Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27180 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27180 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: MONTAGNI ANDREA

Data Udienza: 26/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
FABIANI ALESSANDRA N. IL 05/06/1989
avverso la sentenza n. 8547/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
03/12/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ANDREA MONTAGNI
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. F00L20k-: j2Q-1;€
che ha concluso per
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Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Roma, con sentenza in data 3.12.2013, confermava
la sentenza di condanna resa dal Tribunale di Roma il 20.05.2013, all’esito di
giudizio abbreviato, nei confronti di Fabian’ Alessandra, in riferimento alla violazione
della disciplina in materia di sostanze stupefacenti. Alla prevenuta si addebita la
detenzione di gr. 467 di hashish all’interno dell’abitazione e di un ulteriore
quantitativo pari a gr. 8, della medesima sostanza, all’interno della propria

2. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ha proposto ricorso
per cassazione l’imputata.
L’esponente, con unico motivo, si duole del mancato riconoscimento
dell’ipotesi attenuata di cui all’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990. La parte si
sofferma sulla sentenza n. 32 del 2014 della Corte Costituzionale; ed osserva che la
Corte di Appello non ne ha tenuto conto, se pure si tratti di decisione intervenuta
nel lasso di tempo intercorrente tra la deliberazione della sentenza impugnata ed il
deposito della motivazione.

Considerato in diritto
1. Il ricorso che occupa impone le seguenti considerazioni.
La doglianza relativa al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui al V
comma dell’art. 73 d.P.R. n. 309/1990, è del tutto aspecifica.
Invero, l’esponente non indica alcuna ragione di critica, rispetto al portato
decisorio della sentenza gravata, sul punto di interesse.
Per mera completezza argomentativa, si osserva che, in riferimento alle
condizioni per l’applicabilità della predetta ipotesi di cui al V comma dell’art. 73,
cit., secondo il prevalente orientamento espresso dalla giurisprudenza di
legittimità, ai fini della concedibilità o del diniego della fattispecie di lieve entità, il
giudice è tenuto a complessivamente valutare tutti gli elementi indicati dalla
norma, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa),
sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle
sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo escludere la
concedibilità dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad
escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di “lieve entità” (cfr. Cass.
Sez. 4, Sentenza n. 4948 del 22/01/2010, dep. 04/02/2010, Rv. 246649).
Nel caso di specie, la Corte di Appello ha evidenziato che il dato ponderale
relativo allo stupefacente detenuto dalla Fabiani era tale da indurre a ritenere, in
termini di certezza, che l’hashish fosse destinato alla cessione a terzi. Al riguardo, il
Collegio ha sottolineato: che dal quantitativo di hashish di cui si tratta erano
ricavabili 1274 dosi; che la prevenuta custodiva parte della droga suddivisa in dosi;
che il valore della sostanza era incompatibile con le condizioni economiche della
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autovettura.

imputata; e che alla donna era stata pure sequestrata la somma di C 3.265,00 in
contanti. Muovendo da tali rilievi, la Corte di Appello ha quindi considerato che
doveva escludersi che la lesione del bene giuridico protetto potesse considerarsi di
“lieve entità”, a norma dell’art. 73, comma V, d.P.R. n. 309/1990.
Orbene, le valutazioni espresse dal giudice del gravame, nell’apprezzare la
non sussumibilità del fatto nell’ambito applicativo dell’ipotesti di cui all’art. 73,
comma V, d.P.R. n. 309/1990, non presentano aporie di ordine logico e risultano

invero, nei termini sopra richiamati, ha soddisfatto l’obbligo motivazionale afferente
alla qualificazione giuridica del fatto ed ha giustificato il mancato riconoscimento
dell’ipotesi di lieve entità, sviluppando un percorso argonnentativo saldamente
ancorato agli acquisiti dati di fatto e non manifestamente illogico; e, come noto,
sfugge dall’orizzonte della cognizione di legittimità, la possibilità di procedere ad
una considerazione alternativa degli elementi di fatto, scrutinati in sede di merito.
2. Tanto ritenuto, osserva il Collegio che sussistono i presupposti per rilevare
l’illegittimità della pena applicata al prevenuto, in riferimento al reato per cui si
procede.
Invero, l’inammissibilità del ricorso originario non impedisce a questa Corte
regolatrice di annullare la sentenza impugnata, in ragione delle modifiche
normative che sono effettivamente intervenute all’indomani della deliberazione
assunta dalla Corte territoriale.
Deve in questa sede ribadirsi che per il caso di modifiche normative
sopravvenute, l’inammissibilità del ricorso non impedisce l’adozione di una
pronuncia di annullamento da parte della Corte regolatrice (cfr. Cass. Sez. VI,
sentenza n. 21982, del 16 maggio 2013, n. 21982, Rv 255674, ove
l’inammissibilità del ricorso non ha impedito l’annullamento della sentenza
impugnata, in conseguenza della declaratoria di illegittimità costituzionale della
norma applicata al caso di giudizio).
Ciò posto, deve considerarsi che, per effetto della sentenza della Corte
Costituzionale del 12 febbraio 2014 n. 32, la disciplina in materia di sostanze
stupefacenti che viene in rilievo è quella prevista dal d.P.R. n. 309/1990, nella
versione antecedente alle modifiche introdotte dal d.l. 30 dicembre 2005, n. 272,
convertito con modificazioni dalla legge 21 febbraio 2006, n. 49, di talché la pena
per le sostanze di cui alle tabelle II e IV dell’art. 14, risulta ricompresa dal minimo
di due anni al massimo di sei anni di reclusione, oltre la multa.
Come noto, la Corte Costituzionale, con sentenza del 12.02.2014 n. 32 ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272 (Misure urgenti per garantire la sicurezza ed í
finanziamenti per le prossime Olimpiadi invernali, nonché la funzionalità
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perciò immuni da censure rilevabili in sede di legittimità. La Corte territoriale,

dell’Amministrazione dell’interno. Disposizioni per favorire il recupero di
tossicodipendenti recidivi e modifiche al testo unico delle leggi in materia di
disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e
riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, di cui al decreto del Presidente
della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309), convertito, con modificazioni, dall’art. 1,
comma 1, della legge 21 febbraio 2006, n. 49. Le disposizioni colpite dalla
declaratoria illegittimità costituzionale avevano introdotto significative modifiche

materia di stupefacenti, sia sotto il profilo delle incriminazioni sia sotto quello
sanzionatorio. Il fulcro della novella, infatti, era costituito dalla parificazione dei
delitti riguardanti le droghe cosiddette “pesanti” e di quelli aventi ad oggetto le
droghe cosiddette “leggere”, fattispecie differenziate invece dalla precedente
disciplina, di cui al d.P.R. n. 309/1990.
Occorre allora considerare che, a causa della intervenuta declaratoria di
illegittimità costituzionale ad opera della citata sentenza n. 32 del 2014, la pena
edittale relativa all’ipotesi delittuosa di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309/1990, rispetto
alla detenzione a fine di spaccio di sostanze rientranti nelle tabelle II e IV, è quella
della reclusione da due a sei anni, oltre la multa, laddove il testo oggetto della
declaratoria di incostituzionalità, stabiliva un più grave trattamento sanzionatorio,
compreso da un minimo di sei ad un massimo di venti anni di reclusione, oltre la
multa.
Orbene, nel caso di specie, alla prevenuta, per la detenzione del quantitativo
di hashish sopra richiamato, è stata applicata la pena di anni due e mesi otto di
reclusione, oltre la multa, muovendo dalla pena base pari ad anni sei di reclusione.
Come si vede, si tratta di una misura sanzionatoria che discende dall’applicazione
del limite edittale massimo che risulta oggi applicabile rispetto al reato per cui si
procede. Come si vede, si tratta di una misura di pena che non può ritenersi
congrua, rispetto al mutato scenario sanzionatorio, per effetto della richiamata
pronuncia caducatoria resa dal Giudice delle leggi, in considerazione dei termini di
fatto della condotta addebitata. In conclusione, per effetto del mutato scenario
sanzionatorio, non è dato ritenere che l’effettuata valutazione giudiziale sulla
congruità della pena mantenga od oggi validità.
3. Si dispone, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio
ad altra sezione della Corte di Appello di Roma, per nuovo esame, limitatamente al
trattamento sanzionatorio. Il ricorso nel resto deve essere rigettato. Ai sensi
dell’art. 624 cod. proc. pen. si dichiara l’irrevocabilità della sentenza impugnata,
con riguardo alla affermazione di penale responsabilità.

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nell’ordinamento, apportando una innovazione sistematica alla disciplina dei reati in

P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, con
rinvio sul punto ad altra sezione della Corte di Appello di Roma.
Rigetta il ricorso nel resto.
Visto l’art. 624 cod. proc. pen. dichiara l’irrevocabilità della sentenza in ordine
all’affermazione di responsabilità dell’imputato.

Così deciso in Roma in data 26 maggio 2015.

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