Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27193 del 18/06/2014

Penale Sent. Sez. 6 Num. 27193 Anno 2014
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: APRILE ERCOLE

SENTENZA

sul ricorso presentato da
A.A.

avverso la sentenza del 11/10/2012 della Corte di appello di Firenze;

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Ercole Aprile;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Maria
Giuseppina Fodaroni, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. Saverio Giangrandi, che ha concluso chiedendo
l’annullamento della sentenza.

RITENUTO IN FATTO
E CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con la sentenza sopra indicata la Corte di appello di Firenze riformava
parzialmente la pronuncia di primo grado del 07/10/2009, riducendo la pena, e
confermava nel resto la medesima pronuncia con la quale il Tribunale della
stessa città, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato il cittadino

Data Udienza: 18/06/2014

giamaicano A.A. in relazione al reato di cui all’art. 385 cod.
pen. per essersi, il 06/10/2009, arbitrariamente allontanato dalla sua abitazione
dove si trovava sottoposto alla misura cautelare degli arresti domiciliari.
Rilevava la Corte come le emergenze processuali avessero comprovato la
sussistenza del reato contestato e come l’imputato fosse meritevole di una
riduzione della pena inflitta per adeguarla ad un fatto che era risultato di
modesta entità.

Avverso tale sentenza ha presentato ricorso il A.A., con atto

sottoscritto dal suo difensore avv. Saverio Giangrandi, il quale, con due distinti
punti, ha dedotto la violazione di legge, in relazione all’art. 59, comma 4, cod.
pen., ed il vizio di motivazione, per contraddittorietà ed illogicità, per avere la
Corte di appello erroneamente escluso la ricorrenza della causa di giustificazione
putativa dello stato di necessità, pur riconoscendo che l’imputato si fosse
allontanato da casa, lasciando la porta con la chiave nella serratura, per potersi
recare in farmacia ad acquistare un medicinale; nonché la violazione di legge, in
relazione all’art. 385, comma 4, cod. pen., per avere la Corte territoriale
ingiustificatamente negato al A.A. l’attenuante del rientro spontaneo in casa
prima della condanna.

3. Ritiene la Corte che il ricorso vada rigettato.

3.1. Il primo motivo del ricorso è infondato.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo
il quale l’evasione consistente nell’allontanamento del detenuto agli arresti
domiciliari dal luogo in cui è autorizzato a svolgere attività lavorativa richiede il
dolo generico, caratterizzato dalla consapevolezza di allontanarsi in assenza della
necessaria autorizzazione, a nulla rilevando i motivi che hanno determinato la
condotta dell’agente (così, da ultimo, Sez. 6, n. 19218 del 08/05/2012, P.G. in
proc. Rapillo, Rv. 252876).
Di tale

regula iuris

la Corte di appello ha fatto corretta applicazione

osservando, con una motivazione logicamente adeguata, come fosse stato
irrilevante che l’imputato si fosse allontanato da casa per acquistare un
medicinale in quanto “stava male”, atteso che non aveva dato neppure
dimostrazione di non essersi potuto rivolgere ad un vicino di casa per poter
risolvere quel suo problema. In tale ottica, bisogna prendere atto come la
decisione adottata, lungi dall’aver integrato alcuna violazione di legge, si sia
posta in stretta coerenza con quell’indirizzo giurisprudenziale per il quale, in
tema di cause di giustificazione, incombe sull’imputato, che deduca una

2

(i

2.

determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente, se non
un vero e proprio onere probatorio, inteso in senso civilistico, un compiuto onere
di allegazione di elementi di indagine per porre il giudice nella condizione di
accertare la sussistenza o quanto meno la probabilità di sussistenza
dell’esimente. Ne consegue che la mera indicazione di una situazione
astrattamente riconducibile all’applicazione di un’esimente, non può legittimare
la pronuncia assolutoria ex art. 530 cpv. cod. proc. pen., risolvendosi il dubbio
sull’esistenza dell’esimente nell’assoluta mancanza di prova al riguardo (così, tra

3.2. Il secondo motivo del ricorso è inammissibile perché avente ad oggetto
un’asserita violazione di legge non dedotta con l’atto di appello.
L’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. prevede, infatti, espressamente come
causa speciale di inammissibilità la deduzione con il ricorso per cassazione di
questioni non prospettate nei motivi di appello: situazione, questa, con la quale
si è inteso evitare il rischio di un annullamento, in sede di cassazione, del
provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto
alla cognizione del giudice di appello.

4. Al rigetto del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la
condanna del ricorrente al pagamento in favore dell’erario delle spese del
presente procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 18/06/2014

le altre, Sez. 6, n. 15484 del 12/02/2004, P.G. in proc. Raia, Rv. 229446).

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