Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27183 del 28/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27183 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: PICCIALLI PATRIZIA

Data Udienza: 28/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FERAZZINI ANNITA N. IL 16/11/1942
BREVI BATTISTA N. IL 25/01/1964
avverso la sentenza n. 2290/2012 CORTE APPELLO di BRESCIA, del
14/02/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. PATRIZIA PICCIALLI
Udito il Procuratore Gyierale in persona,cleA Dott. 4Q&’ 1e
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che ha concluso per
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Ritenuto in fatto

FERAZZINI Annita e BREVI Battista ricorrono avverso la sentenza che ha
confermato quella di primo grado con la quale sono stati riconosciuti colpevoli del
reato di cui all’articolo 589 c.p., commesso in violazione della normativa
antinfortunistica, in danno del lavoratore DIENG Laye ( fatto dell’ 1 giugno 2006),

deceduto, alle

Per quanto interessa, è risultato accertato che il lavoratore

dipendenze della 0.C.M.L., società che svolgeva attività di carpenteria metallica- di
cui era legale rappresentante la Ferazzini- mentre si trovava sul tetto di una
fonderia, ove erano in corso lavori di ammodernamento, impegnato nella posa di
una passerella, aveva perso l’equilibrio ed era precipitato al suolo, rompendo il
tetto di amianto.

Quanto alla dinamica del sinistro, i giudici di merito hanno accertato, alla luce
della deposizione del lavoratore che affiancava il Dieng, stando nella cesta della
macchina elevatrice, intento a passargli le assi, che i due operai avevano ricevuto
dal Brevi l’incarico di completare la realizzazione della passerella di servizio e,
mentre il Dieng scaricava le assi sul tetto del capannone e le trasportava lungo la
passerella, della quale doveva essere realizzato il prolungamento, perdeva
l’equilibrio e precipitava al suolo.

L’addebito era stato contestato alla Ferazzini, nella qualità di datore di lavoro, sul
rilievo che aveva omesso di dotare il lavoratore dei presidi antinfortunistici
indispensabili previsti per i lavori in quota e di controllare il rigoroso utilizzo dei
dispostivi di protezione, ciò provocando l’infortunio, in forza di caduta dall’alto; al
Brevi, nella qualità di capocantiere, in quanto non aveva richiesto l’osservanza da
parte dell’infortunato delle norme vigenti in materia di sicurezza sul lavoro e di uso
dei mezzi di protezione.

La Corte di merito, in via preliminare, disattendeva le eccezioni di carattere
processuale sollevate dalla difesa del Brevi.

Quanto all’eccezione di nullità della notifica del decreto di citazione a giudizio di
primo grado, dopo aver ripercorso in fatto le fasi della notifica, evidenziava che il
plico, non recapitato al destinatario, in quanto ” temporaneamente assente” , a
seguito della spedizione della comunicazione di avvenuto deposito con lettera
raccomandata ivi indicata, era stato ritirato all’ufficio postale dalla moglie

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dell’imputato munita di apposita delega e che, pertanto, la procedura era conforme
a quanto previsto dall’art. 8 della legge 890/1982, applicabile alla fattispecie in
esame.

Quanto all’eccezione sulla inammissibilità della costituzione di parte civile del
sindacato FIOM- CGIL, il giudice di appello rimarcava che la norma richiamata dalla
difesa fa riferimento all’istituto dell’intervento e non a quello della costituzione di
parte civile, per cui nessun consenso alla persona offesa doveva essere chiesto dal

Nel merito, la Corte di appello confermava il giudizio di responsabilità della
Ferazzini ravvisando il nesso di causalità tra le violazioni delle norme di sicurezza,
che avevano dimostrato l’assoluta mancanza di rappresentazione del rischio, e
l’evento.

Quanto alla posizione del Brevi, nella qualità di capocantiere, si sottolineava che
proprio lo stesso aveva impartito alla vittima l’incarico di completare la
realizzazione della passerella di servizio e non quello di limitarsi a scaricare le 3 o 4
assi da ponte rimaste- come sostenuto dalla difesa- e che pertanto l’evento non
poteva essere considerato frutto di una iniziativa anomala ed imprudente del
lavoratore.

Il giudice riteneva inaccoglibile, con riferimento alla Ferazzini,

la richiesta di

concessione delle attenuanti generiche, sia perché l’imputata era gravata da due
precedenti specifici sia per l’elevato grado di colpa, caratterizzata dall’assoluta
mancanza di rappresentazione del rischio, e revocava la concessione dei benefici.

Quanto al Brevi, la Corte territoriale negava la concessione delle attenuanti con
giudizio di prevalenza sia per il comportamento processuale del medesimo,che
aveva fornito una versione del fatto smentita da un teste, sia per il tentativo di
dilazionare i tempi di definizione del procedimento con rilascio dell’incarico al ritiro
della notifica degli atti processuali alla moglie al fine di sollevare poi la relativa
eccezione.

Con il ricorso Ferazzini Annita articola quattro motivi.

Con il primo lamenta la manifesta illogicità della motivazione sostenendo il
travisamento delle deposizioni testimoniali con particolare riferimento a quelle rese
dall’operaio che insieme alla vittima aveva ricevuto l’incarico dal Brevi, non di

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sindacato per la costituzione di parte civile.

completare la passerella, ma di portare le assi sopra, precisando che il Dieng si era
imprevedibilmente slegato dal cestello, cadendo ad una distanza minima dallo
stesso.

Si sostiene che la Corte di merito avrebbe omesso di considerare le dichiarazioni
rese dal funzionario dell’ASL, il quale aveva riferito che la vittima indossava una
imbragatura di sicurezza e che per scaricare le assi dal cestello non era necessario

confermato la messa a disposizione di tutti i presidi antinfortunistici e la
frequentazione di corsi in materia di sicurezza.

Illogicamente, pertanto, era stata esclusa l’abnormità della condotta della vittima
ed era stata ritenuta la responsabilità dell’imputata, la quale aveva affidato la
realizzazione della passerella esclusivamente al Brevi, che aveva eseguito l’opera
indossando l’imbracatura di sicurezza correttamente vincolata al cestello della
piattaforma elevabile, in conformità al piano operativo prodotto in giudizio,
attestante la valutazione di tutti i rischi da parte del datore di lavoro.

Con il secondo motivo si duole che la Corte di appello aveva affermato la
sussistenza del nesso causale tra la condotta dell’imputata e la morte del
lavoratore in violazione dell’art. 40 c.p.

Con il terzo motivo si duole del vizio di motivazione con riferimento al diniego
della concessione delle attenuanti generiche sul rilievo che la Corte di merito aveva
omesso di valutare, oltre l’età della Ferazzini, il certificato camerale della 0.C.M.L.
s.p.a, prodotto nel corso del dibattimento da cui emergeva che l’imputata,
successivamente all’infortunio, aveva dismesso ogni incarico di rappresentanza
della società. Illogicamente, inoltre, era stato valorizzato ai fini del diniego, la
circostanza che il risarcimento non era stato integrale senza tener conto che il
risarcimento viene effettuato pro quota nel caso di reato contestato in concorso.

Brevi Battista articola cinque motivi.

Con il primo, di carattere processuale, già disatteso in sede di merito, ripropone la
violazione dell’art. 7 I. 890/1982, come modificato dal decreto legge 2007, n. 248,
sul rilievo che il decreto di citazione a giudizio, notificato a mezzo accomandata,
era stato ritirato da un soggetto diverso dal destinatario ed a ciò non aveva fatto
seguito l’ulteriore raccomandata. Il conferimento di delega alla moglie non
costituiva modalità equivalente all’invio del prescritto avviso.
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scendere dal mezzo nonché le dichiarazioni di altri lavoratori che avevano

Con il secondo motivo eccepisce anche in questa sede la violazione dell’art. 61
d.lvo 8/2008 laddove era stata ammessa la costituzione di parte civile FIOM CGIL
senza acquisire il consenso della parte offesa.

Con il terzo motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione sostenendo il
travisamento delle deposizioni testimoniali con particolare riferimento a quelle rese
dall’operaio che era insieme alla vittima al momento dell’infortunio sul rilievo che lo

la passerella, ma solo quello di portare le assi sul tetto. Si sostiene, altresì, che
contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di appello, il cestello della
piattaforma elevatrice costituiva punto di ancoraggio idoneo a prevenire l’evento
così come accaduto, come sostenuto dal consulente della difesa.

Con il quarto motivo lamenta la manifesta illogicità della motivazione con
riferimento al diniego del giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti
generiche.

Con il quinto lamenta che i giudici di merito non avevano dato conto dei parametri
adottati per giungere alla liquidazione dei danni in favore del sindacato.

Considerato in diritto

I ricorsi sono infondati.

Con riferimento al ricorso proposto nell’interesse della Ferazzini, il giudizio di
responsabilità risulta correttamente argomentato sulla posizione di garanzia, nella
qualità di datore di lavoro della vittima, e sulla violazione degli obblighi di dotare il
lavoratore di tutti i presidi prevenzionali previsti per le attività in quota nonchè
sulla omessa effettuazione della valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la
salute dei lavoratori.

La ricorrente sofferma, invece, l’attenzione

essenzialmente sul profilo della

condotta abnorme del lavoratore, che, ricevuto dal capocantiere l’incarico di
trasportare le assi sul tetto, si era imprevedibilmente slegato dal cestello. Nel
proporre tale ricostruzione alternativa del fatto sostiene il travisamento delle
dichiarazioni testimoniali rese dal compagno di lavoro della vittima.

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stesso non aveva mai dichiarato di aver ricevuto l’incarico dal Brevi di completare

Sul punto va, innanzitutto, precisato che le doglianze di preteso travisamento, a
fronte di una “doppia pronuncia conforme”, in primo e in secondo grado, possono
essere rilevate in sede di legittimità nel solo caso in cui il giudice di appello, al fine
di rispondere alle censure contenute nell’atto di impugnazione, abbia richiamato
atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice, ostandovi altrimenti il
limite del devoluto, che non può essere superato ipotizzando recuperi in sede di
legittimità (Sezione IV, 24 gennaio 2013, De Vincentis). Situazione qui non

E’ rimasto, pertanto, accertato che il Dieng, mentre scaricava sul tetto del
capannone le assi da ponte portate in quota dal carrello elevatore, e le trasportava
lungo la passerella, della quale doveva realizzare un ulteriore allungamento,
perdeva l’equilibrio e precipitava al suolo. Ed è rimasto, altresì, accertato che non
esisteva alcuna possibilità di aggancio delle cinture di sicurezza in una parte fissa
della struttura, in assenza della realizzazione di “linee vita” cui ancorare le cinture
per potersi muovere in sicurezza.

L’imputata, in nome della posizione di garanzia dalla stessa rivestita, è venuta
meno all’obbligo di esercitare, attraverso una diversa organizzazione del lavoro,
una effettiva vigilanza sull’attività posta in essere all’interno del cantiere tale da
garantire il lavoratore contro i rischi della sua stessa distrazione o imprudenza.

Tale valutazione è assolutamente condivisibile.

Esiste, infatti, in capo al datore di lavoro una posizione di garanzia che gli impone
di apprestare tutti gli accorgimenti, i comportamenti e le cautele necessari a
garantire la massima protezione del bene protetto, la salute e l’incolumità del
lavoratore appunto, posizione che esclude che il datore di lavoro possa fare
affidamento sul diretto, autonomo, rispetto da parte del lavoratore delle norme
precauzionali, essendo invece suo compito non solo apprestare tutti gli
accorgimenti che la migliore tecnica consente per garantire la sicurezza degli
impianti o macchinar utilizzati ma anche di adoperarsi perché la concreta
esecuzione del lavoro avvenga nel rispetto di quelle modalità.

Non può andare, pertanto, esente da colpa l’imprenditore che, svolgendo la
propria abituale attività in un luogo oggettivamente pericoloso, non ponga in
essere ogni tipo di comportamento atto a contenere il rischio stesso.

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verificatisi.

Come già questa Corte ha avuto modo di affermare, nelle attività pericolose
consentite, poiché la soglia della prevedibilità degli eventi dannosi è più alta di
quanto non lo sia rispetto allo svolgimento di attività comuni, maggiori devono
essere la diligenza e la perizia nel precostituire condizioni idonee a ridurre quanto
più possibile il rischio consentito. Ne consegue che l’impossibilità di eliminazione
del pericolo non può comportare una attenuazione dell’obbligo di garanzia, ma
deve tradursi in un suo rafforzamento (v. da ultimo Sezione IV, 10 gennaio 2014,

Mentre non rileva qui il tema della negligenza del lavoratore.

Basta ricordare, con riflessi qui di immediato rilievo, che, in caso di infortunio sul
lavoro, non è consentito al datore di lavoro invocare a propria discolpa, per farne
discendere l’interruzione del nesso causale (articolo 41, comma 2, c.p.), la
legittima aspettativa della diligenza del lavoratore, allorquando lo stesso datore di
lavoro versi in re illicita per non avere, per propria colpa, impedito l’evento lesivo
cagionato dallo stesso infortunato, consentendogli di operare sul luogo di lavoro in
condizioni di pericolo (ciò che qui è indiscutibile, quanto meno in ragione del non
utilizzo degli strumenti di protezione, forniti o meno) (cfr. Sezione IV, 25 marzo
2011, D’Acquisto).

Con l’ulteriore rilievo che, in caso di infortunio sul lavoro originato dall’assenza o
inidoneità delle misure di prevenzione, nessuna efficacia causale esclusiva, per
escludere la responsabilità del datore di lavoro, può essere attribuita al
comportamento imprudente del lavoratore infortunato realizzato nello svolgimento
delle proprie mansioni (ciò che qui è parimenti non revocabile in dubbio) (Sezione
feriale, 12 agosto 2010, Mazzei ed altri).

Infondata è anche la censura afferente il trattamento sanzionatorio.

E’ sufficiente ricordare che, in tema di circostanze attenuanti generiche, posto che
la ragion d’essere della relativa previsione normativa è quella di consentire al
giudice un adeguamento, in senso più favorevole all’imputato, della sanzione
prevista dalla legge, in considerazione di peculiari e non codificabili connotazioni
tanto del fatto quanto del soggetto che di esso si è reso responsabile, ne deriva
che la meritevolezza di detto adeguamento non può mai essere data per scontata o
per presunta, sì da dar luogo all’obbligo, per il giudice, ove questi ritenga di
escluderla, di giustificarne sotto ogni possibile profilo, l’affermata insussistenza. Al
contrario, è la suindicata rneritevolezza che necessita, essa stessa, quando se ne
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Zanaria, rv. 258619).

affermi l’esistenza, di apposita motivazione dalla quale emergano, in positivo, gli
elementi che sono stati ritenuti atti a giustificare la mitigazione del trattamento
sanzionatorio; trattamento la cui esclusione risulta, per converso, adeguatamente
motivata alla sola condizione che il giudice, a fronte di specifica richiesta
dell’imputato volta all’ottenimento delle attenuanti in questione, indichi delle
plausibili ragioni a sostegno del rigetto di detta richiesta, senza che ciò comporti
tuttavia la stretta necessità della contestazione o della invalidazione degli elementi
sui quali la richiesta stessa si fonda. In questa prospettiva, anche uno solo degli

entità del reato ed alle modalità di esecuzione di esso, può essere sufficiente per
negare o concedere le attenuanti generiche, derivandone così che, esemplificando,
queste ben possono essere negate anche soltanto in base ai precedenti penali
dell’imputato (Sezione IV, 15 luglio 2014, Lacchè)

L’applicazione di tali principi non consente l’accoglimento della doglianza, avendo il
giudice motivato, nel rispetto dei parametri di cui all’articolo 133 c.p.,valorizzando
negativamente i gravi precedenti specifici a carico della prevenuta.

Gli elementi dedotti dalla difesa, ivi compresa la cessazione dalla carica sociale
dell’imputata, non valgono a contrastare il giudizio come sopra formulato.

Ciò vale anche in ordine alla revoca dei benefici di legge incensurabilmente
argomentata in ragione della valenza ostativa delle precedenti condanne.

Anche il ricorso proposto dal Brevi è infondato.

Quanto al primo motivo di carattere processuale, va rilevato che la motivazione del
giudice di appello, percorrente analiticamente, anche in fatto, la procedura che ha
portato alla notifica del decreto di citazione a giudizio del Brevi, è conforme alla
normativa di settore ed ai principi consolidati di questa Corte.

La notifica all’imputato del decreto di citazione a giudizio in primo grado venne
eseguita a mezzo del servizio postale, secondo le modalità previste dall’ articolo 8,
commi 2 e 3, della legge 890/1982, come modificata dalla legge 14 maggio 2005
n. 80, successiva all’intervento della Corte Costituzionale con sentenza n. 346/98.

Risultano, pertanto, osservati tutti gli adempimenti funzionali a garantire che la
notificazione sortisca il proprio scopo ( deposito del piego presso l’ufficio postale
preposto alla consegna, avvenuta comunicazione all’interessato del tentativo di
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elementi indicati nell’articolo 133 c.p., attinente alla personalità del colpevole o alla

notifica e del deposito del piego presso l’ufficio postale mediante avviso a mezzo di
lettera raccomandata, ritiro della raccomandata presso l’ufficio postale dalla moglie
“incaricata”),
Anche il secondo motivo è infondato.

La doglianza non tiene conto, e perciò è generica, delle puntuali argomentazioni sul
punto sviluppate dalla Corte di merito, che ha evidenziato trattarsi di costituzione

così correttamente distinguendo tra l’istituto della costituzione di parte civile di cui
all’art. 74 c.p.p. da quello dell’intervento degli enti e delle associazioni
rappresentative di interessi lesi dal reato di cui agli artt. 91 e segg c.p.p.

Qui si verte in tema di costituzione di parte civile ed è assolutamente consolidato il
principio in forza del quale è ammissibile la costituzione di parte civile dei sindacati
nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose commessi con violazione
della normativa antinfortunistica, senza neppure la condizione dell’iscrizione dei
lavoratori interessati, dovendosi ritenere che l’inosservanza di tale normativa
nell’ambito dell’ambiente di lavoro possa cagionare un autonomo e diretto danno,
patrimoniale (ove ne ricorrano gli estremi) o non patrimoniale, ai sindacati per la
perdita di credibilità all’azione da essi svolta. E ciò in quanto il sindacato annovera
tra le proprie finalità la tutela delle condizioni di lavoro intese non soltanto nei
profili collegati alla stabilità del rapporto ed agli aspetti economici dello stesso,
oggetto principale e specifico della contrattazione collettiva, ma anche per quanto
attiene la tutela delle libertà individuali e dei diritti primari del lavoratore tra i
quali quello, costituzionalmente riconosciuto, della salute: per l’effetto, la tutela
delle condizioni di lavoro con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro ed alla
prevenzione delle malattie professionali costituisce sicuramente uno dei compiti
delle organizzazioni sindacali. Una tale conclusione trova conforto nell’articolo 9
dello Statuto dei lavoratori, che ha costituito il primo riconoscimento normativo
della presenza organizzata dei lavoratori ai fini dell’attuazione del diritto alla
sicurezza sui luoghi di lavoro. Ma trova, altresì, conforto, sempre più
incisivamente, nella previsione dell’elezione o della designazione del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con funzioni di accesso,
consultazione e proposizione (cfr. dapprima il decreto legislativo n. 626 del 1994 e,
poi, il decreto legislativo 9 aprile 2008 n. 81); nonché, nel ruolo attribuito, dal
richiamato decreto legislativo n. 81 del 2008, alle organizzazioni sindacali, vuoi
all’interno della Commissione consultiva permanente per la salute e sicurezza del
lavoro (articolo 6), vuoi con la previsione del potere di interpello al Ministero del
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di parte civile del sindacato e non di intervento nel processo del sindacato stesso,

lavoro da parte delle stesse organizzazioni sindacali legittimate a formalizzare
quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e
sicurezza del lavoro (articolo 12) ( v. Sezione IV, 19 gennaio 2011, 9923 Locatelli;
18 gennaio 2010, n. 22558, Ferraro ed altri, rv.247814).
Anche in terzo motivo è infondato, in quanto si risolve in censure di fatto integranti
questioni insuscettibili di considerazione nel giudizio di cassazione.

proposto dalla coimputata, pure incentrato sull’asserito travisamento delle
deposizioni testimoniali e sull’asserita abnormità della condotta del lavoratore.

Va solo aggiunto che la Corte di merito, individuato il ruolo ricoperto
dall’imputato, al quale nella qualità di capocantiere era stato affidato il compito di
controllare l’avvenuta adozione, nel cantiere, delle misure necessarie ad evitare il
verificarsi di infortuni, ha correttamente ritenuto che egli fosse venuto meno ai
propri doveri, avendo omesso di esercitare un adeguato controllo in un cantiere in
cui appare evidente dalle risultanze processuali, come affermato nella sentenza
impugnata, che i lavoratori autogestivano il rischio, perché nessuno, (nemmeno
l’imputato, tenuto per conto del committente, ad esercitare un adeguato
controllo, oltre che a fornire un’efficace informazione) si era preoccupato di
accertare che fossero attuate le prescrizioni in materia di sicurezza, oggetto di
direttive soltanto teoriche.

Anche il quarto motivo è infondato.

Sul punto, va richiamato il principio, cui questo Collegio ritiene di aderire
condividendone le ragioni, secondo il quale il giudizio di comparazione tra
circostanze aggravanti ed attenuanti (articolo 69 c.p.) è rimesso al potere
discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio deve essere certamente
motivato, ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero del
giudicante circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato
ed alla personalità del reo. Ciò vale anche per il giudice di appello il quale – pur
non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante- non è tenuto
ad una analitica valutazione di tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti
dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente
che dia indicazione di quelli ritenuti rilevanti e di valore decisivo, rimanendo
implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta
confutazione (Sezione III, 27 gennaio 2012, n. 19441, Marozzi).

10

Valgono sul punto le considerazioni già svolte con riferimento ad identico motivo

Tali principi sono stati rispettati nel caso in esame in cui il giudice ha fondato il
diniego del giudizio di prevalenza sulla condotta processuale dell’imputato.

Anche l’ ultimo motivo è infondato. La doglianza, del tutto generica,tralascia di
considerare i limiti del sindacato di legittimità, laddove è principio consolidato
quello secondo cui la valutazione equitativa del giudice in tema di risarcimento dei
danni, in quanto affidata ad apprezzamenti discrezionali, costituisce valutazione di

nel caso in esame, in cui, è stata confermata la pronuncia del primo giudice che
aveva liquidato a favore del sindacato la somma di euro 5.000,00 sul rilievo che
l’inosservanza della normativa antinfortunistica nell’ambito dell’ambiente di lavoro
è idonea a cagionare un danno all’immagine ed al prestigio del sindacato cui la
vittima era iscritta da dieci anni per la perdita di credibilità all’azione svolta.

Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese
processuali nonché al rimborso delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte
civile costituita, liquidate come in dispositivo.

P. Q. M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali oltre
alla rifusione delle spese in favore della parte civile FIOM-CGIL che liquida in
complessivi euro 2.000,00 oltre oltre accessori come per legge.
Così deciso in data 28 maggio 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

fatto sottratta al sindacato di legittimità se sorretta da congrua motivazione, come

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