Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27196 del 12/06/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27196 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: ZOSO LIANA MARIA TERESA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ANTICOLI CESARE AHARON N. IL 24/05/1986
avverso la sentenza n. 6584/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/01/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/06/2015 la relazione fatta dal
Consi gliere Dott. LIANA MARIA TERESA ZOSO
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Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
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che ha concluso per

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Udito, per la parte civile, l’,Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/06/2015

RITENUTO IN FATTO

1.11 gip presso il tribunale di Milano, con sentenza del 30 gennaio 2014, condannava Anticoli
Cesare Aharon alla pena di anni cinque di reclusione ed euro 20.000,00 di multa, con il ritiro della
patente di guida per la durata di due anni e l’interdizione dai pubblici uffici per la durata di cinque
anni, in quanto ritenuto colpevole di vari reati di detenzione di sostanze stupefacenti di tipo
cocaina, hashish e marjuana, della coltivazione di 11 piante di marijuana di medie dimensioni,

il 18 giugno 2013. In particolare, l’imputato era stato trovato in possesso di un borsone al cui
interno si trovavano 10 panetti di cocaina pura al 70% per il peso lordo di circa 11 chili ed C
10.000,00 banconote di vario taglio. Eseguita la perquisizione domiciliare, erano stati rinvenuti la
pistola e le munizioni, 61 g di hashish, 217,3 g di marijuana, un bilancino di precisione, le somme
di euro 1710,00 ed euro 32.520,00 all’interno di una cassettina di sicurezza posta sotto il letto e
10 piante di marijuana di medie dimensioni. L’indagato aveva riferito di detenere la cocaina per
conto di un tale Vito che, in cambio della sua di attività, lo ricompensava con C 500,00 e 5 g di
cocaina. Per conto del tale Vito aveva custodito almeno tre partite di droga e, quanto all’ultima,
l’aveva appena ricevuta dal fornitore. Il gip riteneva accertata la responsabilità dell’imputato per i
reati di detenzione al fine di spaccio sia della cocaina che della marijuana ed hashish e, in
relazione alla detenzione della cocaina, riteneva sussistente l’aggravante di cui all’articolo 80
d.p.r. 309/90, trattandosi di un quantitativo rilevante; infine riconosceva le attenuanti generiche
con giudizio di equivalenza sull’aggravante contestata e riteneva la continuazione fra tutti i fatti
ascritti.
La corte d’appello di Milano, con sentenza del 26 gennaio 2014, confermava la sentenza del gip.
2. Avverso la sentenza della corte d’appello proponeva ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo
del suo difensore, svolgendo cinque motivi di doglianza.
2.1. Con il primo motivo deduceva vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del
reato di detenzione al fine di spaccio dell’hashish e della marijuana rinvenuta presso la sua
abitazione in quanto la corte d’appello aveva ritenuto, con motivazione illogica, che la sostanza
fosse detenuta non già per uso personale ma per essere ceduta a terzi sulla base del fatto che era
stato rinvenuto un bilancino ed il denaro nel cassetto. In realtà la sostanza era il frutto della
coltivazione domestica ed aveva travisato la prova la corte territoriale ritenendo che egli non fosse
consumatore di cannabinoidi poiché egli aveva dichiarato di essere assuntore degli stessi sin
dall’adolescenza e non di esserlo stato solamente quand’era adolescente. Inoltre la fonte
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della detenzione di un’arma clandestina e di munizionamento. Il fatto era stato accertato in Milano

confidenziale da cui aveva tratto origine l’indagine aveva riferito del coinvolgimento dell’imputato
in un traffico di cocaina e non nello spaccio di cannabinoidi quali hashish e marjuana.
2.2. Con il secondo motivo deduceva vizio di motivazione derivante anche da travisamento della
prova in relazione al reato di coltivazione di 11 piante di marijuana di medie dimensioni, stante
l’inoffensività concreta della coltivazione domestica in quanto il prodotto finale era destinato
all’uso personale. Invero la corte territoriale aveva ritenuto che la pesante scorta di marijuana
rinvenuta era in insanabile contrasto con la destinazione al consumo personale anche della

scorta ma di una scorta del tutto compatibile con l’uso personale. Non sussisteva, poi, l’offensività
della condotta in quanto sul peso netto delle foglie era stato rinvenuto un principio attivo quasi
nullo e, peraltro, su soli tre reperti mentre otto piantine non erano state nemmeno analizzate. In
ogni caso si doveva ritenere l’inoffensività della condotta perché la coltivazione era finalizzata
all’uso personale, tenuto conto che egli era un abituale consumatore di cannabinoidi.
2.3. Con il terzo motivo deduceva vizio di motivazione in relazione alla ritenuta aggravante di cui
all’articolo 80 d.p.r. 31990, contestata per il reato di detenzione di 11 kg di cocaina. Invero,
benché fosse stato superato il valore soglia stabilito dalla corte di cassazione per la cocaina anche
con recenti arresti, tale superamento non implicava alcuna automatica configurabilità
dell’aggravante ed avrebbe dovuto motivare la corte d’appello in ordine alla sussistenza effettiva
degli elementi che inducevano a ritenere sussistente l’aggravante stessa. Inoltre mancava
l’imputabilità soggettiva dell’aggravante in quanto si era ritenuto che l’imputato avesse avuto
contezza del peso della sostanza da lui detenuta per conto di tale Vito senza che vi fosse la prova
che egli avesse avuto consapevolezza del peso effettivo della sostanza, avendo solo trasportato il
borsone che la conteneva.
2.4. Con il quarto motivo deduceva vizio di motivazione in relazione agli aumenti in continuazione
per i reati di detenzione di hashish e marjuana, di coltivazione delle 11 piante di marijuana e della
detenzione di arma con matricola abrasa. Invero si trattava di condotte che costituivano, assieme
alla detenzione della cocaina, un unico reato e la corte d’appello aveva immotivatamente ritenuto
che si trattasse di fatti diversi non per la diversità delle sostanze ma delle condotte. In particolare,
per quanto riguardava la detenzione della marijuana, tale condotta doveva ritenersi assorbita in
quella di coltivazione delle piante di marijuana. La motivazione era, poi, mancante o
manifestamente illogica laddove non si era tenuto conto che si trattava di detenzione di un
modesto quantitativo di hashish e marijuana e che il fatto avrebbe dovuto essere sussunto
nell’ipotesi lieve di cui al quinto comma dell’articolo 73 d.p.r. 319/90. Anche per quanto
riguardava la pena irrogata in continuazione per la detenzione dell’arma, la motivazione appariva
2

marijuana che sarebbe stata prodotta dalla coltivazione. In realtà non si trattava di una pesante

illogica in quanto l’acquisto dell’arma stessa non era avvenuto per sentirsi più sicuro dopo aver
ricevuto minacce da Vito, come aveva ritenuto la corte d’appello, ma per collezionismo.
2.5. Con il quinto motivo deduceva vizio di motivazione in relazione al giudizio di equivalenza e
non di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante in relazione
al reato di detenzione della cocaina, tenuto conto dell’incensuratezza, del ruolo del tutto
subalterno nella vicenda di mero trasporto e custodia dello stupefacente e del suo stato di
tossicodipendente disoccupato. Non era stato tenuto conto, poi, della presa di coscienza degli

tossicodipendenti.
2.6. Con il sesto motivo deduceva vizio di motivazione in relazione all’applicazione alla durata
della pena accessoria del ritiro della patente di guida ex articolo 85 d.p.r. 309/90, avendo ritenuto
i giudici di merito che la patente sarebbe stata strumentale alla commissione dei reati. La
motivazione era illogica in quanto risultava che l’Anticoli aveva utilizzato solo occasionalmente uno
dei due motoveicoli che erano nella sua disponibilità.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1.In ordine al primo motivo di ricorso, occorre premettere che alla luce della nuova formulazione
dell’art. 606 c.p.p., lett. e), novellato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, art. 8, il sindacato del
giudice di legittimità sul discorso giustificativo del provvedimento impugnato deve essere volto a
verificare che la motivazione della pronunzia: a) sia “effettiva” e non meramente apparente, ossia
realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione
adottata; b) non sia “manifestamente illogica”, in quanto risulti sorretta, nei suoi punti essenziali,
da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non
sia internamente contraddittoria, ovvero sia esente da insormontabili incongruenze tra le sue
diverse parti o da inconciliabilità logiche tra le affermazioni in essa contenute; d) non risulti
logicamente “incompatibile” con “altri atti del processo” (indicati in termini specifici ed esaustivi
dal ricorrente nei motivi posti a sostegno del ricorso per cassazione) in termini tali da risultarne
vanificata o radicalmente inficiata sotto il profilo logico (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula).
Non è, dunque, sufficiente che gli atti del processo invocati dal ricorrente siano semplicemente
“contrastanti” con particolari accertamenti e valutazioni del giudicante o con la sua ricostruzione
complessiva e finale dei fatti e delle responsabilità ne’ che siano astrattamente idonei a fornire
una ricostruzione più persuasiva di quella fatta propria dal giudicante. Ogni giudizio, infatti,
implica l’analisi di un complesso di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro
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errori commessi e della sottoposizione spontanea dell’imputato al programma terapeutico per

ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra loro e
convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno
contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini
chiari e comprensibili, ad un pubblico composto da lettori razionali del provvedimento. È, invece,
necessario che gli atti del processo richiamati dal ricorrente per sostenere l’esistenza di un vizio
della motivazione siano autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la
loro rappresentazione sia in grado di disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e

incongrua o contraddittoria la motivazione (Cass., Sez. 6, 15 marzo 2006, Casula).
Il giudice di legittimità è, pertanto, chiamato a svolgere un controllo sulla persistenza o meno di
una motivazione effettiva, non manifestamente illogica e internamente coerente, a seguito delle
deduzioni del ricorrente concernenti “atti del processo”. Tale controllo, per sua natura, è destinato
a tradursi – anche a fronte di una pluralità di deduzioni connesse a diversi “atti del processo” e di
una correlata pluralità di motivi di ricorso – in una valutazione, di carattere necessariamente
unitario e globale, sulla reale “esistenza” della motivazione e sulla permanenza della “resistenza”
logica del ragionamento del giudice. Al giudice di legittimità resta, infatti, preclusa, in sede di
controllo sulla motivazione, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento
della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione
dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perché ritenuti maggiormente plausibili o
dotati di una migliore capacità esplicativa. Queste operazioni trasformerebbero, infatti, la corte
nell’ennesimo giudice del fatto e le impedirebbero di svolgere la peculiare funzione assegnatale dal
legislatore di organo deputato a controllare che la motivazione dei provvedimenti adottati dai
giudici di merito (a cui le parti non prestino autonomamente acquiescenza) rispetti sempre uno
standard di intrinseca razionalità e di capacità di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito dal
giudice per giungere alla decisione (Sez. 1, n. 41738 del 19/10/2011, Longo, Rv. 251516 ).
Esaminata in quest’ottica, la motivazione della sentenza impugnata non appare affetta da illogicità
laddove è stato ritenuto che le sostanze hashish e marijuana rivenute nell’abitazione del
prevenuto non fossero destinate all’uso personale, tenuto conto che il rinvenimento del bilancino
evidenziava che l’Anticoli lo usava per la suddivisione delle dosi e che le somme di denaro
rinvenute non potevano ritenersi essere il corrispettivo per il trasporto e la detenzione della
cocaina effettuati per conto di tale Vito poiché questi pagava solo euro 500 per ogni carico,
l’imputato aveva dichiarato di aver collaborato con Vito in tutto quattro volte e, tenuto conto che
era disoccupato ed il denaro gli serviva per vivere, le somme rinvenute non potevano giustificarsi
se non come proventi della cessione delle droghe leggere. Correttamente la corte d’appello la
ritenuto irrilevante la circostanza che l’Anticoli fosse consumatore di cannabinoidi, tenuto conto
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determini al suo interno radicali incompatibilità, così da vanificare o da rendere manifestamente

che, se avesse anche dovuto acquistare gli stessi, il denaro ricavato dal solo svolgimento degli
incarichi per conto di Vito non sarebbe stato sufficiente.
Con riguardo, poi, al fatto che le droghe leggere rinvenute sarebbero state ricavate dalla
coltivazione domestica delle piante, quanto sostenuto dal ricorrente è riferibile solamente ai 217,3
g di marijuana ed appare in netta contraddizione

Gn

quanto da luti stesso sostenuto, laddove

afferma la irrilevante offensività della coltivazione poiché il principioiattivo contenuto nelle foglie
era irrisorio. Non rileva, poi, onde affermare l’illogicità della motivazione, il fatto che

quanto la corte territoriale ha ritenuto provato il reato ascritto sulla base di elementi positivi
consistenti nella quantità rinvenuta, incompatibile con l’uso personale, nonché nel rinvenimento
del bilancino e del denaro.
Il motivo di ricorso è, perciò, infondato.
2. Il secondo motivo è fondato nei limiti che si vanno ad esporre.
E’ stato ritenuto che non assume rilievo il fatto che la coltivazione sia preordinata all’uso personale
della sostanza ricavabile, posto che costituisce condotta penalmente rilevante qualsiasi attività
non autorizzata di coltivazione di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti, anche
quando sia realizzata per la destinazione del prodotto ad uso personale ( Sez. U, n. 28605 del
24/04/2008, Di Salvia, Rv. 239920; Sez. 6, n. 49528 del 13/10/2009, P.M. in proc. Lanzo, Rv.
245648 ). Perciò l’azione tipica della coltivazione si individua senza alcun riguardo
all’accertamento della destinazione della sostanza ma occorre che sia realizzato il pericolo
presunto rappresentato dall’offensività della condotta. Ciò posto, nella individuazione del
compimento della azione tipica nel singolo caso va applicata la regola di necessaria sussistenza
della offensività in concreto, con ciò intendendosi che, pur realizzata l’azione tipica, va esclusa la
punibilità di quelle condotte che siano in concreto inoffensive per essere sostanzialmente
irrilevante l’aumento di disponibilità di droga e non prospettabile alcuna ulteriore diffusione della
sostanza oppure quando gli arbusti non sono prevedibilmente in grado di rendere, all’esito di un
fisiologico sviluppo, quantità significative di prodotto dotato di effetti droganti ( Sez. 6, n. 33835
del 08/04/2014,Pg in proc. Piredda, Rv. 260170; Sez. 6, n. 22110 del 02/05/2013, P.M. in proc.
Capuano, Rv. 255733; Sez. 6, n. 6753 del 09/01/2014, M, Rv. 258998).
Si impone, dunque, di verificare se, a fronte della realizzazione della condotta tipica, che è la
coltivazione di una pianta, la minima entità della coltivazione sia tale da escludere la possibile
diffusione della sostanza producibile. Nel caso che occupa non si evince dalle sentenze di merito
quale quantità di stupefacente fosse ricavabile dalle 11 piante di marijuana rinvenute, anche
5

l’informatore avesse dichiarato che l’Anticoli era implicato nello spaccio della sola cocaina in

tenuto conto del prevedibile sviluppo di esse, e non è dato, dunque, apprezzare l’offensività in
concreto della condotta ascritta all’imputato, per il che si impone l’annullamento con rinvio della
sentenza impugnata per nuovo esame sul punto.
3. In ordine al terzo motivo di ricorso, si osserva che esso è infondato. Invero la corte di
legittimità ha affermato il principio secondo cui, in tema di produzione, traffico e detenzione illeciti
di sostanze stupefacenti, l’aggravante della ingente quantità, di cui all’art. 80, comma secondo,
d.P.R. n. 309 del 1990, non è di norma ravvisabile quando la quantità sia inferiore a 2.000 volte il

allegata al d.m. 11 aprile 2006, ferma restando la discrezionale valutazione del giudice di merito,
quando tale quantità sia superata ( Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012 – dep. 20/09/2012, P.G. e
Biondi, Rv. 253150).
Ed è stato altresì ritenuto che, sebbene a seguito della sentenza di incostituzionalità degli articoli
4-bis e 4-vicies ter della legge n. 49/2006, di cui alla sentenza n. 32 del 2014, il legislatore ha
modificato il sistema tabellare che ne era conseguito, introducendo con il d.l. 36/2014, quattro
nuove tabelle classificatorie delle sostanze stupefacenti, tuttavia i criteri elaborati dalle Sezioni
unite, con la decisione n. del 36258 del 24 maggio 2012 (ric. Biondi), per l’applicazione della
aggravante della ingente quantità mantengono una loro validità, nella misura in cui possono
essere utilizzati come meri criteri orientativi. Infatti, deve tenersi conto che i valori di riferimento
ponderale utilizzati in quella decisione sono stati individuati a seguito di una indagine condotta su
un numero cospicuo di sentenze di merito che avevano ritenuto sussistente l’aggravante di cui al
secondo comma dell’art. 80 d.p.r. 309/1990, indagine che aveva evidenziato una forte
discrezionalità da parte dei giudici nel riconoscere la suddetta aggravante utilizzando peraltro
criteri diversi. Per questa ragione le Sezioni unite hanno individuato criteri in grado di assicurare
una maggiore determinatezza della norma. In sostanza, si tratta di indicazioni orientative che
seppure sorte con riferimento alla disciplina introdotta con la legge n. 49 del 2006, che come è
noto non operava distinzioni in base alla tipologia di stupefacenti e che oggi è stata abrogata per
effetto della sentenza n. 32 della Corte costituzionale, non appaiono incompatibili con il regime
normativo oggi in vigore (cfr., Sez. 6, n. 6331 del 04/02/2015, Berardi, Rv. 262345; Sez. IV, 20
giugno 2014, n. 32136, Jitaru; Sez. IV, 2 luglio 2014, n. 43465, Gallizzi ).
Ora, tenuto conto del valore soglia pari, per la cocaina, a 750 mg, al quale va applicato il
moltiplicatore pari a 2.000, cui si riferisce la citata sentenza delle sezioni unite, deve riconoscersi
che correttamente la corte d’appello ha ritenuto che 11 chilogrammi di cocaina con principio attivo
pari a 7, 436 chilogrammi configuri l’aggravante di cui all’art. 80 d.p.r. 309/90 in quanto, pur
riconoscendosi la discrezionalità del giudice nel valutare l’effettiva sussistenza dell’aggravante in
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valore massimo, in milligrammi (valore – soglia), determinato per ogni sostanza nella tabella

parola, il quantitativo supera in modo considerevole il limite considerato dalla corte di legittimità
pari a 1,5 chilogrammi di principio attivo. La questione, poi, dell’insussistenza dell’elemento
soggettivo per non aver avuto l’imputato contezza del peso della sostanza da lui detenuta per
conto del tale Vito, è stata già esaminata nei giudizi di merito con valutazione immune da vizi
logici ed è inammissibile in questo giudizio.
4. In ordine al quarto motivo di ricorso, si osserva che non sussiste il dedotto vizio di motivazione
per aver la corte d’appello ritenuto la continuazione tra i reati ascritti anziché la sussistenza di un

della diversità delle condotte, essendo quella della detenzione della cocaina finalizzata alla
custodia per conto terzi mentre quella della detenzione dell’hashish e della marijuana allo spaccio
per conto proprio. La corte di merito ha, poi, valutato con motivazione logica la non plausibilità
della detenzione dell’arma a scopo di collezionismo.
Quanto alla quantificazione della pena, che il ricorrente assume eccessiva avuto riguardo agli
aumenti per la continuazione, si osserva che la pena da irrogarsi in concreto sarà determinata dal
giudice del rinvio avuto riguardo all’esito del giudizio. Per quanto concerne il reato di cui al capo B
( detenzione di Hashish e marijuana ), il GIP ha irrogato l’aumento in continuazione nella misura
di mesi due di reclusione e 1.000,00 euro di multa prima della pronuncia della sentenza n. 32
della corte costituzionale in data 11.2.2014 e la corte d’appello ha valutato la congruità della pena
solo in relazione al reato di cui al capo A concernente la cocaina, avendo fatto riferimento alla
forbice edittale che si apre fino a 20 anni di reclusione, ma non ha motivato in ordine alla
congruità della pena irrogata in continuazione per il reato di cui al capo B dopo la modifica della
pena edittale a seguito della citata sentenza della corte costituzionale. Si impone, dunque,
l’annullamento con rinvio per la quantificazione della pena in ordine al reato di cui al capo B.
5. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile. Invero la graduazione della pena, anche in relazione
agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella
discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in
aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.; ne discende che è inammissibile la
censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità
della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia
sorretta da sufficiente motivazione ( Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 – dep. 04/02/2014, Ferrario,
Rv. 259142 ). Nel caso che occupa il tribunale ha tenuto conto che la giovane età e
l’atteggiamento collaborativo del prevenuto inducevano alla concessione delle attenuanti
generiche con giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante contestata e la corte d’appello ha
ritenuto l’irrilevanza degli ulteriori elementi addotti ai fini di un più favorevole trattamento, tenuto
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unico reato avente ad oggetto le diverse sostanze stupefacenti, considerato che è stato dato conto

conto della gravità dei reati ascritti che evidenziavano, come affermato dal tribunale, che il
prevenuto aveva organizzato presso la sua abitazione una vera e propria centrale per lo spaccio di
stupefacenti.
6. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile avendo il tribunale ritenuto che, con motivazione
esaustiva ed esente da vizi logici, che la pena accessoria del ritiro della patente di guida per anni
due, ex articolo 85 d.p.r. 309/90, era giustificata in ragione del fatto che l’imputato si era servito
di differenti mezzi di trasporto per ritirare le partite di cocaina, sicché la patente era risultata

P.Q.M.
Annulla la impugnata sentenza limitatamente alla accertata esistenza del reato di cui al capo C ed
al trattamento sanzionatorio per il reato di cui al capo B rinviando per nuovo esame sui detti punti
alla Corte d’Appello di Milano. Fermo il resto.
Così deciso il 12 giugno 2015.

essere strumentale per la commissione dei reati.

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