Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27279 del 11/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27279 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: NOVIK ADET TONI

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
BOLOGNA
nei confronti di:
MAROUANE EL MOSTAFA N. IL 03/02/1977
inoltre:
MAROUANE EL MOSTAFA N. IL 03/02/1977
avverso l’ordinanza n. 119/2013 CORTE APPELLO di BOLOGNA, del
24/04/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 11/03/2015

RILEVATO IN FATTO
1. Con ordinanza emessa in data 24 aprile 2014, la Corte di appello di
Bologna in funzione di giudice della esecuzione ha accolto
– l’istanza di Marouane Mostafa di unificazione dei reati giudicati con le
sentenze G.U.P. Tribunale Ravenna del 18.3.2008 e della Corte di Appello di
Bologna del 9.4.2010, e ritenuto più grave il reato sub 95) di quest’ultima
sentenza ha rideterminato la pena complessiva in anni 12 mesi 4 di reclusione ed
Euro 82.000,00 di multa;

dell’indulto concesso ex D.P.R. n. 241 del 2006, individuando il presupposto della
revoca nella condanna della Corte di appello di Bologna che nell’ambito della
continuazione interna di cui al capo d’imputazione n. 95 comprendeva il reato
commesso nel periodo antecedente e prossimo al 16 dicembre 2006, per cui era
stata irrogata una pena pari a cinque anni di reclusione, cui andavano aggiunti
due anni per la continuazione.
2. Avverso questa ordinanza ha presentato ricorso il procuratore generale
della Repubblica presso la Corte di appello di Bologna deducendo l’inosservanza
di norma processuale stabilita a pena di inammissibilità e ne chiede
l’annullamento. La Corte di appello di Bologna in precedenza, con provvedimento
del 18 giugno 2013 (divenuto esecutivo a seguito della dichiarazione di
inammissibilità del ricorso per cassazione proposto dal condannato), aveva
respinto l’istanza presentata dal condannato per ottenere la continuazione tra le
due sentenze citate. Il provvedimento adottato successivamente si poneva in
contrasto con il principio generale del “ne bis in idem”.
3. Il condannato ha presentato ricorso incidentale per contraddittorietà e/o
manifesta illogicità della motivazione in ordine alla revoca del beneficio
dell’indulto. In particolare, censura che il giudice dell’esecuzione non aveva
scisso il reato continuato per cui aveva riportato condanna, al fine di valutare se
la pena applicata in concreto per questi episodi superasse il limite di legge
previsto ai fini della revoca dell’indulto.
4. Il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto l’annullamento con
rinvio dell’ordinanza in accoglimento di entrambi i ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso del procuratore generale di Bologna è fondato.
1. Questa Corte di legittimità ha già affermato il principio che il collegio
condivide e fa proprio secondo cui il principio del ne bis in idem permea l’intero
ordinamento giuridico e fonda il preciso divieto di reiterazione dei procedimenti e
delle decisioni sull’identica regiudicanda, in sintonia con le esigenze di razionalità
1

– la richiesta presentata dal procuratore della Repubblica in sede, di revoca

e dì funzionalità connaturate al sistema. A tale divieto va, pertanto, attribuito, il
ruolo di principio generale dell’ordinamento dal quale, a norma del secondo
comma dell’art. 12 preleggi, il giudice non può prescindere quale necessario
referente dell’interpretazione logico – sistematica. Esso è, quindi, finalizzato ad
evitare che per lo “stesso fatto” – inteso, ai fini della preclusione connessa al
predetto principio, come corrispondenza storico-naturalistica nella configurazione
del reato, considerato in tutti i suoi elementi costitutivi (condotta, evento, nesso
casuale) e con riguardo alle circostanze di tempo, dì luogo e di persona, (Cass.,

n. 19787, rv. 234176; Cass., Sez. 2^, 18 aprile 2008, n. 21035, rv. 240106) – si
svolgano più procedimenti e si adottino più provvedimenti anche non irrevocabili,
l’uno indipendentemente dall’altro, e trova la sua espressione in rapporto alle
diverse scansioni procedimentali disegnate dal legislatore. Anche se l’art. 669
c.p.p., detta una disciplina dettagliata solo riguardo ai conflitti concernenti le
sentenze e i decreti di condanna, esso è applicabile in via analogica anche con
riferimento alle ordinanze del giudice dell’esecuzione, ogniqualvolta esso
rappresenti l’unico strumento possibile per eliminare uno dei due provvedimenti
emessi per lo stesso fatto contro la stessa persona. La ragione che giustifica
l’applicazione analogica dell’art. 669 c.p.p. anche ai provvedimenti emessi

in

executivis va ricercata nella finalità stessa della disposizione, rappresentando
l’unico rimedio all’eventuale violazione del ne bis in idem (Cass., Sez. 1, 21
gennaio 1992, rv. 188955); essa rappresenta l’espressione di un costante
orientamento di sistema dettato ad evitare, per evidenti ragioni di razionalità, di
economia processuale e di tutela del diritto di difesa, che per lo stesso fatto reato si svolgano più procedimenti, si emettano provvedimenti l’uno
indipendente dall’altro, si verifichi una duplicità di decisioni (Cass., Sez. 5^, 10
luglio 1995, rv. 202653).
2. Nel caso di specie è indubbio che sul medesimo petitum, fondato sulle
stesse circostanze di fatto, sono stati adottati in tempi diversi due provvedimenti
all’esito di differenti procedure esecutive e ciò in palese violazione del principio
del ne bis in idem.
3.

In relazione al ricorso di Marouane si rileva che è estraneo

all’ordinamento processuale l’impugnazione incidentale in sede di legittimità.
L’ordinamento processuale, invero, prevede l’appello incidentale (art. 595 cod.
proc. pen.), ma non il ricorso incidentale. Nè può l’atto della parte essere
diversamente qualificato, posto che esso non solo dichiaratamente si propone
come appello incidentale, ma si ricollega esplicitamente alla richiesta del
Procuratore Generale di Bologna di annullamento dell’ordinanza, a conferma che
tr
o principale (peraltro fuori termine), ma
la parte non ha inteso produrre un
2

Sez. Un., 28 giugno 2005, n. 34655, rv. 231799; Cass., Sez. 1, 21 aprile 2006,

una vera e propria impugnazione incidentale. Questa, peraltro, come tale, non
può proporre temi diversi da quelli proposti con l’impugnazione principale,
secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa Corte di
legittimità (v., ex pluribus, Cass. Pen. Sez. 1, n. 431 in data 16.12.2004, Rv.
230714, Grima, e succ. conformi): “l’appello incidentale non è strumento
autonomo di impugnazione ma ha natura accessoria rispetto a quello principale,
atteso che la ratto dell’istituto non è quella di svolgere una funzione deterrente
rispetto al gravame proposto dall’imputato ma di porsi in posizione antagonistica

incidentale non può avere ad oggetto i capi della decisione, ma neanche i punti
di essa, che non siano stati investiti dall’appello principale”. E poiché
l’impugnazione del P.G. investe il riconoscimento della continuazione, l’appello
incidentale dell’imputato (che investe la revoca dell’indulto) anche per tal via va
dichiarato inammissibile.
4. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, in
forza del disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna della parte privata al
pagamento delle spese del procedimento ed al versamento della somma, tale
ritenuta congrua, di Euro 1.000,00 (mille) in favore della Cassa delle Ammende,
non esulando profili di colpa nell’impugnazione in questa sede palesemente
infondata (v. sentenza Corte Cost. n. 186/2000).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente al riconoscimento
della continuazione; dichiara inammissibile il ricorso del Marouane che condanna
al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1000 alla cassa
delle ammende.
Così deciso in Roma, il 11 marzo 2015
Il Consigliere estensore

alle doglianze da quest’ultimo specificamente mosse. Ne consegue che l’appello

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