Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27290 del 25/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27290 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
NIRTA SEBASTIANO N. IL 14/05/1968
avverso il decreto n. 2/2014 CORTE APPELLO di REGGIO
CALABRIA, del 18/04/2014

qlu,

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TO INI NOVIK;
occce
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.

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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 25/03/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con decreto emesso il 30 ottobre 2012, il Tribunale di Reggio
Calabria, Sezione Misure di Prevenzione, sottoponeva Nirta Sebastiano
alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di P.S. per la
durata di anni tre, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza o di
dimora abituale, ed al versamento della cauzione di C 2.000,00, con le
prescrizioni di rito.
2. Con provvedimento del 05 aprile 2012, il Magistrato di Sorveglianza

12 maggio 2011 da Nirta che chiedeva che venisse dichiarata la non
eseguibilità della misura in questione, ai sensi dell’art. 14 della Convenzione
Europea di Estradizione e dell’art. 721 c.p., evidenziando di essere stato
estradato dalla Germania in Italia con esclusivo riferimento al procedimento
conclusosi con la pronuncia da parte della Corte di Appello di Reggio Calabria
della sentenza di condanna alla pena di anni 14 e mesi 8 di reclusione e lire
60.000.000 di multa, divenuta irrevocabile il 16 ottobre 2002.
3. Con decreto del 10 ottobre 2012, il tribunale di Reggio Calabria,
sezione misure di prevenzione rigettava l’istanza e, richiamando la pronuncia
della Corte di Cassazione a Sezioni Unite n. 10281/2007, affermava che
l’avvio o la prosecuzione del procedimento di prevenzione sfuggiva al
principio di specialità sancito dalla Convenzione di Estradizione e dall’art. 721
c.p.p., dal momento che le citate disposizioni non erano finalizzate
all’esecuzione di una pena o di misura di sicurezza, ma erano sintomatiche di
una pericolosità per la sicurezza e l’ordine pubblico.
3. L’appello del condannato, così riqualificato il proposto ricorso per
cassazione, è stato respinto. La Corte, uniformandosi all’indirizzo sancito
dalla Corte di Cassazione con la sentenza pronunciata a Sezioni Unite n.
10281/2007, ha affermato che il principio di specialità previsto dall’art. 14,
paragrafo 1, della Convenzione europea di estradizione e dall’art. 721 c.p.p.
non è riferibile alle misure di prevenzione personali ed al relativo
procedimento di applicazione. Il procedimento di prevenzione prescinde dalla
commissione di reati e non è quindi espressione del binomio responsabilità
penale/sanzione, e non è compatibile con i principi ispiratori (ivi compreso
quello di specialità) dell’estradizione, che presuppone necessariamente la
commissione di un fatto-reato.
L’attualità” che deve caratterizzare la pericolosità sociale del soggetto
porta ad escludere, inoltre, a giudizio della Corte, la misura di prevenzione
dalla sfera di efficacia del principio di specialità estradizionale, proprio perchè
il relativo giudizio deve essere formulato con riferimento al momento

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dichiarava non luogo a provvedere in ordine alla richiesta formulata in data

deliberativo e deve conservare valenza anche nella fase esecutiva, con
l’effetto che le circostanze “anteriori” e “diverse” possono venire in rilievo
soltanto per la loro incidenza sull'”attualità” e in questa finiscono
contestualmente per confondersi ed esaltarsi.
Ulteriore conferma dell’assunto, osserva, si trae dall’art. 2 ter, comma 7,
della L. n. 575/65, che consente l’avvio e la prosecuzione del procedimento di
prevenzione reale nei confronti del proposto che dimori all’estero,
nell’evidente presupposto della non necessità della previa domanda di

Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (cfr. sentenze 6/11/1980, Guzzardi;
22/2/1994, Raimondo; 6/4/2000, Labita) e, più di recente, con sentenza
n. 24920/2011, è stato ribadito il principio secondo cui le misure di
prevenzione previste dalla legge italiana non implicano un giudizio di
colpevolezza, ma mirano a prevenire il compimento di reati, e la loro
imposizione non dipende da una preventiva sentenza di condanna; sicché,
cnclude, non possono essere paragonate a una pena, né in materia vale il
principio del “ne bis in idem”.
3. Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso a questa Corte di Cassazione
Nirta Sebastiano, a mezzo del difensore di fiducia, chiedendone
l’annullamento per violazione degli artt. 721 cod. proc. pen. e 14 della
Convenzione Europea di estradizione. L’orientamento delle SS.UU. n.
10281/07, fatto proprio nell’ordinanza impugnata, pur se ancorato al dato
letterale, appariva in contrasto con l’evoluzione normativa e
giurisprudenziale, interna e convenzionale, sulle misure di prevenzione. Una
lettura costituzionalmente orientata (si richiama la sentenza della Corte
Costituzionale n. 93 del 2010), conduceva alla progressiva attrazione nell’
«orbita giurisdizionale» del procedimento dì prevenzione, accomunato per
l’afflittività e la rilevanza dei ‘valori’ in gioco (libertà personale e
patrimonio) alle pene e alle misure di sicurezza. In questo contesto, ad
avviso del ricorrente, non poteva essere accolta la nozione di fatto su cui si
era basata la decisione delle Sezioni Unite del 2007. Il principio di specialità
doveva anche estendersi alle misure di prevenzione in base ad una
interpretazione dell’art. 14 della Convenzione sull’estradizione, dove l’identità
del fatto segnava il campo applicativo del principio di garanzia, nel senso
che, se la misura di prevenzione trovava origine negli stessi fatti che
avevano dato luogo all’estradizione, non sarà violato il principio
trattandosi di ulteriore conseguenza delle medesime condotte; se, invece,
la misura di prevenzione apprezzava fatti del tutto diversi rispetto a quelli
posti alla base del procedimento estradizionale, allora doveva essere
2

estradizione processuale. Nello stesso ordine di idee si è mossa anche la

esclusa l’eseguibilità della medesima, poiché lo Stato estero non aveva
valutato il disvalore di queste condotte nel procedimento estradizionale.
L’uso del termine ‘fatto’ consentiva di prendere di mira qualsiasi
situazione giuridica in grado di determinare una possibile restrizione della
libertà personale.
Nel caso di specie, l’estradizione di Nirta in data 22.9.99 era stata
concessa esclusivamente con riguardo alle fattispecie delittuose contestate nel
procedimento penale n. 120/97 Rgnr DDA, mentre, la misura di prevenzione

commessi nel 1992 e 1997, e dunque per fatti commessi in periodi anteriori
alla consegna per i quali, tuttavia, non era stata richiesta l’estradizione.
4. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto che il ricorso sia
dichiarato inammissibile , osservando che l’orientamento espresso dalla
Sentenza delle Sezioni Unite 10281/2008 è stato fatto proprio dalla
successiva giurisprudenza di legittimità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è infondato e va rigettato. L’art. 14 della Convenzione di
estradizione, testualmente recita: “la persona estradata non sarà perseguita,
giudicata, arrestata in vista dell’esecuzione di una pena o di una misura di
sicurezza, né sottoposta a qualsiasi altra restrizione della sua libertà
personale, per un qualsiasi fatto anteriore alla consegna, diverso da quello
che ha dato luogo alla estradizione…”. Sulla stessa linea si pone anche l’art.
721 c.p.p.: “la persona estradata non può essere sottoposta a restrizione
della liberta personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né
assoggettata ad altra misura restrittiva della liberta personale per un fatto
anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione e stata
concessa…”.
2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nella sua più autorevole
composizione, in materia di estradizione attiva, il principio di specialità
previsto dall’art. 14, par. 1, della Convenzione europea di estradizione non è
riferibile alle misure di prevenzione personali e al relativo procedimento di
applicazione. Le misure di prevenzione non hanno carattere sanzionatorio e
sono misure specialpreventive ante o praeter delictum, applicabili a soggetti
ritenuti pericolosi all’esito di un giudizio prognostico negativo circa il
compimento di future attività delinquenziali. Sicché la persona estradata in
Italia può essere assoggettata a misure di prevenzione personali e al relativo
procedimento, senza la necessità di una preventiva richiesta di estradizione
suppletiva allo Stato che ne ha disposto la consegna, restando altresì esclusa
3

era stata applicata il 30.10.2002 per fatti sintomatici di pericolosità sociale

la riferibilità del principio di specialità, previsto dall’art. 721 c.p.p., alle misure
di prevenzione personali e al relativo procedimento di applicazione (Sez. U, n.
10281 del 25/10/2007, dep. 06/03/2008, Gallo, Rv. 238657). Tale
orientamento ad oggi non è mutato ed è condiviso dal Collegio.
Alla stregua dei principi espressi dalle Sezioni Unite, deve ribadirsi che
con il termine “fatto” deve intendersi non una qualsiasi “fattispecie astratta”,
ma il “fatto-reato”, quale accadimento storico tipico, considerato nei suoi
elementi costitutivi ed avente una sua ben precisa collocazione temporale. È

condanna penale” (estradizione esecutiva) ovvero come “fatto-reato
iudice”

sub

(estradizione processuale). Il “fatto” al quale si ricollega il

procedimento di estradizione, il cui ambito operativo, è circoscritto al
perseguimento di un reato ovvero all’esecuzione, conseguente a pronuncia di
condanna, di una pena o di una misura di sicurezza, laddove le misure di
prevenzione non sono connesse a responsabilità penali del soggetto, né si
fondano sulla colpevolezza, che é elemento proprio del reato, né hanno
carattere sanzionatorio di doveri giuridici, ma sono collegate a un complesso
di comportamenti integranti una “condotta di vita”, che il legislatore assume
come indice di pericolosità sociale, e sono funzionali alla tutela della sicurezza
pubblica. Lo stesso Giudice delle leggi ha affermato che “il principio di
prevenzione e di sicurezza sociale…affianca la repressione in ogni
ordinamento, come esigenza e regola fondamentale” e che “l’ordinato e
pacifico svolgimento dei rapporti tra i cittadini deve essere garantito, oltre che
dal sistema di norme repressive dei fatti illeciti, anche da un parallelo sistema
di adeguate misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in
avvenire” (cfr. C. Cost. sent. n. 68/1964, n. 27/1959, n. 23/1964).
3. Non vale in contrario richiamare i principi espressi dalla Corte nella
sentenza n. 93 del 2010 allorquando ha sottolineato che si tratta di un
“procedimento all’esito del quale il giudice è chiamato ad esprimere un
giudizio di merito, idoneo ad incidere in modo diretto, definitivo e sostanziale
su beni dell’individuo costituzionalmente tutelati, quali la libertà personale
(art. 13, primo comma, Cost.) e il patrimonio (quest’ultimo, tra l’altro,
aggredito in modo normalmente “massiccio” e in componenti di particolare
rilievo, come del resto nel procedimento a quo), nonché la stessa libertà di
iniziativa economica, incisa dalle misure anche gravemente “inabilitanti”
previste a carico del soggetto cui è applicata la misura di prevenzione (in
particolare, dall’art. 10 della legge n. 575 del 1965)”. Il caso sottoposto
all’esame della Corte non concerneva il contenuto delle misure di prevenzione
e la loro natura, ma solo ‘le specifiche peculiarità del procedimento di
4

evidente il riferimento, presente nelle citate norme, al fatto come “oggetto di

prevenzione, che valgono a differenziarlo da un complesso di altre procedure
camerali”.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento
delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma il 25 marzo 2015
Il Presidente

Il Consigliere estensore

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