Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27255 del 03/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27255 Anno 2015
Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA
Relatore: CAVALLO ALDO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MANCAZZO GIUSEPPE N. IL 01/04/1971
avverso la sentenza n. 53/2012 TRIB.SEZ.DIST. di BITONTO, del
28/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 03/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALDO CAVALLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. i ktix4P knuf2fte
che ha concluso per if
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 03/06/2015

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza deliberata il 28 novembre 2013 il Tribunale di Bari in
composizione monocratica, per quanto ancora rileva nel presente giudizio di
legittimità, condannava Mancazzo Giuseppe, legale rappresentante dell’Azienda
Agricola Mancazzo s.r.I., previa concessione delle circostanze attenuanti
generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di Euro 1200,00 di ammenda,
siccome colpevole dei reati, unificati nel vincolo della continuazione, di cui all’art.

La responsabilità dell’imputato è stata affermata sulla base delle circostanze
di fatto riferite dai testimoni della polizia giudiziaria e dagli atti acquisiti al
fascicolo del dibattimento con il consenso delle parti.
La guardia di finanza aveva, infatti, accertato la presenza, all’interno
dell’azienda agricola amministrata dall’imputato, di un impianto di distribuzione
carburante con annessa cisterna contenente gasolio per uso agevolato. Si
accertava, quindi, che l’imputato non era in possesso dì alcuna autorizzazione e
non aveva effettuato alcuna comunicazione all’autorità competente, per quanto
necessaria, essendo il gasolio sostanza “pericolosa per qualità e quantità” e
trattandosi di cisterna adibita al deposito, in quanto tale assoggettata
all’autorizzazione comunale.
Il tribunale, altresì, riteneva integrata, nella specie, anche la violazione
dell’art. 18, del D.Igs. n. 81 del 2008, in quanto l’omesso adempimento della
denuncia configurava un pericolo per la salute dei lavoratori dell’azienda.

2. L’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, avvocato Alceste Campanile,
proponeva appello che la Corte di appello di Bari, qualificava ricorso per
cassazione.
2.1 Con l’unico articolato motivo d’impugnazione ivi dedotto si richiede
l’assoluzione dell’imputato per insussistenza del fatto e comunque perché
l’imputato non lo ha commesso ed in subordine, ai sensi dell’art. 530 comma 2
cod. proc. pen., perché è insufficiente o è contraddittoria la prova che il fatto
sussiste o che l’imputato lo ha commesso.
Al riguardo si deduce, preliminarmente, che in relazione alla previsione
dell’art. 679 cod. pen., questa Corte ha fissato il principio di diritto secondo il
quale la disposizione de qua non introduce alcun obbligo di denunzia per i
detentori di materie esplodenti o infiammabili. La norma, infatti, si è osservato,
“assume carattere sanzionatorío dei precetti contenuti nelle leggi speciali che
individuano le ipotesi in cui occorre la denuncia, le modalità di presentazione e
l’autorità cui deve essere effettuata” e, in materia di detenzione di sostanze (non
esplodenti, bensì) infiammabili, in difetto della previsione dell’obbligo della

2,

18, 1° comma lett. Z del D.Igs. n. 81 del 2008 ed all’art. 679 cod. pen..

denunzia alla autorità locale della Pubblica Sicurezza (v. al riguardo R.D. 18
giugno 1931, n. 773, art. 38, art. 83 relativo regolamento e il richiamato
Allegato D), si rende necessaria la verifica del concorso di specifica disposizione
recante l’obbligo di denuncia ai Vigili del fuoco o ad altra autorità” (Cass., 11
marzo 2004, n. 29.933, De Marzo).
Ciò posto il ricorrente deduce che il giudice di merito, pur muovendo da tali
coerenti principi, è pervenuto ad una conclusione errata allorquando ha
affermato che nel caso di specie, sull’imputato gravava l’obbligo di denuncia ai

Al riguardo si fa rilevare, infatti, che nel corso dell’istruttoria dibattimentale
è emerso, “per quanto riferito dal teste dell’accusa maresciallo Vantaggiato, che
l’impianto esistente e in particolare la cisterna contenente il gasolio, in
considerazione delle sue dimensioni, non era soggetta alla preventiva
autorizzazione o certificazione di prevenzione incendi”.
Il giudice del merito, secondo il ricorrente, avrebbe confuso l’autorizzazione
comunale alla installazione dell’impianto (in effetti mai rilasciata) con la
comunicazione di detenzione di materiali infiammabili o con la preventiva
autorizzazione o certificazione di prevenzione incendi, nella specie non
necessaria come riferito dal teste escusso, maresciallo Vantaggiato.
Né il reato per cui è intervenuta condanna può ritenersi sussistente a
ragione dell’asserita violazione da parte dell’imputato del precetto di cui all’art.
18, del D.Igs. n. 81 del 1980, il quale prescrive al datore di lavoro di ….z)
aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e
produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza di lavoro o in
relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e della
protezione”.
Tale norma, infatti, si fa rivelare nell’atto d’impugnazione, in tutta evidenza,
“non pone specifici obblighi a carico del datore di lavoro, stabilendo unicamente
che le condizioni di lavoro debbano essere idoneamente tutelate”.
Poiché la condanna – si sostiene ancora in ricorso – “risulta disposta sul
duplice presupposto di carattere omissivo in relazione alla (omessa) richiesta di
autorizzazione per l’impianto di erogazione dì carburante ed in ordine alla
presenza di materiale infiammabile non denunziato, non gravando specifici
obblighi in tema di sicurezza (non potendo certo essere tale il mero rilascio
dell’autorizzazione amministrativa), in assenza di elementi che possano condurre
a ritenere anche solo astrattamente violato il precetto di cui all’art. 18
contestato, l’imputato avrebbe dovuto essere mandato assolto dalle
contestazioni a lui mosse”.
E’ pacifico – si fa rilevare dal ricorrente – che l’art. 18, al pari della quasi
totalità delle disposizioni con rilevanza penale contenute nel D. Lgs 81/08,

3

Vigili del fuoco o ad altra autorità della detenzione dei prodotti infiammabili.

configura un reato di pericolo presunto. Come tale, la condotta assume rilevanza
penale unicamente nell’ipotesi in cui il datore di lavoro, obbligato ad assumere
specifici strumenti di tutela per effetto di disposizioni contenute in altre fonti
normative o regolamentari, ometta di adeguarsi. In tutte la altre ipotesi in cui
manchi il parametro di riferimento per ritenere generato il pericolo (presunto), la
condotta individua una fattispecie a pericolo concreto, che necessita della
specifica indicazione di singoli atti, fatti o condotte (che il giudice deve accertare
anche valutando le modalità del fatto) che possano far ritenere violato il precetto

Come ripetutamente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità – si deduce
ancora in ricorso – “nelle ipotesi di reato cd. di pericolo concreto, per ritenere
commesso l’illecito è indispensabile l’attitudine concreta, e non meramente
potenziale, della condotta”. Orbene, all’esito dell’istruttoria, se è emerso che non
era stata richiesta la concessione

(id est

una mera autorizzazione

amministrativa), quand’anche possa ritenersi accertato che l’impianto non fosse
perfettamente a norma o non rispondesse ai requisiti di autorizzabilità, non è
stato assolutamente provato che dallo stesso potesse derivare un pericolo
(concreto), né sono emersi obblighi inosservati dall’imputato contenuti in fonti
normative che obbligassero l’osservanza di specifiche prescrizioni e comunque
che — rispetto alla situazione di fatto riscontrata — mancassero le condizioni di
sicurezza o di autorizzabilità dell’impianto.
In altri termini, considerata la struttura della norma non è emerso che il
datore di lavoro non abbia adottato o aggiornato le misure di prevenzione in
relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della
salute e sicurezza del lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica
della prevenzione e della protezione, così come prescritto dall’art. 18 comma
primo lett. z) contestato, difettando qualsiasi accertamento o riscontro in merito
alla ricorrenza di un pericolo concreto.

Considerato in diritto

1. L’impugnata sentenza deve essere annullata senza rinvio, perché
entrambi ì reati ascritti al ricorrente sono estinti per prescrizione.
1.1 In particolare, per quanto attiene la contravvenzione sanzionata dall’art.
679 cod. pen., sia che la si ritenga un reato istantaneo, conformemente
all’orientamento assunto da questa Corte con riferimento alle contravvenzioni
previste dal T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia
(Cass., S.U. sentenza 23.7.1999, n. 18, ric. P.M. in proc. Lauriola ed altri) sia che
la si ritenga, invece, un reato omissivo permanente, per il quale la prescrizione
incomincia a decorrere dal momento in cui l’omissione viene accertata, lo stesso

contenuto nella disposizione contestata.

deve ritenersi ormai estinto per prescrizione – ai sensi dell’art. 157 cod. proc.
pen., comma 1, e dell’art. 160 cod. pen., u.p. – essendo trascorsi, senza che si
siano verificate cause di sospensione del decorso del termine in misura rilevante,
più di cinque anni dal momento in cui è stata accertata la detenzione della
materia infiammabile pericolosa di cui è processo (11 febbraio 2010).
Ne consegue che, non ravvisandosi inammissibilità originaria
dell’impugnazione che sarebbe di ostacolo all’operatività della causa estintiva e
non risultando le censure svolte dal ricorrente – valutate in rapporto ai motivi

rilevanza penale e la relativa commissione da parte dell’imputato in termini di
evidenza tale da consentite l’assoluzione nei merito, ai sensi dell’art. 129 co. 2
cod. proc. pen , specie ove si consideri che questa stessa Corte, con sentenza, n.
24508 del 17/06/2010, Radicci, Rv. 247756, alla cui motivazione espressamente
si rinvia, ha già ritenuto sussistente il reato controvvenzionale ascritto al
Mancazzo con riferimento ad una fattispecie del tutto analoga (detenzione in una
cisterna sita in azienda agricola pugliese, di 1200 litri di gasolio, integrante
quindi un deposito, come tale assoggettato alla denunzia e alla vigilanza “del
comando dei vigili del fuoco territorialmente competente” à termini del D.P.R. 27
aprile 1955, n. 547, art. 36 (in tal senso si veda anche Cass., Sez. 6, 20
novembre 1974, n. 4139, Speciale, massima n. 129774; Sez. 6, 13 aprile 1976,
n. 9784, Maurer, massima n. 136939 e Cass., Sez. 3, 24 gennaio 1969, n. 121,
Del Bianco, massima n. 110501), deve allora assegnarsi prevalenza alla causa
estintiva con conseguente annullamento della sentenza impugnata senza rinvio,
a norma dell’art. 620 cod. proc. pen., lett. a).

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché i reati sono estinti per
prescrizione.
Così deciso in Roma, il 3 giugno 2015.

della decisione impugnata – idonee a escludere l’esistenza dei fatti contestati, la

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