Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2721 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2721 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GIOVACCHINI FRANZ AGOSTINO N. IL 10/11/1948
avverso la sentenza n. 6978/2012 CORTE APPELLO di MILANO, del
29/04/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Ci,
che ha concluso per
A’ AIA.

Udito, per la parte civile ‘Avv
Uditi difensor Avv.

1:1

(-

)

Li’LLJO

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte di appello di Milano confermava la condanna dell’imputato alla pena
di anno uno mesi due di reclusione ed euro 600 di multa per il reato di rapina
impropria.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato che
deduceva:

la prova delle minacce che non sarebbero state udite dal direttore del
supermercato presente ai fatti con conseguente necessità di riqualificare il fatto
come furto; le minacce contestate non sarebbero inoltre né univoche, né
finalizzate a garantirsi l’impunità. Si deduceva anche che l’imputato sarebbe
rimasto nella sfera di controllo degli addetti alla sorveglianza con conseguente
mancata consumazione del reato.
2.2. vizio di motivazione in relazione al mancato riconoscimento delle generiche.
Per denegarle si faceva riferimento a due precedenti ovvero ad un risalente
omicidio colposo e ad un reato depenalizzato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato.
1.1. Il primo motivo dì ricorso è manifestamente infondato. Quanto al fatto che
il direttore del supermercatAn avrebbe udito le minacce, la Corte territoriale è
chiara nello svalutare la circostanza: nella interpretazione del collegio di merito
il direttore potrebbe non avere percepito le espressioni minaccioso udite dal teste
Parenti sia perché giunto in un momento successivo sia per altri motivi. Tale
elemento non era comunque idoneo a demolire la forza probatoria delle
dichiarazioni della Parenti, ovvero della persona cui erano state rivolte le
minacce.
Anche la

valutazione della idoneità coercitiva delle minacce risulta con

chiarezza, sebbene in modo implicito, dal tessuto argomentativo della sentenza
impugnata. Dire alla vittima che l’avrebbe «aspettata fuori» e «gonfiata di
botte» è espressione con una carica minatoria oggettiva che non richiede, per
la sua autoevidenza, l’esame dell’effetto coercitivo in concreto esercitato sulla
vittima. Né vi sono dubbi in ordine alla evidente finalità della condotta minatoria
ad evitare le conseguenze del controllo della Parenti, dipendente del
supermercato.

2

2.1. violazione di elegge e vizio di motivazione. Si deduceva che mancherebbe

Infine:

risulta che l’imputato sia stato sorpreso oltre la barriera delle casse e

non vi sono elementi in atti per ritenere che lo stesso fosse sottoposto a
sorveglianza continua.
Le sezioni unite della Cassazione hanno stabilito che in caso di furto in
supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante
appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero
attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti
addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il

del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente
conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità
della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del
soggetto passivo (Cass., sez. un. n. 52117 del 17/07/2014, Rv. 261186).
Tale giurisprudenza sulla effettività dell’impossessamento incide anche nella
valutazione delle condotte inquadrabili nella rapina impropria. Tuttavia nel caso
di specie il ricorrente non allegava le fonti di prova dalle quali sarebbe evincibile
la continuità della sorveglianza, limitandosi ad asserirla.
La qualificazione giuridica del fatto come rapina impropria appare pertanto
legittima.
1.2 Le doglianze relative alla carenza di motivazione della parte della sentenza
che respinge la richiesta di concessione delle attenuanti generiche devono
essere considerate manifestamente infondate e dunque inammissibili.
Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche non è
necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Cass.

Sez. 6, n. 34364 del

16/06/2010 Rv. 248244; Cass. Sez. 1^ sent. n. 3772 del 11.01.1994 dep.
31.3.1994, rv 196880).
La concessione delle attenuanti generiche richiede infatti l’apprezzamento di
elementi positivi che orientino la discrezionalità affidata al giudice nella
definizione del trattamento sanzionatorio verso la attribuzione di una sanzione
meno afflittiva.
Nel caso di specie in coerenza con tali linne ermeneutiche la corte d appello
considerava ostativi i precedenti penali vantati e l’assenza di segnali di
resi piscenza .

conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione

r

2. Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art.
616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese
processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che si determina equitativamente in € 1000,00.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000.00 alla Cassa delle ammende.

L’estensore

Il Presidente

Così deciso in Roma, il giorno 26 novembre 2015

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