Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27171 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27171 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: BIANCHI LUISA

Data Udienza: 26/05/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MOCCOLI ENZO N. IL 12/05/1960
SPERATI MARISA N. IL 28/06/1973
ALESSANDRINI BRUNO N. IL 13/07/1951
avverso la sentenza n. 859/2013 CORTE APPELLO di PERUGIA, del
10/03/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 26/05/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUISA BIANCHI
Udito il Procuratore Generale in persona del Do
che ha concluso per

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1. La corte di appello di Perugia, con sentenza in data 10 marzo 2014, in
parziale riforma della sentenza del tribunale di Orvieto, confermava la
responsabilità di Moccoli Enzo, Sperati Marisa, Alessandrini Bruno per il reato di
cui all’articolo 589 del codice penale in relazione al decesso di Boccanera
Quinto; riconosciuto il concorso di colpa della persona offesa in misura del
30%, concesse le attenuanti generiche, diminuiva la pena inflitta agli imputati
l’importo della provvisionale riconosciuta alle parti civili. In data 18
e
settembre 2007, Quinto Boccanera cadeva dal tetto di un capannone dove era
intento a pulire le lastre di eternit della copertura con la idropulitrice; a
seguito della caduta riportava politrauma che cagionava uno schock meta
traumatico dal quale seguiva la morte. Il capannone era risultato di proprietà
della società Trading Italia Property il cui legale rappresentante, Marisa
Sperati, aveva commissionato le operazioni di bonifica del tetto dall’amianto
alla società Rein s.q.s. stipulando il contratto con Moccoli Enzo che della
risultava essere socio accomandante; direttore dei lavori era stato nominato
l’ingegner Bruno Alessandrini che aveva ricevuto l’incarico di predisporre il
piano di sicurezza. Il giorno dell’incidente Boccanera, socio accomandatario
della Rein, dopo aver raggiunto il tetto tramite il ponteggio regolarmente
si era spinto sulla superficie della copertura in assenza di
innalzato,
camminamenti, passerelle, cinture o altri presidi antinfortunistici. Si contestava
agli imputati di .E.ess~rjpi- avere in cooperazione tra loro (art. 113 cod.pen.)
cagionato l’incidente;in particolare la committente Sperati per aver consentito
l’inizio dei lavori nonostante non fosse statq. ancora rilasciata la necessaria
autorizzazione amministrativa ed in assenza del POS che lo stesso Alessandrini
avrebbe dovuto provvedere a redigere; il Moccoli per non aver adottato idonee
misure di sicurezza; l’Alessandrini per non aver redatto il piano disicurezza.
2. Avverso la sentenza hanno presentato ricorso per cassazione tutti gli
imputati, per il tramite dei rispettivi difensori.
2.1 L’avvocato Giuseppe Fevola difensore di fiducia di Sperati Marisa, con un
motivo deduce violazione dell’articolo 606 lettera e)
unico articolato
per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della
cod.proc.pen.
motivazione. Sostiene il ricorrente che il tribunale prima e la corte d’appello poi
hanno omesso di motivare in modo corretto, compiuto e logico la sentenza e
di spiegare l’iter logico giuridico attraverso il quale sono pervenuti a ritenere la
responsabilità dell’imputata. Si rileva che è vero che il dovere di sicurezza è
riferibile anche al committente ma è altrettanto vero che non si può esigere dal
committente un controllo pressante, continuo e capillare sull’organizzazione e
sull’andamento dei lavori. Si sostiene in particolare che i lavori non erano
ancora iniziati e che è erroneo il diverso convincimento espresso dalla Corte di
appello sulla base della fattura n.11/2007 di 200.000 euro emessa dall
società appaltatrice il 25.7.2007, prima dell’infortunio; si era dedotto che tal
fattura era stata emessa solo per trarre in inganno l’Unicredit al fine di

CONSIDERATO IN FATTO

2.2 L’ avvocato Giuseppe Mariani, per Moccoli Enzo, con un primo motivo
deduce inosservanza di legge e contraddittorietà di motivazione per quanto
riguarda la ritenuta responsabilità; si è trascurato che Moccoli era solo socio
accomandante della società appaltatrice di cui Boccanera stesso era socio
accomandatario con la conseguenza che quest’ultimo doveva essere ritenuto il
solo responsabile dell’infortunio avvenuto; non è stato fornito nessun
elemento in base al quale ritenere che, con riferimento al caso concreto,
Moccoli avesse esercitato funzioni e mansioni di accomandatario tanto più che
il Moccoli non era nemmeno presente sul cantiere; la sentenza è censurabile
anche laddove ha affermato che sarebbe stato mancante ogni presidio
antinfortunistico essendo invece i presidi presenti, senonché fu proprio
Boccanera a non utilizzarli: fu la stessa vittima che i dopo essersi seduta sopra
una “capriata” in legno del tutto stabile i fece poi un salto per scendere cadendo
sul tetto che ricopriva il capannone che cedette sotto il suo peso. La
responsabilità, stante la sua particolare competenza, qualifica e conoscenza
delle circostanze e situazioni di fatto non poteva che far capo totalmente al
Boccanera.
2.3 L’avvocato Roberto Spaldi, nell’interesse di Alessandrini Bruno, con un
primo motivo lamenta inosservanza di legge e difetto di motivazione per
quanto riguarda la circostanza della giuridica inesistenza del contratto di
appalto stipulato tra la Trading Italia e la Rein : si era evidenziato che il
contratto, stipulato in data 20 luglio 2007 tra la Trade Italia e la Rein stis di
Moccoli Enzo, era giuridicamente inesistente dal momento che alla data del 20
luglio 2007 la Rein snc non era più esistente in quanto il precedente
16.2.2007 la Rein snc di Moccoli Enzo, si era trasformata nella Rein sas di
Boccanera Quinto ed il Moccoli, che aveva sottoscritto materialmente quel
contratto, nella nuova compagine societaria era un semplice socio
accomandante e quindi un soggetto privo di qualsivoglia potere di
rappresentanza; ne derivava, secondo il ricorrente, l’assenza di qualsiasi
rapporto contrattuale tra la Trading Italia e la Rein e, come corollario, l’assenza
di ogni obbligo di garanzia dell’ Alessandrini . Si contesta la motivazione fornita
dalla Corte di appello per dimostrare la posizione di garanzia di Alessandrini e
cioè la firma da parte sua del 10 SAL, così dando rilievo a un moment
esecutivo di un contratto senza che si fosse preliminarmente data risposta alla

ottenere un finanziamento; la Corte di appello aveva l’onere di fornire la prova
dell’effettivo inizio dei lavori e che gli stessi erano in corso il giorno
dell’infortunio, circostanza non provata neppure dalla testimonianza di Fabri
Valter. Si deduce inoltre che il Boccanera era il titolare dell’impresa
appaltatrice, ben consapevole che mancava l’autorizzazione comunale,
mancava il piano di sicurezza e non vi erano le necessarie misure di sicurezza:
la sua decisione di salire sul tetto al solo fine di verificare lo stato dei luoghi,
era tale da aver cagionato da sola l’evento. Non era stata dimostrata alcuna
culpa in eligendo da parte della Sperati con riferimento alla scelta della ditta
appaltatrice o una sua ingerenza nell’incidente, ed anzi era risultato che la
Sperati non era mai presente in cantiere. Sono stati trascurate 13 circostanze
dettagliatamente elencate nell’atto di appello.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, che possono essere congiuntamente esaminati in quanto i motivi in
essi proposti sono strettamente correlati, non meritano accoglimento.
1.1. Si censura in primo luogo, in particolare da parte della committente
Sperati, la circostanza che i lavori di cui trattasi fossero in corso al momento
in cui si è verificato l’incidente; sostiene la ricorrente che i lavori non erano
ancora iniziati o comunque che non ve ne sarebbe stata prova certa dal
momento che
fattura relativa al primo stato avanzamento lavori era
sostanzialmente “di comodo” cioè emessa solo per ottenere il finanziamento
dalla banca.
La censura non ha pregio. L’avvenuto inizio dei lavori risulta sicuramente
accertato dai giudici di merito sulla base di un solido e ampio compendio
probatorio che và al di là della fattura in questione; valgono al riguardo le
deposizioni testimoniali assunte (testi Carletti e Sidoti citati dalla sentenza di
primo grado, secondo i quali era già avvenuta la pulizia del 70 % del tetto’,
commissario di pg Fabri Valter, intervenuto dopo il fatto, richiamato dalla
sentenza di appello secondo cui una parte del tetto era stata trattata); ne è
conferma la pacifica presenza del ponteggio già montato su tutta la lunghezza
del capannone; in tale situazione è del tutto corretta la valutazione della corte
di merito che ha ritenuto che la fattura, sottoscritta sia dalla Sperati che
dall’Alessandrini, e coerente con i risultati della prova dichiarativa e
documentale, fosse una confermaa parte dei ricorrenti; lavori che, come di
nuovo sia la Sperati che l’Alessandrini ben sapevano, non avrebbero dovuto in
alcun modo essere iniziati dal momento che il Comune di Orvieto non aveva
ancora rilasciato l’autorizzazione per aprire il cantiere (circostanza
pacificamente risultante dalla lettera del 28 agosto 2007 indirizzata
all’Alessandrini e alla Sperati) e dal momento che il cantiere non era stato
messo in sicurezza, neppure essendo stato redatto un piano di sicurezza.
Tale situazione ha comportato
la responsabilità sia della Sperati che
dell’Alessandrini, dalla stessa nominato progettista e direttore dei lavori, per
aver consentito, come già ritenuto dal giudice di primo grado, “l’avvio del
cantiere” in assenza delle condizioni amministrative e di sicurezza imposte per
legge. La valutazione è del tutto corretta: l’infortunio si è verificato in un
cantiere che non avrebbe dovuto essere stato ancora aperto e la responsabili
di aver consentito tale concreta situazione è di Sperati e Alessandrini.

e,A

questione, appunto preliminare, circa l’eccepita inesistenza del contratto
stesso. Si contesta la motivazione nella parte in cui ha ritenuto che anche il
socio accomandante possa concludere contratti in nome e per conto della
società in contrasto con il dettato normativo degli artt. 2318 e 2320 cc e con il
prevalente orientamento della giurisprudenza, nonché per aver dato rilievo ad
una sua presunta posizione di amministratore di fatto o di procuratore.
Con un secondo motivo si deduce che mentre la corte di appello lo ha ritenuto
responsabile di aver consentito l’inizio dei lavori in assenza del Pos e
dell’autorizzazione comunale e cioè per un fatto diverso da quello contestato.

1.2. Il comportamento del Boccanera non può qualificarsi abnorme, come
sostenuto dalla Sperati sotto il profilo che la decisione di recarsi sul tetto è
stata frutto di una risoluzione del tutto personale, sconosciuta alla Sperati, e
come tale interruttivo del nesso di causalità. Risulta dalla sentenza impugnata
che riferisce la testimonianza Sidoti (che nell’occasione si trovava nel cantiere
insieme a Boccanera e a Moccoli per parlare di lavori di impermeabilizzazione)
che a un certo punto Boccanera si allontanò dicendo che intendeva andare un
momento sul tetto. Correttamente la sentenza impugnata ha rilevato come
fosse evidente che l’iniziativa del Boccanera di recarsi sul tetto era funzionale
all’appalto dei lavori di manutenzione in corso, appalto conferito dalla stessa
committente Sperati e dunque che, per quanto imprudenti siano state le
modalità del concreto comportamento posto in essere, ciò che ha comportato
peraltro l’attribuzione al medesimo di un concorso di colpa, non era affatto
estraneo alla posizione di garanzia della committenza, come sopra
individuata. Anche di recente si è precisato (sez, IV 27/06/2013 n.35872
Rv. 258124) che non è invocabile il principio di affidamento nel
comportamento altrui, con conseguente esclusione di responsabilità, da parte
di chi sia già in colpa per avere violato norme precauzionali o avere omesso
determinate condotte e, ciononostante, confidi che colui che gli succede nella
posizione di garanzia elimini la violazione o ponga rimedio alla omissione, in
quanto la seconda condotta non si configura come fatto eccezionale
sopravvenuto, da solo sufficiente a produrre l’evento.
1.3. Resta da precisare che del tutto estranei all’area di indagine consentita a
questa Corte di legittimità riservata sono le osservazioni attinenti ad una
diversa ricostruzione dei fatti contenuti nei vari ricorsi, e in particolare in quello
Moccoli, dove si fa riferimento a modalità assolutamente imprudenti da parte di
Boccanera, che avrebbe fatto un salto per accedere al tetto, circostanza che
peraltro non trova riscontro nelle sentenze di primo e secondo grado.
Manifestamente infondato è anche il rilievo contenuto nel ricorso Sperati di
mancata risposta da parte della corte di appello ai 13 punti sollevati con tale
atto, atteso che gli stessi sono stati oggetto di considerazione nel contesto del
complessivo ragionamento motivazionale sviluppato dal giudice di Perugia
anche di specifica considerazione a pag. 11 della sentenza.

Come esattamente già osservato dai giudici di merito, non rilevano le precise
circostanze in cui si è verificato l’incidente, cioè se Boccanera fosse intento ad
operare con la idropulitrice o se stesse effettuando solo un sopraluogo al fine
della predisposizione del prosieguo dei lavori (come ritenuto più probabile) in
quanto in ogni caso egli, stante la violazione dei propri doveri da parte di
committente e direttore dei lavori, si è trovato ad accedere, in ogni caso come
si dirà per ragioni di lavoro, sulla copertura del capannone, facilmente
raggiungibile stante la presenza del ponteggio, in condizioni di assoluta
pericolosità dal momento che non vi erano tavolati o camminamenti che
fossero idonei a rendere sicuro l’accesso e scagionare il rischio che, come
avvenuto, si verificasse la caduta dall’alto per il cedimento di alcune lastre.

1.5. Anche Moccoli e Alessandrini si sono richiamati al ruolo di Boccanera per
invocarne la esclusiva responsabilità facendo riferimento in particolare alla
qualifica di Moccoli di mero socio accomandante della Rein so6, a fronte di
quella di Boccanera di socio accomandatario; sostiene la difesa di Moccoli che
si sarebbe dovuto dimostrare, con riferimento al comportamento tenuto nello

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1.4. Non trova fondamento l’eccezione proposta da Alessandrini di violazione
dell’art. 521 cod.proc.pen. , nel senso che mentre gli era stato contestata la
mancata redazione del piano di sicurezza e coordinamento, egli sarebbe stato
condannato per un fatto diverso, cioè quello di non aver impedito l’inizio dei
lavori in assenza del predetto pos e dell’autorizzazione comunale. Al riguardo
va ricordato che secondo la consolidata giurisprudenza di corte di legittimità
nei procedimenti per reati colposi, quando nel capo di imputazione siano stati
contestati – come nella specie – elementi generici e specifici di colpa, non
sussiste violazione del principio di correlazione tra sentenza ed accusa
contestata nel caso in cui il giudice abbia ritenuto la responsabilità per una
ipotesi di colpa diversa da quella contestata; è infatti consentito al giudice
specificare l’addebito di colpa generica con riferimento a specifici profili di
responsabilità emergenti dagli atti processuali e quindi non sottratti al diritto di
difesa, il cui esercizio deve essere rapportato ai fatti oggetto del procedimento
sui quali si è svolto, come nella specie è avvenuto, il contraddittorio tra le
parti. Tale orientamento giurisprudenziale ha, di recente, ricevuto l’avallo delle
Sezioni Unite, le quali hanno ribadito che “In tema di correlazione tra
imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre
una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie
concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo
che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un
reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad
accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e
mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché,
vedendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto
insussistente quando l’imputato, attraverso l’iter del processo, sia venuto a
trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto
dell’imputazione” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep.
13/10/2010) Rv. 248051). Nel caso in esame il capo di imputazione
comprendeva l’espresso riferimento alla imprudenza, imperizia e negligenza.
Ma ciò che più conta è che l’ampliamento del tema di indagine circa
l’organizzazione del cantiere, i ruoli e gli obblighi spettanti ai singoli imputati
si è avuto fin dal dibattimento di primo grado, come dimostrato dall’ampia
istruttoria dibattimentale che ha visto l’escussione di numerosi testimoni, con
accettazione del tema di indagine e piena possibilità dell’imputato di difendersi
in ordine ai fatti di causa e che ha portato alla precisazione dell’accusa già con
la sentenza di primo grado dove si legge che “l’ingegnere Alessandrini,., come
direttore dei lavori doveva impedire l’accesso al tetto del cantiere sino a
quando non fossero stati approntati il POS e i presidi antinfortunistici. Ciò non
è avvenuto e l’Alessandrini ha permesso l’avvio del cantiere conoscendo tali
mancanza…”. E sul punto nessun rilievo era stato peraltro formulato con
l’appello.

specifico caso concreto, che il medesimo aveva assunto una posizione di
garanzia; e sostiene la difesa di Alessandrini che il contratto tra la
committenza e la Rein era inesistente e di conseguenza inesistente anche
l’incarico da lui ricevuto.
Tali censure non valgono, ad avviso del Collegio, a scalfire la tenuta del
ragionamento compiuto dai giudici di merito, particolarmente esplicitato dalla
Corte di appello.
La sentenza ha infatti messo in evidenza che nel contesto delle vicende
societarie che hanno interessato la Rein, la cui ragione sociale è ripetutamente
mutata sempre però nella costante partecipazione alla stessa dei due soggetti,
Moccoli e Boccanera, interessati dalla presente vicenda, vi erano un complesso
di fattori che evidenziavano il perdurare della situazione di amministratore di
Moccoli Enzo collegata ad una sua ingerenza nella attività della Rein; non solo
egli figurava quale sottoscrittore del contratto di appalto di cui si discute, ma il
suo ruolo di soggetto “di riferimento” della Rein risultava da molteplici
dichiarazioni testimoniali (testi Sidoti e Moccaceli, dichiarazioni dello stesso
Alessandrini) che lo indicavano come il vero referente della società tanto da
poter essere considerato l’amministratore di fatto. Ora, la giurisprudenza di
legittimità ha spesso integrato i criteri sostanziali e formali da cui può derivare
la assunzione di una posizione di garanzia e, oltre a fare riferimento alla veste
giuridica rivestita, corrispondente ad una ipotesi normativa o contrattuale, ha
sottolineato, fin da epoca risalente, che la individuazione dei destinatari degli
obblighi posti dalle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro e
sull’igiene del lavoro deve fondarsi non già sulla qualifica rivestita bensì sulle
funzioni in concreto esercitate, che prevalgono, quindi, rispetto alla carica
attribuita al soggetto (Sez. U. 1.7.1992 n.9874 Rv. 191185). Peraltro,
l’assunzione della posizione di garanzia in base ad un’assunzione di fatto di
poteri inerenti obblighi di tutela è attualmente normativamente prevista, in
tema di sicurezza sul lavoro, nel caso di chi, pur sprovvisto di formale
investitura, “esercita in concreto i poteri giuridici riferiti” al datore di lavoro, al
dirigente e al preposto (D.Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, art. 299), e ciò conferma
la correttezza del precedente orientamento giurisprudenziale. Deve pertanto
concludersi che corretta è stata l’attribuzione a Moccoli di una posizione di
garanzia nei confronti di Boccanera in relazione ai ruoli dagli stessi assunti e a
prescindere dalle rispettive qualifiche formali. Dovendosi ulteriormente
precisare che, a differenza di quanto sostiene il ricorrente Alessandrini,
l’assunzione da parte del socio accomandante di poteri di rappresentanza che
per legge sono riservati all’accomandatario non ha affatto l’automatica
conseguenza della inesistenza del contratto in tal modo concluso, ma
comporta soltanto, da un lato, la perdita del beneficio della responsabilità
limitata verso i terzi del socio accomandante e, dall’altro, la possibilità per la
società falsamente rappresentata di eccepire l’inefficacia del contratto stesso
(sez, 2 civ. n. 21891 del 19/11/2004, Rv. 578071), facoltà di cui la Rein non
ha in alcun modo dimostrato di volersi avvalere; diversa è invero la situazione
di cui alle pronunce richiamate dalla difesa Alessandrini che riguardano il caso
della sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari.

2. In conclusione tutti i ricorsi vanno rigettati e i ricorrenti condannati al
pagamento delle spese processuali oltre alla rifusione delle spese in favore
delle parti civili liquidate come al dispositivo.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali
oltre alla rifusione delle spese in favore delle parti civili Boccanera Paola e
Boccanera Mario che liquida in complessivi euro 3000,00 e in favore della
parte civile Moccoli Graziella che liquida in complessivi euro 2500,00 oltre, per
tutti, accessori come per legge.
Così deciso il 26.5.2015.

p.q.m.

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