Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27184 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27184 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
DIUUF ASSANE N. IL 06/07/1965
avverso la sentenza n. 19987/2013 CORTE APPELLO di NAPOLI, del
31/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Geeerale in persona del Dott. ge ji.-\.4.,e&
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
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Data Udienza: 28/05/2015

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Ritenuto in fatto

DIOUF ASSANE ricorre avverso la sentenza di cui in epigrafe che, giudicando in sede di
rinvio, dopo annullamento di questa Corte [Sezione III, 20 giugno 2013- 2 ottobre 2013
n. 40752], gli ha applicato la pena per il residuo reato di cui all’articolo 648, comma 2,
c.p., di mesi uno e giorni venti di reclusione ed euro 150 di multa, convertita in

Nel giudizio di primo grado l’imputato era stato condannato alla pena di mesi due di
reclusione ed euro 200 di multa, per l’ipotesi di ricettazione attenuata, contestatagli al
capo B), e per i reati di cui agli articoli 171 bis e 171 ter commi 1 e 3, legge n. 633 del
1941, contestatigli al capo A).

La Corte di appello, con la sentenza poi annullata da questa Corte, aveva convertito la
pena in quella pecuniaria.

Questa Corte ha annullato con rinvio, avendo dichiarato prescritto il reato di cui al capo
A) e annullando senza rinvio il relativo capo. Il rinvio è stato limitato alla
rideterminazione della pena per il residuo capo B).

Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata, nel rideterminare la pena, avvrebbe
violato il principio del divieto di reformatio in peius .

Considerato in diritto

Il ricorso è manifestamente infondato, alla luce di principi vigente in tema di divieto di
reformatio in peius .

Nel caso di appello presentato dal solo imputato vige il divieto della reformatio in peius,
che trova il proprio riconoscimento normativo nell’articolo 597, commi 3 e 4, c.p.p..

In tale evenienza, il comma 3 di tale articolo prevede che il giudice non può irrogare una
pena più grave per specie o quantità, né applicare una misura di sicurezza nuova o più
grave, prosciogliere l’imputato con formula meno favorevole e revocare benefici, mentre
può solo dare al fatto una qualificazione giuridica diversa e più grave, purchè non siano
superati i limiti di competenza per materia del giudice di primo grado.

complessivi euro 2050.

Il successivo comma 4 rafforza il divieto della reformatio in peius stabilendo che, se viene
accolto l’appello dell’imputato relativo a circostanze o a reati concorrenti, anche se
unificati dalla continuazione, la pena complessiva irrogata deve essere
“corrispondentemente” diminuita.

Su tali principi, di recente, sono esaurientemente intervenute le Sezioni unite con la
sentenza 18 aprile 2013- 2 agosto 2013 n. 33752, Papola, da cui possono trarsi

In particolare, per quanto qui direttamente interessa, discende dalla corretta
interpretazione sistematica dell’articolo 597, commi 3 e 4, c.p.p. che il giudice d’appello,
che accolga il gravame dell’imputato escludendo uno dei reati unificati sotto il vincolo
della continuazione, è tenuto non solo ad irrogare una pena finale inferiore a quella
comminata in primo grado, ma nella determinazione di questa non può procedere a
ricalcolare gli aumenti di pena della continuazione in termini diversi e deteriori da quelli
fatti propri dal primo giudice, né, laddove il reato escluso sia quello che in primo grado
era stato ritenuto di maggiore gravità, assumere come pena base una pena di entità
maggiore di quella determinata dal primo giudice per il reato escluso.

E’ regola di giudizio che si attaglia al caso di specie, laddove il reato unificato ex articolo
81 c.p. è stato escluso da questa Corte, perché prescritto.

Ebbene, non risulta che il giudicante, nel rideterminare la pena, abbia violato i principi
dettati dall’articolo 597 c.p.p., ove si consideri che la pena finale è stata rideterminata in
melius e, inoltre, non vi è stata nessuna illegittima rideterminazione in peius

della pena

base, ove si consideri che il primo giudice tale pena base non aveva determinato [tanto
che questa era stata la ragione dell’annullamento, non avendo potuto questa Corte
rideterminare la pena finale].

Alla inammissibilità del ricorso, riconducibile a colpa del ricorrente (Corte Cost., sent. 713 giugno 2000, n. 186), consegue la condanna del ricorrente medesimo al pagamento
delle spese processuali e di una somma, che congruamente si determina in mille euro, in
favore della cassa delle ammende.

3

importanti regole di giudizio.

P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso in data 28 maggio 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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