Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27260 del 05/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27260 Anno 2015
Presidente: CHIEFFI SEVERO
Relatore: BONI MONICA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARUSO EMANUELE GAETANO N. IL 23/02/1967
DI CAVOLO DANIELE N. IL 06/05/1962
avverso la sentenza n. 826/2012 CORTE APPELLO di CATANIA, del
24/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. MONICA BONI
Udito il Procuratore Generale in sersona del Dott. Atuzjc ‘o
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile
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< UlLet i ( Cike- /kg2 °-2/dj ilj)} CG-P e45_ Data Udienza: 05/06/2015 Ritenuto in fatto 1.Con sentenza resa il 29 luglio 2011, all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, il G.U.P. del Tribunale di Catania aveva condannato gli imputati Daniele Di Cavolo ed Emanuele Caruso alla pena di anni due, mesi otto di reclusione ciascuno perché ritenuti responsabili del delitto di cui al capo b) di partecipazione ad associazione a delinquere finalizzata alla commissione di turbative di pubblici incanti e di reati contro la fede pubblica in nostra", mentre li aveva prosciolti dagli ulteriori reati perché estinti per prescrizione, previa esclusione della circostanza aggravante di cui all'art. 7 I nr. 203/91, rigettando le domande proposte dalle parti civili in riferimento al delitto di cui al capo b). 2. Con sentenza del 24 marzo 2014 la Corte di Appello di Catania, investita degli appelli proposti dagli imputati, riformava la sentenza di primo grado e proscioglieva i prevenuti anche dal delitto di cui al capo b) perché estinto per prescrizione in ragione dell'applicazione della disciplina introdotta dalla legge nr. 251/2005, ritenuta più favorevole, mentre respingeva la richiesta di assoluzione per insussistenza dei fatti di reato loro ascritti per la mancata emersione di prova evidente d'innocenza. 3. Avverso detta pronuncia hanno proposto distinti ricorsi gli imputati a mezzo dei loro difensori. 3.1 Daniele Di Cavolo ha lamentato violazione di legge e di norme processuali stabilite a pena di nullità per inesistenza giuridica della motivazione: secondo il ricorrente, la Corte distrettuale ha del tutto omesso di illustrare le ragioni per le quali non ha pronunciato assoluzione nel merito per insussistenza del fatto di reato, essendosi limitata a rilievi non pertinenti sulla complessità delle imputazioni nonostante l'addebito attribuito al Di Cavolo fosse unico e l'appello le avesse devoluto questione di diritto circa la non configurabilità degli elementi costitutivi dell'associazione per delinquere, rispetto alla quale poteva essere riscontrata l'evidente inconsistenza delle risultanze fattuali per: a) il difetto dell'elemento organizzativo, mancando la predisposizione dei mezzi diversa da quella richiesta per consumare i singoli reati; b) la preesistenza della struttura organizzata imprenditoriale del ricorrente, destinata a scopi leciti; c) il mancato accertamento dei reati fine e comunque la loro omogeneità al punto da rendere applicabile l'istituto della continuazione; d) l'indetermintezza del presunto programma criminoso posto che i reati di turbativa di gara si sarebbero realizzati nel contesto del Comune di Paternò e zone limitrofe; e) mancanza di qualsiasi vincolo di permanenza dell'accordo tra i presunti associati. 3.2 Emanuele Caruso ha dedotto anch'egli con unico motivo la violazione di legge, di norme processuali ed il vizio di motivazione per inesistenza o apparenza della stessa in ordine alla prova evidente dell'insussistenza del fatto di reato. Con l'atto di appello si era devoluta alla cognizione della Corte distrettuale la questione in punto di diritto circa la configurabilità del delitto associativo ed il difetto di prova al riguardo, non deducibile dalle poche conversazio 1 collegamento con associazione di stampo mafioso, legata all'organizzazione denominata "Cosa intercettate, il cui significato e valore dimostrativo era stato contestato anche perché le stesse emergenze non erano state ritenute sufficienti per configurare la più grave fattispecie di partecipazione ad associazione di stampo mafioso di cui al capo a). Pertanto, i rilievi operati in sentenza sulla complessità delle prove e delle imputazioni, nonché dei motivi di appello, che non assumono alcun reale significato logico e giuridico, costituiscono meri artifici linguistici per celare il difetto totale di motivazione. Inoltre, con l'appello si era negata la ricorrenza degli elementi costitutivi del delitto di associazione per delinquere, sconfessato dalle prove acquisite, perché dimostrative soltanto dell'accordo tra i tre imprenditori per stabilire la misura dei ribassi periodo 2000-2001 e l'effettiva aggiudicazione di un numero di gare di poche unità rispetto a quelle in cui si era verificata la partecipazione. Pertanto, al più avrebbe potuto ravvisarsi il concorso degli imputati nel reato continuato di turbativa d'asta, esito conseguibile con la facile ed immediata consultazione degli atti, alla quale la Corte di Appello si era sottratta. Considerato in diritto I ricorsi sono inammissibili. 1.La sentenza impugnata è pervenuta alla decisione di proscioglimento degli imputati dal delitto di cui al capo b), dichiarato estinto per prescrizione, previa esclusione della possibilità della loro assoluzione per insussistenza del medesimo fatto di reato, sulla scorta di motivazione che si è esaurita nella constatazione della mancata acquisizione della relativa prova evidente. Ha giustificato tale conclusione in ragione della complessità delle imputazioni e degli elementi di prova raccolti, rispecchiata dai motivi di appello tali da non rivelare la manifesta innocenza degli imputati. A conforto di tale assunto ha richiamato alcuni precedenti tratti dalla giurisprudenza di legittimità. 1.1 Giova premettere che in effetti appartiene a consolidato indirizzo della giurisprudenza di questa Corte il principio secondo il quale, in presenza di una causa di estinzione del reato, il giudice è legittimato a pronunciare sentenza di assoluzione a norma dell'art. 129 cod.proc.pen., comma 2, soltanto nei casi in cui le circostanze idonee ad escludere l'esistenza del fatto, la commissione del medesimo da parte dell'imputato e la sua rilevanza penale emergano dagli atti in modo assolutamente non contestabile, così che la valutazione che il giudice deve compiere al riguardo appartenga più al concetto di "constatazione", ossia di percezione "ictu oculi", che a quello di "apprezzamento" e sia quindi incompatibile con qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, rv. 244274). 1.2 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno altresì affermato che, qualora la sentenza impugnata abbia rilevato una causa di estinzione del reato, col ricorso per cassazione non sono deducibili quali motivi, né profili di nullità, nè vizi attinenti alla motivazione della sentenza stessa, in quanto, anche in caso di annullamento con rinvio, il giudice deput t alla 2 da praticare nelle offerte per la partecipazione a gare bandite dal comune di Paternò nel prosecuzione del giudizio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva senza poter condurre altri accertamenti o verifiche, che si porrebbero in insanabile contrasto con l'obbligo dell'immediata declaratoria di proscioglimento (Cass. Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009, Tettamanti, rv. 244275; sez. 2, n. 32577 del 27/04/2010, Preti, rv. 247973; sez. 5, n. 588 del 04/10/2013, Zambonini, rv. 258670; sez. F, n. 50834 del 04/09/2014, Raso, rv. 261888). Soltanto nella residuale ipotesi in cui l'operatività della causa di estinzione del reato presupponesse specifici accertamenti e valutazioni, spettanti al solo giudice di merito, oppure assumerebbe rilievo pregiudiziale la soluzione della questione di nullità, in quanto funzionale alla necessaria rinnovazione del relativo giudizio (Cass. sez. 2, n. 2545 del 16/10/2014, Riotto, rv. 262277). Dall'applicazione al caso dei superiori principi discende che non possono essere prese in considerazione le censure che lamentano l'illogicità o l'insufficienza della motivazione della sentenza in verifica per non avere esternato in modo congruo e compiuto le ragioni della ritenuta sussistenza del delitto che ha dichiarato estinto per prescrizione, incorrendo esse nell'impedimento frapposto dall'obbligo di immediata declaratoria della causa estintiva. Del resto, proprio la pronuncia di condanna, resa nel primo grado di giudizio per il delitto associativo con articolata illustrazione delle relative ragioni, per quanto criticata con gli atti di appello, offre chiare indicazioni circa l'insussistenza della prova evidente di innocenza degli imputati. Per le considerazioni svolte i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con la conseguente condanna dei proponenti al pagamento delle spese processuali e, in ragione dei profili di colpa insiti nella presentazione di siffatta impugnazione, al versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno. P. Q. M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di euro 1.000,00 (mille) alla Cassa delle Ammende. Così deciso in Roma, il 5 giugno 2015. quando fossero stati condotti accertamenti in ordine al diritto della costituita parte civile,

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