. Detto adempimento,
come il ricorrente ha riconosciuto, è stato eseguito e, in mancanza di specifiche
indicazioni circa i diritti o le facoltà che la iniziale mancata traduzione, cui non è
collegata nessuna nullità, ha ostacolato, manca un interesse alla doglianza.
4. Fondata è invece la richiesta di restituzione nel termine per impugnare
la sentenza contumaciale. Questo Collegio condivide e fa proprio l’orientamento
di legittimità secondo cui la nuova disciplina introdotta dalla L. 22 aprile 2005,
n. 60, nel testo vigente al tempo del procedimento, pone a carico del giudice
l’onere di compiere ogni necessaria verifica per accertare l’effettiva conoscenza
del provvedimento da parte dell’interessato, non essendo sufficiente la
eventuale consapevolezza che dal comportamento posto in essere possa
derivare l’inizio di un procedimento. Nel caso in esame il Tribunale di Udine,
con una motivazione congetturale, ha ritenuto irrilevante fornire la prova
positiva di questa conoscenza e ha respinto l’istanza sul presupposto che il
condannato non poteva ignorare che la condotta di evasione avrebbe
comportato la sottoposizione a procedimento penale. Sul punto, occorre
ricordare i capisaldi che la CEDU ha posto nella nota sentenza Sejdovic del

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le ricerche e a detto compito il giudice dell’esecuzione ha dato corso interessando

1/3/2006 perché il processo svolto in contumacia possa essere considerato
equo: a) vi è diniego di giustizia quando una persona condannata in absentia
non può ottenere in seguito che una giurisdizione deliberi nuovamente, dopo
averlo sentito, sul fondamento dell’accusa, in fatto e in diritto, quando non è
accertato che egli ha rinunciato al proprio diritto di comparire e di difendersi
(Colozza già cit., p. 15, § 29 ; Einhorn c. Francia (dec.), n° 71555/01, § 33,
CEDH 2001-XI; Krombach c. Francia, n° 29731/96, § 85, CEDH 2001-11 ;
Somogyi c. Italia, n° 67972/01, § 66, CEDH 2004-IV), o che aveva l’intenzione

processuali offerti dal diritto e dalla prassi interni si rivelino effettivi se
l’imputato non ha né rinunciato a comparire e a difendersi, né ha avuto
l’intenzione di sottrarsi alla giustizia (Sonnogyi già cit., § 67); c) il rifiuto di
riaprire un procedimento che si è svolto in contumacia in assenza di qualsiasi
indicazione che l’imputato aveva rinunciato al suo diritto di comparire è stato
considerato come un «flagrante diniego di giustizia », il che corrisponde alla
nozione di procedimento «manifestamente contrario alle disposizioni
dell’articolo 6 o ai principi in esso enunciati » (Stoichkov già cit., §§ 54-58); d)
quando non si trattava di un imputato che ha ricevuto una notifica ad
personam, la rinuncia a comparire e a difendersi non poteva essere dedotta
dalla semplice qualità di «latitante », fondata su una presunzione sprovvista di
una sufficiente base fattuale (Colozza già cit., pp. 14-15, § 28).
5. Non è sufficiente a ipotizzare la conoscenza del processo dalla notifica del
decreto di irreperibilità e di tutti gli atti del processo —tra cui l’estratto
contumaciale della sentenza- al difensore di ufficio. La giurisprudenza di
legittimità ha già messo in luce la diversità di natura e di sostanza del rapporto
professionale che intercorre tra l’imputato e il difensore di fiducia da un lato, e
quello d’ufficio dall’altro. Mentre nel primo caso l’imputato dimostra di essere
effettivamente a conoscenza di tale procedimento, ed è del tutto ragionevole
ritenere che, anche successivamente alla nomina, il perdurante rapporto
professionale intercorrente tra l’imputato e il difensore di fiducia continuerà a
consentire al primo di mantenersi informato sugli sviluppi del procedimento e di
concordare con il difensore le scelte difensive ritenute più idonee – ferma
restando, comunque, la possibilità di vincere tale presunzione attraverso
un’idonea prova in contrario-, nel secondo caso l’intrinseca debolezza delle
cosiddette “presunzioni di conoscenza” sottese alle notificazioni eseguite al
difensore d’ufficio dell’imputato contumace non sono di per sè idonee a
dimostrare l’effettiva conoscenza del procedimento o del provvedimento da parte
dell’imputato, salvo che dagli atti non emerga in altro modo la conoscenza o che
non si dimostri che il difensore d’ufficio è riuscito a stabilire un effettivo rapporto
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di sottrarsi alla giustizia (Medenica già cit., § 55); b) è necessario che i mezzi

professionale con il suo assistito (Sez. 1, Sentenza n. 11009 del 2015, con
citazione di precedenti conformi).
6. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata, con
rinvio al Tribunale di Udine per nuovo esame dell’istanza di restituzione che
tenga conto dei principi sopra indicati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla richiesta di restituzione
nel termine e rinvia per nuovo esame al riguardo al Tribunale di Udine; rigetta

Così deciso in Roma, il 25 marzo 2015
Il Consigliere estensore

Il Presidente

nel resto il ricorso.

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