Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27237 del 12/03/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 27237 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: MAGI RAFFAELLO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
OMOREGIE EWAN N. IL 23/03/1979
INYERE DAMIAN ( RINUNCIANTE ) N. IL 15/11/1969
avverso la sentenza n. 11311/2012 CORTE APPELLO di ROMA, del
27/05/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RAFFAELLO MAGI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. .z:~ cjeWkPA(1-o .1-3

che ha concluso per

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi IdifensotAvv.7e.
%-UX:1

Data Udienza: 12/03/2015

IN FATTO E IN DIRITTO

1.

Con sentenza emessa in data 1 giugno 2012 il GUP del Tribunale di Roma,

per ciò che rileva in questa sede, ha affermato – in sede di giudizio abbreviato la penale responsabilità di :
– Omoregie Ewan per il delitto di tentato omicidio commesso in concorso ai danni
di Obazee Abiodu in Roma il 31 marzo 2011 ;
– Inyere Damian per il tentato omicidio commesso in concorso ai danni di Obazee

di Ogiamien Osas sempre il 31 marzo 2011.
All’esito del giudizio di primo grado Omoregie veniva condannato alla pena di
anni quattro di reclusione previo riconoscimento delle circostanze attenuanti
generiche e Inyere alla pena di anni sei di reclusione, previa concessione delle
cicostanze attenuanti generiche ritenute equivalenti alle aggravanti.
L’identificazione di Inyere Dannian e Omoregie Ewan come coautori del violento
pestaggio cui fu sottoposto in data 31 marzo 2011 Obazee Abiodu è stata resa
possibile dalle stesse indicazioni fornite dalla vittima – dopo una lunga degenza
ospedaliera – ivi comprese le individuazioni fotografiche e la successiva
ricognizione personale, cui si uniscono altri elementi conoscitivi descritti
analiticamente nella decisione di primo grado in rapporto al contesto in cui
risulta maturata l’aggressione (conflitto in atto tra due ‘bande’ di nigeriani che ha
dato luogo ad altri episodi analoghi).
L’identificazione di Inyere Damian come coautore dell’ulteriore episodio
avvenuto, lo stesso giorno, in danno di Ogiamen Osas è parimenti supportata secondo il giudice di primo grado – dalle dichiarazioni della vittima e da altri esiti
investigativi riportati nella decisione di primo grado.
La Corte d’Appello di Roma, con decisione emessa in data 27 maggio 2013
confermava l’affermazione di penale responsabilità di Inyere Damian e Omoregie
Ewan per il tentato omicidio commesso in danno di Obazee Abiodu ma mandava
assolto Inyere Damian dai restanti capi di imputazione, rideterminando la pena
per Inyere – per il solo tentato omicidio – in anni quattro di reclusione.

2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione Inyere Damian
e Omoregie Ewan.
2.1 Nel ricorso proposto – con personale sottoscrizione – da Inyere Damian si
deduce vizio di motivazione.
Il ricorrente afferma che in sentenza non vi è reale motivazione, essendosi
limitata la Corte a richiamare le norme di legge.

2

Abiodu e per i delitti di lesioni personali e rapina commessi in concorso ai danni

2.2 Nel ricorso proposto – a mezzo del difensore – da Omoregie Ewan si
articolano due motivi.
Con il primo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla ritenuta
responsabilità penale.
A base della decisione vi sarebbero semplici circostanze indizianti non
correttamente valutate.
In particolare la Corte d’Appello fonda l’affermazione di responsabilità sulle sole
dichiarazioni rese dalla persona offesa, non supportate in realtà da alcuna

Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione in riferimento alla
qualificazione giuridica del fatto.
Non è stato ricostruito il reale movente dell’azione delittuosa e non sono state
valutate le obiezioni formulate sul punto con i motivi di appello, tese ad ottenere
una qualificazione giuridica diversa.

3. Con dichiarazioni rese in data 24 settembre 2014, in data 25 ottobre 2014 ed
in data 18 novembre 2014, indirizzate alla Corte di Appello di Roma dal luogo di
detenzione, Inyere Damian ha espresso una chiara volontà di rinunzia al ricorso
chiedendo l’emissione dell’ordine di esecuzione e la idefinitività’ della sentenza di
secondo grado. Tale volontà di rinunzia determina la inammissibilità del proposto
ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al
versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle ammende che si
ritiene equo stabilire nella misura di euro 500,00.

4. Il ricorso proposto nell’interesse di Omoregie Ewan va dichiarato inammissibile
per la manifesta infondatezza dei motivi addotti, tesi ad introdurre una richiesta
di rivalutazione della valenza dimostrativa di elementi di fatto, a fronte di
motivazione che non presenta vizi logici, giuridici o di incompletezza cognitiva.
4.1 Sul punto, va operata una premessa di metodo, relativa ai limiti ontologici
della fase di legittimità.
Il sistema processuale vigente offre una doppia fase di giudizio di merito intendendosi per tale quello idoneo ad operare la compiuta ricostruzione del fatto
oggetto di giudizio – cui segue una fase di controllo (il giudizio di legittimità) il
cui oggetto, perimetrato dai motivi legali di ricorso, consiste essenzialmente
nella verifica della correttezza della decisione in diritto (corretta applicazione
delle norme di diritto sostanziale, esistenza o meno di violazioni procedurali tali
da importare nullità o altra sanzione processuale non sanata) e nel controllo non
già del ‘fatto’ quanto della motivazione espressa a sostegno della sua

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verifica di attendibilità esterna ed indipendente dal narrato.

ricostruzione (secondo i tradizionali canoni della assenza, manifesta illogicità o
contraddittorietà).
Si suole affermare che il giudizio di legittimità, pertanto, non si costruisce
sull’esame delle possibilità rappresentative – anche plausibili – del fatto, ma sulla
opzione del fatto come recepita dal giudice di merito, nel senso che il controllo
sulla corretta applicazione dei canoni logici e normativi che presidiano
l’attribuzione del fatto all’imputato passa necessariamente attraverso l’analisi
dello sviluppo motivazionale della decisione impugnata e della sua interna

«nuove» attribuzioni di significato o realizzare una diversa lettura dei medesimi
dati dimostrativi e ciò anche nei casi in cui si ritenga preferibile una diversa
lettura, maggiormente esplicativa, e sempre che non sia rilevabile un vizio tale
da comportare l’annullamento (si veda,

ex multis, Sez. VI n. 11194 del

8.3.2012, Lupo, Rv 252178) .
4.2 Ciò posto, nel caso in esame i giudici del merito hanno fondato la
affermazione di penale responsabilità di Omoregie su un dato dimostrativo di tipo
«diretto» rappresentato dalle dichiarazioni rese dalla persona offesa Obazee.
Costui non solo ha riconosciuto l’imputato – prima in riproduzione fotografica e
successivamente in sede di ricognizione – come uno dei suoi aggressori, ma ne
ha altresì descritto la condotta tenuta in occasione del violentissimo pestaggio
realizzato.

,

Non si tratta, pertanto, di un elemento di prova di natura meramente indiziaria,
come sostenuto nel ricorso.
Va ricordato, sul punto, che la classificazione logica e giuridica degli elementi
probatori tra prova storica (o diretta) e prova critica (o indiziaria) si muove
esclusivamente sul piano della loro «idoneità rappresentativa» rispetto al fatto
da provare.
Tale partizione non riguarda la ‘tipologia’ della fonte probatoria (un testimone
può essere portatore, ad es., quanto dell’una che dell’altra ‘classe’ di elementi),
bensì il rapporto esistente tra la ‘capacità dimostrativa’, del singolo elemento
considerato, ed il ‘fatto da provare’ nella sua oggettiva materialità, così come
descritto nella imputazione.
In tal senso, è definibile quale prova critico-indiziaria, ogni contributo conoscitivo
che, pur non rappresentando in via diretta il fatto da provare, consenta – sulla
base di una operazione di raccordo logico tra più circostanze o eventi – di
contribuire al suo disvelamento (dal fatto noto di tipo intermedio si perviene alla
conoscenza di quello ignoto). L’ indizio, pertanto, ha una sua autonoma capacità
rappresentativa, che tuttavia per la sua parzialità, – o per il ricadere su una
circostanza diversa (pur se collegata) rispetto al fatto da provare – , consente
4

coerenza logico-giuridica, non essendo possibile compiere in sede di legittimità

esclusivamente di attivare, nella mente del soggetto chiamato ad operare la
ricostruzione, un meccanismo di inferenza logica capace di condurre ad un
accettabile risultato di conoscenza di ciò che rileva ai fini del giudizio .
E’ proprio in ragione di tale «deficit strutturale» di capacità dimostrativa, che la
prova indiziaria è oggetto di una particolare cautela valutativa da parte del
legislatore, che ancora il risultato probatorio all’esistenza di particolari
caratteristiche degli elementi posti a base della suddetta inferenza

(gravità,

precisione, concordanza) ai sensi dell’art. 192 co.2 cod.proc.pen., il tutto

Viceversa, lì dove la fonte dimostrativa – sempre in riferimento alla descrizione
del fatto contenuta nella imputazione – fornisca elementi capaci di rappresentare
in via diretta – come propria «esperienza percettiva» – uno o più segmenti del
fatto oggetto della imputazione (quale è l’autore o il coautore) ci si trova di fonte
a prove ontologicamente ‘dirette’ ( o storiche), nel cui ambito la necessità di
prevedere una ‘cautela valutativa’ deriva – in alcune ipotesi – dal particolare
rapporto esistente tra il dichiarante e la dinamica di realizzazione del fatto
medesimo.
Il testimone «puro» del fatto è – per definizione – soggetto che non contribuisce
neanche in via di ipotesi alla realizzazione del medesimo, ma che vi assiste o
che, al più, ne subisce le conseguenze (la vittima del reato).
Il suo dire, pertanto, è sottoposto alla ordinaria verifica di attendibilità intrinseca
(rafforzata in ipotesi di vittima costituitasi parte civile secondo le indicazioni
contenute nella decisione n. 115 del 1992 Corte Cost.) derivante dalla necessità
logica di porre a fondamento di decisioni giudiziarie dati cognitivi affidabili e
sottoposti a verifica generale di fondatezza dei contenuti.
Lì dove invece le fonti dimostrative ontologicamente ‘dirette’ o storiche siano
rappresentate da soggetti non ascrivibili alla categoria giuridica dei testimoni
puri, in quanto coinvolti, in via diretta o mediata, nella dinamica realizzativa dei
fatti oggetto dell’accertamento (soggetti incompatibili con la qualità di teste, ai
sensi dell’art.197 cod.proc.pen.) il legislatore impone l’adozione di particolari e
tipizzate cautele valutative ai sensi dell’art. 192 co.3 e co.4 cod.proc.pen.
secondo il principio della

corroboration

(necessaria esistenza in chiave

affermativa del fatto narrato di .altri elementi di prova., idonei a confermare
l’attendibilità dei contenuti narrativi).
Le cautele valutative di cui all’art. 192 co.2 o co.3 sono pertanto derivanti – sul
piano dell’inquadramento logico e giuridico – o dalla parzialità ontologica del
contenuto della informazione probatoria rispetto al fatto da provare (l’indizio
svela un fatto solo ricollegabile al tema dimostrativo) o dalla particolare qualità

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nell’ambito di una doverosa valutazione unitaria e globale dei dati raccolti.

del soggetto dichiarante che introduce, sul piano storico, una narrazione per sua
natura diretta.
Trattandosi di regole normative che impongono un rafforzamento del percorso
logico di ricostruzione del fatto, le stesse non possono applicarsi ad elementi di
prova ulteriori, il cui governo resta affidato al prudente apprezzamento del
giudice di merito, espresso e verificabile attraverso il percorso logico della
motivazione, nel cui ambito si realizza l’attribuzione di «peso dimostrativo» alla
singola informazione probatoria, in ossequio al criterio di giudizio che impone il

ogni ragionevole dubbio.
Da ciò deriva che la testimonianza della vittima è dato di per sè potenzialmente
idoneo a fondare un giudizio di penale responsabilità, in rapporto alla
complessiva valutazione di attendibilità intrinseca, derivante dal complessivo
esame dei contenuti narrativi calati nell’intera dinamica istruttoria (tra le molte,
in punto di necessaria valutazione globale della attendibilità della persona offesa,
Sez. III n. 21640 del 11.5.2010, rv 247644).
Ed è ciò che i giudici del merito hanno affermato nel caso qui in esame, posto
che le dichiarazioni di Obazee – di natura diretta -, valutate nel loro complesso e
nel loro divenire, hanno superato il vaglio di attendibilità intrinseca in rapporto a
molteplici indici rivelatori di coerenza e logicità, ampiamente indicati nelle due
decisioni conformi (la sequenza di eventi delittuosi che testimoniano l’esistenza
di un conflitto tra due gruppi composti da soggetti di nazionalità nigeriana, i
contributi provenienti dai familiari dello stesso Obazee, l’esistenza di rapporti di
frequentazione tra i soggetti coimputati) e pertanto non rivalutabili in questa
sede.
Con tali argomenti il ricorrente finisce con il non confrontarsi, ipotizzando la
necessità di riscontri esterni al narrato e tesi ad avvalorare in modo specifico la
compresenza del ricorrente, non necessari secondo quanto detto in precedenza.
4.3 Quanto al secondo motivo la manifesta infondatezza è del tutto palese, in
ragione del fatto che più persone – tra cui il ricorrente – aggredirono con brutale
violenza, come ampiamente descritto in sede di merito, l’Obazee, utilizzando
strumenti dalla particolare lesività e indirizzando i colpi, ripetuti, al capo, tanto
da provocare più fratture al cranio e al volto con emorragia cerebrale.
Trattasi di azione considerata – in modo del tutto aderente alle risultanze
istruttorie – ampiamente idonea a determinare, in rapporto alle sedi colpite, la
morte della vittima e portata con modalità tali da rendere del tutto palese il
relativo elemento psicologico doloso di tipo diretto.
La constatazione operata nei giudizi di merito della violentissima aggressione delle sue modalità e delle sue conseguenze – rende del tutto superflua la verifica
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raggiungimento – in caso di condanna – della prova positiva del fatto al di là di

del movente specifico – argmento su cui si basa il motivo di ricorso – essendo
emerso ampiamente il contesto di animosità tra gruppi contrapposti che rende
del tutto plausibile, pur essendo rimaste sullo sfondo le specifiche motivazioni
dell’azione, l’esistenza in capo agli aggressori della piena volontà omicida.
Il ricorso in esame, per quanto sinora affermato, va dichiarato inammissibile.
Alla declaratoria di inammissibilità consegue ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen.
la condanna al pagamento delle spese processuali e , in mancanza di elementi
atti ad escludere’la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, la

ammende che stimasi equo determinare in euro 1,000,00 .

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali e – ciascuno – al versamento alla cassa delle ammende di una
somma che si determina in euro 1.000,00 per Omoregye e in euro 500,00 per
Inyere.

Così deciso il 12 marzo 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

condanna al versamento di una somma di denaro in favore della cassa delle

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