Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27160 del 17/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27160 Anno 2015
Presidente: ZECCA GAETANINO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
FIANDACA MARIA TERESA, nata il 18/05/1923
avverso la sentenza n. 192/2014 CORTE APPELLO di MESSINA, del
17/02/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 17/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ALDO POLICASTRO che ha
concluso per l’annullamento senza rinvio per prescrizione e la conferma delle
statuzíoni civili;
udito per la ricorrente il difensore Avv. GIUSEPPE AVENI del Foro di Messina
il quale ha chiesto l’accoglimento del proprio ricorso, riportandosi ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 17/2/2014 la Corte d’appello di Messina confermava la
sentenza con la quale il Tribunale della stessa città, in data 16/9/2011, aveva
dichiarato Maria Teresa Fiandaca colpevole del reato di cui all’art. 449 cod. pen.
in relazione all’incendio sviluppatosi nel proprio terreno in data 23/6/2006,
condannandola, previa concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla
pena (sospesa) di otto mesi di reclusione oltre che al risarcimento dei danni, da
liquidarsi in separata sede, in favore del proprietario del fondo danneggiato,

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Data Udienza: 17/04/2015

Francesco Patti, costituitosi parte civile.
In punto di penale responsabilità riteneva la Corte territoriale, in piena
adesione a quanto affermato dal primo giudice sulla base dei rilievi dei vigili del
fuoco, che l’incendio era scaturito dalla proprietà della Fiandaca, estesa sei
ettari, poiché solo annualmente ripulita da sterpaglie, senza che però fosse
eliminato il pericolo di incendio connesso allo stato di completo abbandono del
fondo, risultando in particolare presenti sterpaglie ed arbusti di notevole
consistenza.

dal teste Giovanni Matà, caposquadra dei Vigili -del Fuoco, non fosse stato
possibile individuare con precisione il punto d’innesco dell’incendio e in
particolare se esso fosse da collocarsi nella proprietà dell’imputata, posto che
risultava comunque accertato che erano state le con4izioni di quei terreno ad
imprimere alle fiamme, quand’anche per ipotesi remota sviluppatesi nelle
vicinanze, la loro portata distruttiva.

2. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione l’imputata, per
mezzo del proprio difensore, articolando due motivi.

2.1. Con il primo deduce violazione di legge e vizio di motivazione anche per
travisamento di prova.


Deduce che la Corte d’appello, prendendo in esame un elemento di prova

non esaminato dal primo giudice (e segnatamente la deposiziol del teste
Silvestro, ossia della persona annualmente incaricata di provivedere alla
manutenzione del fondo) ne ha erroneamente frainteso e sminuito la capacità di
dimostrare l’insussistenza di colpa in capo all’imputata rispetto alla produzione
dell’incendio. Questi, infatti, secondo la ricorrente, non si era limitato a dire,
come sintetizzato dalla Corte, che egli aveva provveduto al taglio dell’erba ai
confini del fondo ma aveva descritto un’attività di bonifica costante e ripetuta nel
tempo.
Sostiene che tale circostanza avrebbe dovuto considerarsi idonea ad
escludere l’elemento soggettivo del reato, valendo essa a dimostrare che
l’imputata, peraltro in età avanzata, si era rappresentata il pericolo di incendio e
lo aveva affrontato dando incarico a persona esperta di provvedere alla
realizzazione di una striscia tagliafuoco, esprimendo così un atteggiamento di
prudenza e diligenza.

2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e carenza di
motivazione a supporto della ritenuta responsabilità dell’imputata per i danni
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Riteneva poi irrilevante la circostanza che, alla r stregua di quanto affermato

dedotti dalla parte civile.
Lamenta che al riguardo la Corte ha omesso di prendere in esame specifico
motivo di gravame con il quale era stata dedotta la mancanza di prove idonee a
dimostrare la sussistenza del nesso causale tra l’incendio e i danni predetti, a tal
fine non potendo bastare il solo riconoscimento della penale responsabilità per il
reato di cui all’art. 449 cod. pen..
Rileva che, con i motivi d’appello, aveva in particolare dedotto che mancava
la prova che le fiamme avessero avuto origine nel terreno di sua proprietà e da

motivi di ritenere, alla luce in particolare della deposizione del teste Ruggeri, che
le fiamme avessero avuto origine in quest’ultimo terreno posto più a valle.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Deve preliminarmente dichiararsi l’estinzione del reato per prescrizione,
maturata anteriormente alla sentenza impugnata.
Con sentenza n. 143 del 19/05/2014 (intervenuta successivamente alla
sentenza impugnata, ma con effetti ovviamente operanti nei processo in corso),
la Corte Costituzionale ha infatti dichiarato l’illegittimità dell’art. 157, comma
sesto, cod. pen., nella parte in cui prevede che i termini di prescrizione del reato
sono raddoppiati per il delitto di incendio colposo (art. 449, in riferimento all’art.
423), avendo ritenuto irragionevole e lesivo dell’art. 3 Cost. il raddoppio del
termine di prescrizione del delitto di incendio colposo in raffronto con il
trattamento riservato all’omologa figura dolosa.
Ne discende che, avuto riguardo alla pena edittale prevista, il termine
prescrizionale, secondo la nuova formulazione dell’art. 157 cod. pen. (nella
specie applicabile, ratione temporis), considerate anche le interruzioni, deve
ritenersi pari a sette anni e sei mesi e risulta ad oggi interamente decorso, non
registrandosi sospensioni dello stesso che possano condurre a un diverso calcolo.
Ciò deve condurre al chiesto annullamento senza rinvio della sentenza.
Va infatti rammentato l’orientamento affermatosi nella giurisprudenza di
legittimità e qui condiviso, secondo il quale il giudice di legittimità può rilevare
anche d’ufficio la prescrizione del reato maturata prima della pronunzia della
sentenza impugnata e non rilevata dal giudice d’appello, pur se non dedotta con
il ricorso e nonostante i motivi dello stesso vengano ritenuti inammissibili (v., ex
plurimis, Sez. 5, n. 42950 del 17/09/2012, Xhini, Rv. 254633).
Per contro, mette conto altresì rammentare che, in presenza di una causa
estintiva del reato, l’obbligo del giudice di pronunciare l’assoluzione dell’imputato
per motivi attinenti al merito si riscontra nel solo caso in cui gli elementi
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questo si fossero propagate nella proprietà Patti e che, piuttosto, vi erano fondati

rilevatori dell’insussistenza del fatto, ovvero della sua non attribuibilità penale
all’imputato, emergano in modo incontrovertibile, tanto che la relativa
valutazione, da parte del giudice, sia assimilabile più al compimento di una
constatazione, che a un atto di apprezzamento e sia quindi incompatibile con
qualsiasi necessità di accertamento o di approfondimento (v. Sez. U, n. 35490
del 28/05/2009, Tettamanti, Rv. 244274).
E invero, il concetto di evidenza, richiesto dall’art. 129, comma 2, cod. proc.
pen., presuppone la manifestazione di una verità processuale così chiara e

qualcosa di più di quanto la legge richiede per l’assoluzione ampia, oltre la
correlazione a un accertamento immediato (cfr. Sez. 6, n. 31463 del
08/06/2004, Dolce, Rv. 229275). Deve, in altre parole, emergere dagli atti
processuali, con assoluta evidenza, senza necessità di ulteriore accertamento,
l’estraneità dell’imputato a quanto allo stesso contestato, ossia l’assenza
manifesta della prova di colpevolezza di quello, ovvero la prova positiva della sua
innocenza, non rilevando l’eventuale mera contraddittorietà o insufficienza della
prova che richieda il compimento di un apprezzamento ponderato tra opposte
risultanze (v. Sez. 2, n. 26008 del 18/05/2007, Roscini, Rv. 237263).
Tanto deve ritenersi non riscontrabile nel caso di specie, in cui questa Corte
non ravvisa alcuna delle ipotesi sussumibili nel quadro delle previsioni di cui
all’art. 129, comma 2, cod. proc. pen..

4. Anzi, occorrendo comunque procedere all’esame del ricorso in relazione
alle statuizioni civili, ai sensi e per gli effetti dell’art. 578 cod. proc. pen., se ne
deve rilevare l’infondatezza.
L’affidamento dell’incarico di provvedere ad una striscia taglia erba non
esclude la colpa non trattandosi di misura sufficiente, come motivatamente
sostenuto nella sentenza impugnata.
La doglianza in esame peraltro, nella misura in cui sembra sostenere una
erronea o parziale considerazione del contenuto delle dichiarazioni rese dal teste
Silvestro, si risolve nella allegazione di un vizio di travisamento di prova,
preclusa dai limiti che alla deducibilità di una tale vizio derivano dal trovarsi di
fronte a una doppia pronuncia conforme nel merito.
È noto infatti che il ricorso che, in applicazione della nuova formulazione
dell’art. 606 comma 1, lett. e) cod. proc. pen., intenda far valere il vizio di
«travisamento della prova» (consistente nell’utilizzazione di un’informazione
inesistente o nell’omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla
necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della
decìsività nell’ambito dell’apparato motivazionale sottoposto a critica) deve a
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obiettiva, da rendere superflua ogni dimostrazione, concretizzandosi così in

pena di inammissibilità (Sez. 1, n. 20344 del 18/05/2006, Salaj, rv. 234115;
Sez. 6, n. 45036 del 2/12/2010, Damiano, rv. 249035):
a) identificare specificamente l’atto processuale sul quale fonda la doglianza;
b) individuare l’elemento fattuale o il dato probatorio che da tale atto
emerge e che risulta asseritamente incompatibile con la ricostruzione svolta nella
sentenza impugnata;
c) dare la prova della verità dell’elemento fattuale o del dato probatorio
invocato, nonché dell’effettiva esistenza dell’atto processuale su cui tale prova si

d)

indicare le ragioni per cui l’atto invocato asseritamente inficia e

compromette, in modo decisivo, la tenuta logica e l’intera coerenza della
motivazione, introducendo profili di radicale incompatibilità all’interno
dell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato.
Indicazioni, queste, in particolare quelle di cui alla lettera d), omesse dal
ricorrente, nel caso di specie e, invece, tanto più necessarie in considerazione del
fatto che la sentenza impugnata giustifica il proprio convincimento sul punto
sulla base di una complessiva valutazione delle emergenze istruttorie.
Inoltre, come detto, osterebbe comunque alla deducibilità del vizio in
cassazione l’esito conforme dei due giudizi di merito, essendo noto che, per
consolidato indirizzo, nel caso di c.d. doppia conforme, non può essere superato
il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salva l’ipotesi
in cui il giudice d’appello, al fine di rispondere alle critiche contenute nei motivi di
gravame, richiami atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice
(v. Sez. 4, n. 19710 del 03/02/2009, Buraschi, Rv. 243636; Sez. 2, n. 5223 del
24/01/2007, Medina, Rv. 236130).
Presupposto quest’ultimo che nel caso di specie non sussiste posto che,
diversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la deposizione del teste
Silvestro risulta espressamente citata a fondamento anche della sentenza di
primo grado, ad essa attribuendosi contenuto e significato esattamente
coincidenti a quelli postulati dal giudice d’appello.

5. Ad analoghi rilievi si espone anche il secondo motivo di ricorso.
Il giudice di primo grado ha infatti esplicitamente affermato, sulla base del
rapporto dei VV.FF. e delle dichiarazioni a s.i.t. del caposquadra Matà, che
l’incendio “si è sviluppato nel terreno Fiandaca” e “solo in un secondo momento
si è esteso ai terreni limitrofi di Fazio e Patti”.
La Corte ha confermato tale valutazione.
La doglianza dekricorrente si basa essenzialmente sul fatto che in realtà il
Matà avrebbe poi nel dibattimento modificato le sue originarie dichiarazioni,
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fonda tra i materiali probatori ritualmente acquisiti nel fascicolo del dibattimento;

precisando di non poter dire se l’incendio è partito dal fondo Fiandaca; la Corte
poi avrebbe omesso di rispondere in modo specifico a tale rilievo.
Ora, però, quel che emerge d al4. dato istruttorio segnalato in ricorso è

l

unicamente una lettura dubitativa di , n singolo elemento di prova, inidonea a
imporsi con carattere di univoca e oggEttiva cogenza su quella accolta dai giudici
idi merito, con doppia pronuncia conforffie.
Varrà al riguardo rammentare – ottre a quanto già sopra evidenziato – che,
,…
per essere deducibile in cassazione, il vizio di travisamento di prova postula
l’esistenza di una palese e non eontrovertibile difformità tra i risultati

merito ne abbia inopinatamente tratto, ovvero di verificare l’esistenza della
decisiva difformità, fermo restando il divieto di operare una diversa ricostruzione
del fatto, quando si tratti di elementi privi di significato indiscutibilmente univoco
(v. Sez. 4, n. 14732 dell’1/3/2011, Molinario, Rv. 250133), trattandosi altrimenti
di un’attività valutativa che resta imprescindibilmente riservata al potere
-,discrezionale del giudice di meifp, insindacabile se, come detto e come
certamente accade nella specie; delle modalità del suo esercizio si da
illustrazione esauriente e logicamente coerente, non richiedendosi per contro una
specifica dettagliata confutazione delle prove ritenute non attendibili o irrilevanti.

6. Il ricorso va pertanto rigettato agli effetti civili.

P.Q. M.

Annulla la impugnata sentenza senza rinvio per intervenuta prescrizione del
reato addebitato.
Rigetta il ricorso agli effetti civili.
Così deciso il 17/4/2015

f’

obiettivamente derivanti dall’assunzio6e della prova e quelli che il giudice dì

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