Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2720 del 26/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2720 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: RECCHIONE SANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
HU SHAOYUAN N. IL 22/09/1966
avverso la sentenza n. 2308/2007 CORTE APPELLO di BARI, del
17/10/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. SANDRA RECCHIONE
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. 21 ,
che ha concluso per f’,1_ \

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 26/11/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1a Corte di appello di Bari confermava la condanna inflitta all’imputato dal
Gup di Bari. L’Hu, cui veniva contestata una ricettazione di articoli di pelletteria
oggetto di contraffazione veniva condannato alla pena di mesi sei di reclusione
ed euro 140 di multa.

2. Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore

2.1. vizio di motivazione nella parte in cui la Corte di appello non si pronunciava
sulla prescrizione, che nella prospettiva del ricorrente sarebbe decorsa.
2.2. violazione di legge e vizio di motivazione. Si deduceva che malgrado fosse
emerso che l’imputato non comprendesse la lingua italiana veniva
illegittimamente respinta l’eccezione di nullità del decreto di citazione in appello
in quanto non tradotto;
2.3. vizio di motivazione in ordine alla quantificazione della pena. Si deduceva
che il numero dei capi ricettati non si evinceva, sicchè lo stesso non poteva
essere tenuto in considerazione come punto di riferimento per la quantificazione
della pena. Anche il richiamo al precedente specifico, nella prospettiva del
ricorrente non era idoneo a giustificare la conferma del trattamento
sanzionatorio;
2.4 carenza di motivazione nella parte in cui non veniva trattato il motivo di
doglianza relativo alla concessione della sospensione della pena senza tenere in
considerazione la possibilità di applicare l’indulto;
2.5. vizio di motivazione in relazione al riconoscimento del dolo. Si deduceva
che, in assenza di una perizia che certificasse la contraffazione non poteva dirsi
raggiunta la prova del dolo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.11 ricorso è manifestamente infondato.
1.1. La doglianza circa l’omessa motivazione in ordine alla richiesta declaratoria
di estinzione per prescrizione è manifestamente infondata. Il controllo sul
decorso dei termini di prescrizione è un adempimento concernente la verifica
della legittimità delle progressione processuale che incombe sul giudice che
procede a prescindere dall’impulso di parte; sicchè nei casi come in quello per
cui si procede in cui il termine non risulta in alcun modo decorso non insiste sul
giudice alcun onere di motivazione sul punto.

2

dell’imputato che deduceva:

..

1.2. Anche il motivo di ricorso che deduce la lesione del diritto dell’imputato alla
partecipazione consapevole al processo attraverso la traduzione degli atti è
manifestamente infondato.
Il collegio ribadisce che il presupposto per la applicazione dell’obbligo di
traduzione è l’accertamento della mancata conoscenza della lingua italiana. Si
tratta di un accertamento di merito, che non prevede il rispetto di un
procedimento specifico e non risulta dipendente rispetto di parametri
legislativi predefiniti (Cass. sez. 3, n. 19195 del 04/02/2015, Rv. 263465).

ai parametri che devono essere utilizzati per la valutazione della conoscenza
della lingua colloca tale apprezzamento nell’area delle valutazioni di merito
che sono sottratte, in assenza di illogicità manifeste o di incoerenze con le
emergenze procedimentali, alla rivalutazione in sede di legittimità. Il vizio,
qualora riconosciuto, deve comunque essere inquadrato come nullità generale
a regime intermedio, con conseguente sottoposizione al relativo statuto
processuale.
Nel caso di specie il collegio di merito rilevava come, già all’atto della
identificazione, l’imputato avesse declinato le sue generalità in italiano. Inoltre
lo stesso, nel corso del giudizio abbreviato, aveva dichiarato di essere in Italia
da circa undici anni e si era difeso nel merito dalle accuse, così dimostrando
sufficiente capacità di comprensione della lingua. Si tratta di una valutazione di
merito non manifestamente illogica e coerente con le emergenze processuali che
si sottrae al sindacato di legittimità.
Inoltre il fatto, dedotto dai ricorrente, che l’imputato avesse risposto «in
maniera confusa e non comprensibile» alla domanda se avesse visto le borse
che aveva acquistato in altri negozi italiani non è necessariamente indice di
cattiva comprensione della lingua, potendo essere riferita alla incapacità di
fornire una risposta adeguata alla domanda.
Infine: la Corte di appello rilevava che la lesione del diritto di difesa non veniva
eccepita nel corso del giudizio abbreviato con conseguente sanatoria nella
invocata nullità generale a regime intermedio, ai sensi dell’art. 182 cod. proc.
pen.
1.3. Le doglianze in ordine al trattamento sanzionatorio sono manifestamente
infondate. La determinazione in concreto del trattamento sanzionatorio è frutto
di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità. Al riguardo si
condivide la giurisprudenza della Corte di cassazione secondo cui la graduazione
della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le
circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di
merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi

La assenza di indicazioni legislative in merito alle modalità dell’accertamento ed

enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della
congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di
ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Cass. sez. 5, n.
5582 del 30/09/2013, dep. 2014, Rv. 259142).Pertanto il giudice di merito, con
la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei
criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della
motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non

(Cass. Sez. 2, sent. n. 12749 del 19/03/2008, dep. 26/03/2008, Rv. 239754;
Sez. 4, sent. n. 56 dei 16/11/1988, dep. 5/1/1989 rv 180075). La
determinazione in concreto della pena costituisce, infatti, il risultato di una
valutazione complessiva e non di un giudizio analitico sui vari elementi offerti
dalla legge, sicché l’obbligo della motivazione da parte del giudice
dell’impugnazione deve ritenersi compiutamente osservato, anche in relazione
alle obiezioni mosse con i motivi d’appello, quando egli, accertata l’irrogazione
della pena tra il minimo e il massimo edittale, affermi di ritenerla adeguata o non
eccessiva. Ciò dimostra, infatti, che egli ha considerato sia pure intuitivamente e
globalmente, tutti gli aspetti indicati nell’art. 133 cod. pen. ed anche quelli
specificamente segnalati con i motivi d’appello (Cass. Sez. 6, sent. n. 10273 del
20.5.1989 dep. 12.7.1989 rv 181825. Conf. mass. N. 155508; n. 148766; n.
117242).
Nel caso di specie la Corte territoriale invocava come elementi di fatto utili per
giustificare la definizione della sanzione sia le modalità del fatto (ovvero la
quantità dei capi ricettati evincibile dal verbale di sequestro) che il precedente
vantato, in coerenza con le indicate linee ermeneutiche.
1.3. Anche il motivo di ricorso che si duole della applicazione della sospensione
condizionale della pena senza impulso di parte è manifestamente infondato.
,

La concessione dei benefici e la definizione in concreto del trattamento
sanzionatorio dipendono dalla discrezionalità del giudice e non sono in alcun
modo condizionati dall’impulso di parte. Peraltro l’invocata preclusione
all’accesso al diverso beneficio dell’indulto non trova conforto nella
giurisprudenza della Cassazione che nella sua più autorevole composizione ha
stabilito la prevalenza del beneficio della sospensione condizionale su quello
dell’indulto (Cass. sez. U, n. 36837 del 15/07/2010, Rv. 247940).
1.4. Anche le doglianze in ordine alla carenza dell’elemento soggettivo sono
inammissibili. La Corte di appello ha infatti valutato come circostanze indicative
della consapevolezza dell’illecita la mancanza di giustificazioni plausibili circa il
possesso dei capi contraffatti e la non conferenza delle fatture prodotte. Si
4

postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto

tratta di una motivazione coerente con le linee ermeneutiche tracciate in materia
dalla Corte di legittimità secondo cui ai fini della configurabilità del delitto di
ricettazione, la mancata, o inverosimile giustificazione del possesso di una cosa
proveniente da delitto costituisce prova della conoscenza della sua illecita
provenienza. (Cass. Sez. 2, n. 41423 del 27/10/2010, Rv. 248718; nello stesso
senso Cass. Sez. 2, n. 2804 del 05/07/1991 dep 1992 Rv. 189396).

2.Alla dichiarata inammissibilità del ricorso consegue, per il disposto dell’art.

processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una
somma che si determina equitativamente in C 1000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 1000.00 alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il giorno 26 novembre 2015

L’estensore

Il Presidente

616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese

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