Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27277 del 10/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27277 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CAMPITI VINCENZO N. IL 10/02/1966
avverso l’ordinanza n. 105/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di REGGIO
CALABRIA, del 13/05/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO;
lette/stfAiie le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 10/03/2015

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Sorveglianza di Reggio di Calabria, con l’ordinanza indicata
in epigrafe, rigettava, per quanto ancora interessa nel presente giudizio di
legittimità, l’istanza di concessione della misura alternativa dell’affidamento in
prova al servizio sociale proposta in via principale da Campiti Vincenzo,
condannato a pena detentiva (anni due e mesi due e giorni venti di reclusione)
siccome colpevole del reato di estorsione commesso il 28 dicembre 2012,

domiciliare, in quanto ritenuta misura più idonea a fronteggiare il residuo
pericolo di recidiva del soggetto.

2.

Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per cassazione

l’interessato, per il tramite del suo difensore, chiedendone l’annullamento,
relativamente al diniego della più ampia misura alternativa, ritenuto illegittimo
per eccesso di potere e vizio di motivazione, in quanto il tribunale, avrebbe
basato la propria decisione, sul solo dato della recente commissione del reato e
della sua obiettiva gravità e dell’assenza di una immediata prospettiva di
un’opportunità lavorativa, elementi non sufficienti, da soli, a fondare un giudizio
prognostico negativo circa il reinserimento del condannato nel contesto sociale,
del tutto illogicamente, svalutando, di contro, dei dati particolarmente
significativi, quali la condotta antecedente alla commissione del reato ed in
particolare il non grave precedente penale (omesso versamento delle ritenute
previdenziali ed assistenziali); i motivi all’origine della condotta criminosa
(coinvolgimento nella vicenda estorsiva su sollecitazione della stessa persona
offesa); la regolarità della condotta successiva alla commissione del reato;
l’esistenza di validi riferimenti esterni (padre, fratelli).

Considerato in diritto

1. L’impugnazione è inammissibile perché basata su motivi manifestamente
infondati.
1.1 Le argomentazioni difensive sviluppate in ricorso, nelle loro polimorfi
articolazioni, infatti, lungi dal denunciare effettive violazioni di legge e senza
dimostrare, in concreto, un travisamento dei dati fattuali posti a base
dell’apparato argomentativo in concreto svolto dai giudici di merito (recente
commissione del reato – gravità dello stesso – necessità di verificare in modo

accogliendo, invece, quella subordinata di concessione della detenzione

controllato la capacità dell’istante di adeguarsi a parametri comportamentali
corrispondenti a valori socialmente condivisi), si risolvono in una sollecitazione a
compiere una valutazione comparativa delle risultanze processuali in senso più
favorevole al ricorrente rispetto a quella compiuta dal tribunale, il quale ha
comunque preso in esame anche i dati favorevoli all’istante (non gravità del
precedente penale, esistenza di un sano ambiente familiare), salvo ritenerli non
sufficienti, almeno allo stato, a garantire la non reiterazione di una condotta
illecita in caso di applicazione di una misura più ampia rispetto a quella
concessa.

1.2 Orbene, nel formulare le sue difese, il ricorrente non considera, però,
per un verso, che relativamente al controllo della motivazione del provvedimento
impugnato, esula dai poteri della cassazione quello di una nuova e diversa
valutazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, giacché
tale attività è riservata esclusivamente al giudice di merito, potendo riguardare
il giudizio di legittimità solo la verifica dell’iter argonnentativo di tale giudice,
accertando se quest’ultimo abbia o meno dato conto adeguatamente delle
ragioni che lo hanno condotto ad emettere la decisione (così ex multis Cass.,
sez. VI, 14 aprile 1998, ric. Kurzeja, Cass. sez. I, 22 dicembre 1998, n. 13528)
e, per altro verso, che nell’economia della decisione impugnata, l’apprezzamento
del dato relativo alla gravità del reato commesso, all’assenza di opportunità
lavorative è doveroso e funzionale al giudizio sulla possibile reiterazione della
condotta antigiuridica e che la concedibilità dei benefici di cui al capo VI della
legge 26.7.1975 n. 354, non si sottrae al criterio della valutazione discrezionale,
che deve riguardare, al di là dell’indefettibile accertamento delle condizioni di
ammissibilità, anche l’opportunità del trattamento alternativo, che non può
prescindere, evidentemente, come avviene per ogni altra misura della stessa
categoria, dalla concreta praticabilità dei beneficio stesso, ritenuta dai giudici di
merito, allo stato, ancora insufficiente con riferimento ad una misura alternativa
che richiede un elevato grado di autocontrollo.
1.3 Tale decisione, adeguatamente motivata, si rivela, del resto, pienamente
conforme, pur non citandolo esplicitamente, all’ormai consolidato orientamento
di questa Corte, secondo cui «il criterio di gradualità nella concessione di benefici
penitenziari, pur non costituendo una regola assoluta e codificata, risponde ad
un razionale apprezzamento delle esigenze rieducative e di prevenzione cui é
ispirato il principio stesso del trattamento penitenziario» (così Cass. sez.
sentenza n. 5689 del 18/11/1998 – 26/3/1999, ric. Foti, Rv. 212794).

2

2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ricorrendo ipotesi di
esonero in mancanza di elementi indicativi dell’assenza di colpa (Corte Cost,
sent. n. 186 del 2000) – al versamento alla cassa delle ammende di una somma
congruamente determinabile in C 1000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

ammende.

Così deciso in Roma, il 10 marzo 2015.

spese processuali e al versamento della somma di C 1000,00 alla Cassa delle

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