Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2723 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2723 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

Data Udienza: 26/11/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CARBONARO MICHELE N. IL 24/07/1969
avverso la sentenza n. 6128/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
21/03/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persopa del Dott. r–) Fa.aLA,Q,
che ha concluso per ,e i

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.
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RITENUTO IN FATTO

1. La

Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo

grado, condannava il Carbonaro alla pena di anni due, mesi tre di reclusione ed
euro 600 di multa per i reati di rapina, tentata violenza privata (così riqualificato
il fatto originariamente contestato come violenza privata), percosse ed ingiurie .
Il Carbonaro veniva invece assolto dal reato di danneggiamento.

deduceva:
2.1. vizio di motivazione. Si deduceva la illegittima valutazione di attendibilità
delle dichiarazioni della parte civile che non trovavano conferma, con specifico
riguardo all’aggressione fisica da questa patita, nelle dichiarazioni dei testi
oculari Baglione e Grundenberg; si lamentava inoltre la omessa motivazione in
relazione alla riqualifica della condotta inquadrata come rapina, nella più lieve
fattispecie prevista dall’art. 624 bis cod. pen., e la carenza di elementi di prova
in ordine al fatto che le lesioni fossero riconducibili alla condotta dell’imputato
essendo le stesse compatibili anche con gli esiti di un tamponamento.
2.2. violazione di legge. Si deduceva la illegittima reiezione del riconoscimento
della causa di non punibilità prevista dall’art. 599 comma 2 cod. pen. In
relazione al reato di cui all’art. 594 cod. pen. nella prospettiva del ricorrente il
comportamento della Cangemi, ovvero quello di mentire all’imputato, malgrado
la relazione con lo stesso fosse in corso, integrasse un fatto ingiusto.
2.3. Vizio di motivazione in relazione alla tentata violenza privata, si deduceva
che il comportamento posto in essere dall’imputato, ovvero l’inseguimento della
autovettura a bordo della quale si trovava la Cangemi non fosse idonea ad
integrare il reato contestato;
2.4. vizio di motivazione; si deduceva che la Corte territoriale aveva omesso di
valutare le doglianze in ordine alla entità del risarcimento danni ritenuta dal
ricorrente sproporzionata e non provata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso sono manifestamente infondati in
quanto mirano, attraverso la deduzione di un asserito vizio di motivazione a
proporre alla Corte di legittimità una inammissibile lettura alternativa delle
emergenze processuali. Il vizio di motivazione per superare il vaglio di
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2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato che

ammissibilità non deve essere diretto a censurare genericamente la valutazione
di colpevolezza, ma deve invece essere idoneo ad individuare un preciso
difetto del percorso logico argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso
identificabile come illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile
come carenza od omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella
mancata presa in carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle
prove a sostegno delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
E’ noto infatti che il perimetro della giurisdizione di legittimità è limitato alla
rilevazione delle illogicità manifeste e delle carenze motivazionali, ovvero di vizi

specifici del percorso argomentativo, che non possono dilatare l’area di
competenza della Cassazione alla rivalutazione dell’interno compendio
indiziario. Le discrasie logiche e le carenze motivazionali per essere rilevanti
devono, inoltre, avere la capacità di essere decisive, ovvero essere idonee ad
incidere il compendio indiziario, incrinandone la capacità dimostrativa. Il vizio di
motivazione per superare il vaglio di ammissibilità non deve dunque essere
diretto a censurare genericamente la valutazione di colpevolezza, ma deve
invece essere idoneo ad individuare un preciso difetto del percorso logico
argomentativo offerto dalla Corte di merito, sia esso identificabile come
illogicità manifesta della motivazione, sia esso inquadrabile come carenza od
omissione argomentativa; quest’ultima declinabile sia nella mancata presa in
carico degli argomenti difensivi, sia nella carente analisi delle prove a sostegno
delle componenti oggettive e soggettive del reato contestato.
Nel caso di specie, come evidenziato in premessa, il ricorrente piuttosto che
rilevare vizi decisivi della motivazione si limitava a offrire una interpretazione
degli elementi di prova raccolti diversa da quella fatta propria dalla Corte di
appello in contrasto palese con le indicate linee interpretative.
Nel caso di specie la Corte territoriale accertava la responsabilità in ordine ai
reati di rapina e di lesioni sulla base delle emergenze processuali ed in
particolare delle testimonianze di Baglioni e Grundemberg: la valutazione offerta
è coerente con le emergenze processuali e non manifestamente illogica. Peraltro
il ricorrente pur deducendo un travisamento delle prove dichiarative non allegava
i relativi verbali, con violazione del principio di autosufficienza del ricorso.
1.2. Anche la doglianza circa l’erroneo inquadramento della condotta del
ricorrente nella fattispecie di rapina, piuttosto che in quella prevista dall’art. 624
bis cod. pen. è manifestamente infondata. L’invocata riqualifica avrebbe infatti
d ov u tovto n seg u e nte ad un rilettura delle emergenze processuali che escludesse
l’azione violenta nei confronti della persona. Invero i giudici di merito, in modo
conforme, sia in primo grado che in appello, hanno ritenuto che la violenza sia
stata diretta proprio nei confronti della donna.
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1.3. Inammissibile è anche il motivo che deduce la violazione dell’art. 599 cod.
pen. in relazione alla contestata ingiuria. Il collegio condivide la giurisprudenza
secondo cui in tema di ingiuria, l’esimente della provocazione di cui all’art. 599,
secondo comma, cod. pen., si configura in presenza di un comportamento
contrario alle norme giuridiche ovvero all’insieme delle regole sociali vigenti in un
contesto di civile convivenza (Cass. sez. 5, n. 43637 del 24/04/2015, dep.
2015, Rv. 264924). La Corte di legittimità ha anche avuto modo di precisare che
in tema di ingiuria e diffamazione, il comportamento provocatorio, di cui alla

quando non integra gli estremi di un illecito codificato, deve essere contrario alla
civile convivenza secondo una valutazione oggettiva e non in ragione della
percezione negativa che del medesimo abbia avuto l’agente (Cass. sez. 5, n.
25421 del 18/03/2014, Rv. 259882)
Nel caso di specie, il comportamento asseritamente ingiusto, ovvero la condotta
tenuta della persona offesa nell’atto di mentire all’imputato sul modo in cui
avrebbe trascorso la sera in cui si sono verificati i fatti, non integra né un
comportamento illecito, né un comportamento contrario alle regole sociali
vigenti in un contesto di civile convivenza; nulla rilevando al riguardo la
soggettiva percezione di ingiustizia verificatasi in capo all’imputato.
1.4. Anche la doglianza relativa alla motivazione concernente la quantificazione
del risarcimento dei danni è manifestamente infondata. La Corte di appello dà
atto della esistenza di danni patrimoniali e morali direttamente derivanti dalle
condotte contestate all’imputato (la cui gravità si deduce dal precedente
percorso logico argomentativo) e, con valutazione equitativa, non censurabile
nella misura in cui non si rinvengono elementi di manifesta sproporzione,
liquidava il danno nella sua interezza (comprensivo della componente morale e
di quella patrimoniale) nella somma di euro diecimila.

2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che si determina equitativamente in C 1000,00.

P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000.00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 26 novembre 2015
DEPOSITATO IN CANCELLERIA

causa di non punibilità prevista dall”art. 599, comma secondo, cod. pen., anche

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