Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27273 del 25/02/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27273 Anno 2015
Presidente: CORTESE ARTURO
Relatore: MAZZEI ANTONELLA PATRIZIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Thabet Wissem, nato in Tunisia il 3/07/1986,

avverso l’ordinanza del 23/06/2014 del Giudice per le indagini preliminari del
Tribunale di Genova;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Antonella Patrizia Mazzei;
lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale, Umberto de Augustinis, che ha concluso chiedendo la declaratoria di
inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova, in funzione
di giudice dell’esecuzione, con ordinanza del 23 giugno 2014, pronunciandosi
sulle richieste avanzate da Thabet Wissem, ha dichiarato inammissibile l’istanza
di restituzione nel termine per impugnare la sentenza, ex art. 444 cod. proc.
pen., emessa nei confronti del Thabet dal Tribunale di Genova, in data 11
ottobre 2011, e ha respinto l’ulteriore istanza di restituzione nel termine per
presentare domanda di misura alternativa alla detenzione in carcere, con
riguardo all’esecuzione della pena di mesi nove e giorni ventotto di reclusione
applicata con la suddetta sentenza, avendo il pubblico ministero revocato, in

Data Udienza: 25/02/2015

data 4 marzo 2014, il decreto di sospensione dell’ordine di esecuzione, ai sensi
dell’art. 656, comma 8, cod. proc. pen., per irreperibilità del Thabet.
A sostegno della decisione il Giudice, dopo aver respinto l’eccezione di
incompetenza funzionale, rilevando di aver emesso l’ultimo provvedimento
(decreto penale) divenuto irrevocabile nei confronti del Thabet, ha osservato che
la richiesta di restituzione nel termine per impugnare la sentenza dell’Il ottobre
2011 era inammissibile poiché essa era stata pronunciata alla presenza del

Thabet, il quale ne aveva avuto, pertanto, immediata e diretta conoscenza;
mentre l’ulteriore istanza di restituzione nel termine per presentare domanda di
misure alternative alla detenzione, a seguito della revoca del decreto di
sospensione dell’ordine di esecuzione, doveva essere respinta per la ritualità di
tale revoca determinata dalla volontaria irreperibilità del Thabet, il quale, dopo
aver violato la misura cautelare dell’obbligo di dimora nella città di Mantova, a lui
applicata nel corso del processo definito con la predetta sentenza dell’Il ottobre
2011, non si era reso reperibile neppure dopo il passaggio in giudicato di essa,
pur conoscendo la pena subita e la necessità della sua esecuzione, non avendo
fruito del beneficio della sospensione condizionale.

2. Avverso la predetta ordinanza ricorre per cassazione il Thabet tramite il
difensore, avvocato Francesco Augusto Gastaldo del foro di Genova, il quale
propone cinque motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge,
riproponendo l’eccezione di incompetenza funzionale del giudice per le indagini
preliminari come giudice dell’esecuzione.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione del principio di
immutabilità del giudice, sostenendo che lo stesso Tribunale che aveva emesso
la sentenza, ex art. 444 cod. proc. pen., in data 11 ottobre 2011, avrebbe
dovuto pronunciarsi sulle richieste ad essa pertinenti e, segnatamente,
sull’incidente proposto avverso la revoca del provvedimento di sospensione
dell’ordine di esecuzione per la carcerazione.
2.3. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione della normativa
nazionale (art. 24 Cost.), sovranazionale (art. 6 Cedu) ed internazionale (art. 14
Patto di New York), con riguardo alla notificazione dell’ordine di esecuzione e
contestuale decreto di sospensione al solo difensore di ufficio, secondo il rito
previsto per gli irreperibili di cui all’art. 159 cod. proc. pen.
Il Giudice avrebbe dovuto rilevare la probabile ignoranza dell’ordine di
esecuzione e contestuale sospensione da parte del Thabet, rimasto assente nel
procedimento, nel quale era stato perciò violato il suo diritto di difesa con la
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conseguente nullità assoluta di tutti gli atti del procedimento e della decisione
finale.
2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce l’abnormità della dichiarazione
di inammissibilità della sua istanza di essere restituito nel termine per impugnare
la sentenza dell’Il ottobre 2011, non ricorrendo alcun caso di inammissibilità a
norma dell’art. 666, comma 2, cod. proc. pen.
2.5. Con il quinto motivo lamenta il vizio di motivazione dell’ordinanza

inosservante dell’obbligo di dimora a lui applicato con la sentenza dell’il ottobre
2011 e risultato irreperibile in sede di esecuzione della medesima decisione, non
meritasse in concreto alcuna tutela processuale.

3. Il Procuratore Generale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso,
rilevando la manifesta infondatezza delle censure proposte e la carenza di
interesse alla pronuncia di rigetto piuttosto che alla dichiarazione di
inammissibilità della richiesta di restituzione nel termine.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso non merita accoglimento.
1.1. Il primo motivo, che deduce l’incompetenza funzionale del giudice per le
indagini preliminari con riguardo all’esecuzione della sentenza emessa dal
tribunale del medesimo ufficio, è infondato.
E, invero, in tema di competenza all’esecuzione, nel caso di pluralità di
provvedimenti da eseguire, l’art. 206 d.lgs. n. 51 del 1998, istitutivo del giudice
unico di primo grado, nel modificare il comma quarto dell’art. 665 cod. proc.
pen., si è limitato a disciplinare le diverse ipotesi di competenza derivanti da più
decisioni del tribunale monocratico e di quello collegiale, attribuendola a
quest’ultimo, ma non ha inciso direttamente in alcun modo sulla ripartizione di
competenze tra giudice per le indagini preliminari e tribunale, sia quest’ultimo in
composizione monocratica o collegiale; ne discende che, qualora il
provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo sia stato emesso dal giudice per
le indagini preliminari, è quest’ultimo ad essere competente per tutti, a nulla
rilevando che altri provvedimenti, precedenti, siano stati emessi dal tribunale
(Sez. 1, n. 2828 del 13/04/2000, confl. comp. in proc. Ido, Rv. 216754; Sez.
1, n. 22868 del 10/05/2011, Fazari, Rv. 250447; Sez. 1, n. 2290 del
03/12/2013, dep. 2014, confl. comp. in proc. D’Andrea, Rv. 258004).

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impugnata, laddove ha ritenuto che la situazione personale del Thabet,

Nel caso in esame, quindi, risultando da eseguire nei confronti del
ricorrente, Thabet, più provvedimenti di cui il penultimo emesso dal Tribunale
monocratico di Genova (sentenza dell’11/10/2011 ex art. 444 cod. proc. pen.) e
l’ultimo dal Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale (decreto
penale di condanna), correttamente quest’ultimo ha ritenuto la propria
competenza quale Giudice dell’esecuzione, a norma dell’art. 665, comma 4, cod.
proc. pen., per avere emesso il provvedimento divenuto irrevocabile per ultimo.

evoca il principio dell’immutabilità del giudice nel rapporto tra giudice della
cognizione e giudice dell’esecuzione, lamentando che quest’ultimo non
corrisponda al primo.
Il principio di immutabilità del giudice, affermato dall’art. 525, comma 2,
cod. proc. pen. con riferimento al dibattimento di cognizione e alla connessa
decisione del giudice mediante sentenza, esprime la generale esigenza, valevole
anche nel procedimento di esecuzione e di sorveglianza, che la decisione
giurisdizionale, qualsivoglia forma venga ad assumere, sia emanata dal
medesimo giudice che ha provveduto alla trattazione della procedura, dovendo
intendersi per trattazione l’esame delle acquisizioni probatorie funzionali alla
decisione, ogni attività istruttoria finalizzata alla medesima, l’assunzione delle
richieste e conclusioni delle parti (Sez. 1, n. 1317 del 18/03/1994, Carnelutti,
Rv. 198459; Sez. 1, n. 610 del 03/12/2004, dep. 2005, Botta, Rv. 230833; Sez.
1, n. 20351 del 10/04/2014, Said Abd El Salam, Rv. 262258).
E’, dunque, evidente che tale principio opera all’interno del singolo
procedimento di cognizione e di esecuzione, in cui il giudice che assume la
decisione deve essere lo stesso che ha trattato il procedimento, ma non anche
nei rapporti tra i giudici delle varie fasi processuali, tra loro autonome e distinte,
quali sono la cognizione e l’esecuzione seppure pertinenti alla medesima
sentenza.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile perché generico.
Il ricorrente si limita ad enunciare la violazione dell’art. 24 della Costituzione
(Cost.); dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali (Cedu), firmata il 4 novembre 1950, ratificata con
legge 4 agosto 1955, n. 848; dell’art. 4 del Patto internazionale relativo ai diritti
civili e politici del 16 dicembre 1966, ratificato con legge 25 ottobre 1977, n.
881; e ciò senza specificare i termini dell’asserita violazione del suo diritto di
difesa per inosservanza delle disposizioni in tema di notificazioni in caso di
irreperibilità.

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1.2. Palesemente infondato e, quindi, inammissibile è il secondo motivo che

Al contrario, dalle stesse allegazioni difensive risulta che nei confronti del
Thabet, cittadino tunisino, privo di fissa dimora in Italia, fu validamente redatto
dalla Questura di Genova, nel luglio 2013, verbale di vane ricerche e, quindi,
legittimamente emesso decreto di irreperibilità a norma dell’art. 159 cod. proc.
pen.
E, in proposito, conviene ricordare che l’obbligo di effettuare nuove ricerche,
ai fini dell’emissione del decreto di irreperibilità, é condizionato dall’oggettiva

ogni garanzia processuale (Sez. 3, n. 17458 del 19/04/2012, Domollaku, Rv.
252626 Sez. 2, n. 45896 del 17/11/2011, Beato, Rv. 251359; Sez. 2,
Sentenza n. 9815 del 05/12/2001, dep. 2002, Lu Zhong, Rv. 221521).
Nel caso di specie, il ricorrente, mentre ha ammesso di essere presente in
Italia senza una fissa dimora, neppure ha indicato i luoghi in cui sarebbe stato
reperibile e nei quali avrebbero dovuto essere eseguite le sue ricerche, ciò che
conferma l’assoluta genericità della censura in esame.
1.4. Infondato è il quarto motivo, secondo cui sarebbe abnorme il
provvedimento impugnato nella parte in cui ha dichiarato inammissibile l’istanza
del Thabet di essere restituito nel termine per impugnare la sentenza ex art. 444
cod. proc. pen., emessa 1 1 11 ottobre 2011 nei suoi confronti.
Il Giudice dell’esecuzione ha, infatti, rilevato che detta sentenza fu
pronunciata in presenza del Thabet, il quale, quindi, non poteva denunciarne
l’ignoranza a norma dell’art. 175, comma 2, cod. proc. pen., nel testo
previgente, al fine di essere restituito nel termine per proporre ricorso per
cassazione.
In difetto, dunque, di sentenza contumaciale legittimante l’accoglimento
della domanda di restituzione nel termine, proposta dal Thabet ai sensi del
comma 2 e non del comma 1 dell’art. 175 cod. proc. pen., non essendo stato
neppure allegato il caso fortuito o la forza maggiore quale causa della mancata
impugnazione nei termini, legittimamente il giudice dell’esecuzione ha dichiarato
inammissibile la richiesta di restituzione nel termine, siccome manifestamente
infondata per difetto delle condizioni di legge, ai sensi dell’art. 666, comma 2, in
relazione all’art. 175, comma 2, cod. proc. pen.
1.5. Inammissibile, infine, perché assolutamente generico, è il quinto motivo
di ricorso che denuncia il difetto di motivazione con riguardo al rigetto della
domanda del Thabet di essere restituito nel termine per impugnare la più volte
ricordata sentenza dell’Il ottobre 2011 ovvero per richiedere, dalla libertà,
misure alternative alla detenzione in esecuzione della medesima sentenza.

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praticabilità degli accertamenti, secondo un criterio che vale come limite logico di

Per le ragioni compiutamente esposte nel provvedimento impugnato e sopra
riportate, entrambe le istanze sono state, infatti, legittimamente disattese: la
prima perché manifestamente infondata, essendosi il giudizio di cognizione
svolto alla presenza del Thabet, e la seconda perché priva di pregio, attesa
l’irreperibilità del condannato legittimamente dichiarata, come si è detto, dal
giudice dell’esecuzione.

del ricorso e la condanna del ricorrente, a norma dell’art. 616, comma 1, cod.
proc. pen., al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 25 febbraio 2015.

2. Sulla base delle considerazioni che precedono, si impone dunque il rigetto

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