Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27159 del 16/04/2015


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27159 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
GARIS GIOVANNI, nato il 05/09/1947 – rinunciante
GODINO CARLO, nato il 29/09/1935
GODINO BRUNO, nato il 13/12/1966
GONELLA GIOVANNI FRANCESCO, nato il 24/01/1956
avverso la sentenza n. 348/2014 CORTE APPELLO di TORINO, del
23/01/2014;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 16/04/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. EMILIO IANNELLO;
udito il Procuratore Generale in persona della Dott.ssa MARIA GIUSEPPINA
FODARONI che ha concluso per: l’inammissibilità del ricorso di Garis Giovanni;
l’annullamento senza rinvio della sentenza nei confronti di Godino Carlo per
morte del reo; il rigetto dei ricorsi proposti da Godino Bruno e Gonella Giovanni;
udito per le parti civili l’Avv. MICHELE GALASSO del Foro di Torino, il quale si
è riportato alle conclusioni scritte depositate, con la quale ha chiesto il rigetto dei
ricorsi;
udito per l’imputato Godino Bruno l’Avv. NADIA GARIS del Foro di Torino la
quale si è riportata ai motivi del ricorso, chiedendone l’accoglimento.

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Data Udienza: 16/04/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 25/10/2007 il G.u.p. presso il Tribunale di Pinerolo
assolveva, per non aver commesso il fatto, Carlo e Bruno Godino, Giovanni
Garis e Giovanni Francesco Gonella dal reato p. e p. dagli artt. 113 e 589, commi
primo e secondo, cod. pen. ad essi contestato per avere, nelle qualità appresso
descritte, cagionato in cooperazione colposa tra di essi e con Felice Falconi, la
morte di Aurelio Falconi, avvenuta per traumatismo da precipitazione il

Il sinistro era avvenuto presso il cantiere edile sito in Bricherasio ove era in
corso la realizzazione di un capannone ad uso industriale destinato
all’ampliamento della segheria della Godino Carlo & C. s.n.c.. A tal fine
quest’ultima aveva commesso in appalto alla Edilcem S.r.l. la fornitura del
capannone, completo di copertura e infissi. La Edilcem S.r.l., a sua volta, aveva
affidato in subappalto alla Tecnocop s.n.c. di Aurelio e Felice Falconi la posa in
opera della copertura del capannone.
La responsabilità dell’accaduto era, nel capo di imputazione, ascritta ai
predetti, per la posizione e i profili di colpa qui di seguito indicati:
– a Garis Giovanni, quale coordinatore per la sicurezza nella fase di
esecuzione dei lavori, per la violazione dell’art. 5, comma 1, lettere a), b), e) ed
f) d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494, per avere omesso di verificare, con opportuna
azione di controllo e coordinamento, l’applicazione concreta durante i lavori di
posa indicati, da parte della Tecnocop s.n.c. delle disposizioni del piano di
sicurezza e coordinamento e la corretta applicazione delle relative procedure di
lavoro;
– a Godino Carlo e Godino Bruno, quali soci amministratori della Godino
Carlo & C. s.n.c., committenti dei lavori indicati, e a Gonella Giovanni, quale
presidente del consiglio di amministrazione della Edilcem S.r.l., società
appaltatrice e sub-committente dei lavori di posa in opera della copertura del
capannone, per la violazione dell’art. 6, comma 2, d.lgs. 14 agosto 1996, n. 494,
con riferimento all’art. 5, comma 1, lettera a) del medesimo testo normativo e,
per Gonella, anche con riferimento agli artt. 21 e 22 della circolare n. 13/1982
del Ministero del lavoro, per avere omesso di verificare l’adempimento degli
obblighi previsti dall’art. 5, comma 1, lett. a) d.lgs. cit. e l’applicazione da parte
della Tecnocop s.n.c. del paragrafo 5 del piano di sicurezza e coordinamento,
avendo il Gonella omesso di consegnare alla Tecnocop s.n.c. il piano di
montaggio e allestimento degli elementi in cemento armato della copertura
sopra indicata.
Il G.u.p. dava atto in sentenza che:
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14/6/2004 a seguito di infortunio sul lavoro.

- la costruzione del capannone era proceduta a rilento, con lunghe pause tra
una fase e l’altra, anche a causa delle condizioni meteorologiche avverse, e ciò
aveva provocato un certo nervosismo nei committenti, i quali si erano più volte
lamentati sia con la Edilcem, sia con le altre ditte operanti in cantiere;
– nei giorni precedenti al sinistro gli operai della Tecnocop avevano posato in
opera una parte dei listelli e . i co—m- mittenti avevano chiesto numerose modifiche
al metodo di fissaggio degli stessi;
– anche il giorno dell’infortunio Carlo e Bruno Godino avevano esplicitato le
proprie lamentele ad Aurelio Falconi, direttamente impegnato in cantiere insieme

con alcuni dipendenti; uno dei committenti era anche salito sul tetto per dargli
indicazioni;
– quella mattina i fratelli Aurelio e Felice Falconi e due dipendenti della
Tecnocop avevano proceduto alla posa di alcune lastre in lamiera, interrompendo
più volte il lavoro a causa della pioggia; tornati in cantiere dopo pranzo i quattro
erano risaliti sul tetto per fissare le lastre già posate; mentre Felice Falconi e i
due dipendenti stavano avvitando le lastre in lamiera già posate, Aurelio Falconi
si avviava verso un’altra parte del tetto per prendere una lastra in policarbonato;
nel far ciò, attraversando uno dei lucernari non protetti, perdeva l’equilibrio e
cadeva attraverso l’apertura del lucernario medesimo da un’altezza di circa 9 m
dal suolo;
– il cantiere era privo di qualsiasi misura di protezione contro le cadute: non
vi erano parapetti in corrispondenza dei lucernari, né reti anticaduta, né funi di
trattenuta adeguatamente vincolate, né imbracature o altri sistemi di protezione,
sebbene gli stessi fossero previsti nel piano di sicurezza e coordinamento e nel
piano operativo di sicurezza predisposto dalla Tecnocop;
– indicazioni specifiche relative ai sistemi di sicurezza da impiegarsi durante
la posa della copertura erano anche contenute nel piano di montaggio del
prefabbricato; nel contratto di subappalto stipulato tra la Edilcem S.r.l. e la
Tecnocop s.n.c. quest’ultima aveva assunto l’obbligo di assicurare il rispetto della
normativa in materia di sicurezza.
Tutto ciò premesso reputava il primo giudice, anche sulla scorta delle
conclusioni dell’inchiesta svolta dall’Asl, che la causa del sinistro mortale andasse
individuata esclusivamente nella condotta gravemente negligente dell’infortunato
stesso oltre che in quella omissiva del socio Felice Falconi: nella condotta del
primo in quanto, operando egli in qualità di contitolare della ditta, con ampia
autonomia all’interno del cantiere, avrebbe avuto la possibilità di provvedere alla
messa in opera delle necessarie precauzioni contro i rischi di caduta; nella
condotta omissiva del secondo perché, quale responsabile del servizio di
prevenzione e protezione della Tecnocop, avrebbe dovuto adottare le necessarie
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r.

cautele contro i rischi medesimi e impedire al socio di lavorare nelle descritte
condizioni. L’imprudenza dell’infortunato e le omissioni di Felice Falconi avevano
pertanto, secondo il G.u.p., l’effetto di interrompere «l’eventuale nesso causale
con le condotte omissive» ascritte agli altri imputati.
Osservava in particolare che, incombendo su Felice Falconi obblighi di messa
in sicurezza del cantiere e di sorveglianza sul medesimo, non residuavano profili
di altrui responsabilità cui non si sarebbe potuto rimediare se il predetto avesse

2. In accoglimento del gravame proposto dalle parti civili la Corte d’appello
di Torino, con sentenza del 23/1/2014, in parziale riforma della appellata
sentenza dichiarava la responsabilità civile di Carlo e Bruno Godino, Giovanni
Garis e Giovanni Francesco Gonella, conseguentemente condannandoli al
risarcimento dei danni, patrimoniali e non, in favore delle parti civili costituite, da
liquidarsi in separato giudizio.
Rilevava in sintesi, per quel che in questa sede interessa, che i ruoli e gli
incarichi ricoperti da tutti gli imputati in relazione ai lavori edili in corso di
esecuzione li investivano a vario titolo di obblighi e poteri che, se concretamente
assolti, avrebbero potuto impedire l’evento; che non rilevava l’esistenza di altri
soggetti parimenti obbligati, per la loro diversa posizione, all’adozione di misure
di prevenzione, posto che ciascuno dei titolari di posizioni di garanzia
potenzialmente rilevanti è per intero destinatario dell’obbligo di impedire
l’evento; che, infine, la condotta della vittima, ancorché imprudente e
negligente, non poteva essere ritenuta esorbitante tanto da essere valutata,
come erroneamente ritenuto dal primo giudice, interruttiva del nesso causale tra
l’evento e le condotte omissive indicate in rubrica.
3. Avverso tale sentenza propongono ricorso tutti i predetti imputati, il
Garis personalmente, gli altri per mezzo dei rispettivi difensori.

3.1. Carlo e Bruno Godino deducono a fondamento del proprio ricorso
violazione di legge e carenza di motivazione, anche in relazione al combinato
disposto degli art. 533, comma 1, e 605 cod. proc. pen..
Lamentano l’inosservanza dei più rigorosi oneri motivazionali gravanti sul
giudice d’appello in caso di riforma della sentenza assolutoria di primo grado,
rilevando che il giudizio di condanna risulta formulato sulla base di mere e
sommarie valutazioni alternative di elementi in realtà già considerati dal giudice
di primo grado insufficienti a pervenire all’affermazione di responsabilità.
Ciò anzitutto in relazione alla configurazione di una posizione di garanzia

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adempiuto ai propri obblighi.

gravante su di essi ricorrenti in quanto committenti, non essendosi tenuto al
riguardo conto che il contratto d’appalto è intercorso tra la società di cui essi
sono soci e la Edilcem S.r.l. e non invece direttamente nei confronti della
Tecnocop s.n.c., alla quale i lavori dì posa in opera delle copertura del capannone
erano stati commessi in subappalto dalla Edilcem. Contestano inoltre, al
riguardo, il riferimento contenuto nel capo d’imputazione a una asserita
ingerenza nell’esecuzione dei lavori in questione tale da comportare l’assunzione,
indipendentemente dall’assenza di un legame contrattuale diretto nei confronti

è rinvenibile nella sentenza di condanna una motivazione che dia conto di
un’adeguata disamina della questione (peraltro specificamente posta con
memoria depositata nel corso del giudizio di appello e allegata in copia al ricorso)
e dei motivi che dovrebbero indurre a risolverla in senso sfavorevole ad essi
ricorrenti: disamina tanto più necessaria – soggiungono – in considerazione
anche della specifica posizione di ciascuno di essi ricorrenti e in particolare delle
loro rispettive età, ipotizzandosi al riguardo condotte di ascensione sul tetto del
capannone richiedenti non comuni abilità fisiche.
Lamentano che, altresì, sostanzialmente apodittica e comunque inidonea a
infirmare la validità dell’opposta valutazione espressa nella sentenza di primo
grado, è la negazione da parte della Corte d’appello dell’esclusiva rilevanza
causale della condotta imprudente e negligente della stessa vittima, affermata
invece dal giudice di primo grado.

3.2. Giovanni Gonella pone a fondamento del proprio ricorso due motivi.
Con il primo deduce inosservanza e/o erronea applicazione dell’art. 576 cod.
proc. pen., per avere la Corte d’appello ritenuto ammissibile l’impugnazione
proposta dalle parti civili che, anziché investire i capi della sentenza che
riguardavano l’azione civile, si concludeva con la irrituale richiesta di
riconoscimento della penale responsabilità degli imputati.
Con il secondo deduce vizio di motivazione in ordine all’affermazione di
responsabilità, sia pure agli effetti civili.
Rileva che la Corte d’appello ha completamente omesso di specificare e
graduare le singole responsabilità ed i singoli obblighi imputabili a ciascuna delle
parti coinvolte nella vicenda regola limitandosi a una valutazione, peraltro essa
stessa scarna, della posizione del Garis e delle omissioni ad esso imputabili,
senza invece alcun riferimento specifico agli altri imputati.
Lamenta, inoltre, che immotivatamente la Corte ha ribaltato la valutazione
espressa dal primo giudice circa il carattere abnorme della condotta della
vittima, considerata dal G.u.p. tale, unitamente alle omissioni ascrivibili al
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della ditta subappaltatrice, di un obbligo di garanzia, rilevando che sul punto non

coimputato Felice Falconi, da interrompere il nesso causale fra le condotte
omissive attribuite agli altri imputati e l’evento.

3.3. Censure in parte sovrapponibili sono poste a fondamento del ricorso
proposto da Giovanni Garis.
In data 14/4/2015 è però pervenuta via fax, nella cancelleria di questa
Corte, dichiarazione di rinuncia al. ricorso sottoscritta dal predetto
personalmente, con firma autenticata, datata 13/4/2015 e depositata in data

Torino.

4. All’udienza del 16/4/2015 il difensore di Carlo Godino ha depositato
certificato di morte del proprio assistito.

CONSIDERATO IN DIRITTO

5. Il ricorso proposto da Giovanni Garis va dichiarato inammissibile, per
intervenuta rinuncia, ai sensi dell’art. 591 comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in
relazione all’art. 589 cod. proc. pen..
Alla declaratoria d’inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc.
pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della
somma, che si ritiene equo liquidare in C 300,00, in favore della cassa delle
ammende, non ravvisandosi assenza di colpa in ordine alla determinazione della
causa di inammissibilità. Lo stesso va altresì condannato, come da dispositivo,
alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili per il presente giudizio di
cassazione.

6. Dalla certificazione acquista agli atti risulta inoltre che, nelle more del
presente giudizio di cassazione, Carlo Godino è deceduto a Pinerolo (TO) il
22/5/2014.
Si impone pertanto la declaratoria di estinzione del reato allo stesso ascritto
per morte dell’imputato.
Invero, la morte dell’imputato, intervenuta successivamente alla
proposizione del ricorso per cassazione, impone l’annullamento senza rinvio della
sentenza, per estinzione del reato, con l’enunciazione della relativa causale nel
dispositivo, risultando esaurito il rapporto processuale ed essendo preclusa ogni
eventuale pronuncia di proscioglimento nel merito ex art. 129, comma 2, cod.
proc. pen., tanto più quando non risulti, dal testo del provvedimento impugnato,
l’evidenza di alcuna delle situazioni previste da tale ultima disposizione e non
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14/4/2015 nella cancelleria della terza sezione ‘penale della Corte d’appello di

emergano elementi che rendano palese l’incapacità di intendere e di volere
dell’imputato al momento dei fatti

(v. e pluribus Sez. 1, n. 24507 del

09/06/2010, Lombardo, Rv. 247790; Sez. 1, n. 11856 del 06/10/1995, Torri, Rv.
203241).

7. Il ricorso di Giovanni Francesco Gonella è infondato.

7.1. L’avere la parte civile appellante chiesto nelle conclusioni, in riforma

(e non invece della sola responsabilità civile) non può considerarsi causa di
inammissibilità dell’appello.
Ed invero, da un lato, la limitazione dell’impugnazione proposta dalla parte
civile contro la sentenza di assoluzione pronunciata nel giudizio «ai soli effetti
della responsabilità civile» costituisce effetto direttamente derivante dalla legge
(art. 576 cod. proc. pen.), non disponibile da alcuna delle parti; come tale essa
non richiede per il suo prodursi l’osservanza di formule sacramentali da parte
dell’impugnante e rende irrilevante l’eventuale erronea indicazione, tra le finalità
dell’atto di gravame e nel relativo petitum, anche della emissione di una
pronuncia in punto di penale responsabilità, non consentita alla Corte d’appello in
mancanza di impugnazione da parte della pubblica accusa.
Dall’altro, in mancanza di diversa univoca indicazione desumibile dall’atto di
gravame, non può nemmeno considerarsi quella erronea indicazione quale
implicita rinuncia a ottenere una riforma della sentenza assolutoria ai soli effetti
civili che interessano la parte, essendo evidente che le contestazioni mosse circa
l’astratta configurabilità di una fattispecie di reato restano comunque funzionali
anche all’affermazione della responsabilità civile dell’imputato e costituiscono
pertanto passaggio logico coerente agli interessi della parte civile, ancorché
ovviamente non possano di per sé condurre, ove ritenute fondate, anche a una
affermazione di penale responsabilità.
In tal senso – giova rammentare – si sono espresse, risolvendo precedente
contrasto sull’argomento, le Sezioni Unite della Suprema Corte, con sentenza n.
6509 del 20/12/2012, dep. 2013, P.C. in proc. Colucci e altri, Rv. 254130,
affermando il principio secondo cui l’impugnazione della parte civile avverso la
sentenza di proscioglimento che non abbia accolto le sue conclusioni, è
ammissibile anche quando non contenga l’espressa indicazione che l’atto è
proposto ai soli effetti civili.

7.2. Nemmeno è ravvisabile il dedotto vizio di motivazione a fondamento
dell’affermazione di responsabilità del predetto, agli effetti civili.
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della sentenza gravata, l’affermazione della penale responsabilità dell’imputato

La sentenza d’appello, pur nella sua sinteticità, consente di comprendere
appieno le circostanze di fatto, pacificamente acquisite al processo, e gli
argomenti logico giuridici utilizzati a tal fine.
In particolare dal collegamento tra l’esposizione dei fatti di causa e dei
motivi d’appello – dalla quale emergono il ruolo di appaltatore e subcommittente
del predetto (nella qualità di Presidente del Consiglio di Amministrazione della
Edilcem S.r.l.), oltre che indicazioni rilevanti circa le caratteristiche del
subappalto, da eseguire sul cantiere e su elementi strutturali e componenti

parte motiva circa la fondatezza dell’appello, si desume chiaramente che la
responsabilità dell’imputato è affermata proprio in ragione di tale ruolo e delle
particolari caratteristiche del subappalto.
Giustificazione in sé pienamente valida e sufficiente, non richiedendo il caso
esaminato, né le tematiche dibattute in giudizio, altri specifici oneri motivazionali
né sul piano della riconduzione alla fattispecie astratta di reato, né in rapporto
alla sentenza assolutoria di primo grado.

7.2.1. Sotto il primo profilo, occorre invero rilevare che, nel descritto
contesto, indipendentemente da alcun’altra indagine sulle modalità di esecuzione
del subappalto e dall’accertamento di una eventuale ingerenza del
subcommittente, è comunque sufficiente a radicare la responsabilità in capo a
quest’ultimo il principio, costantemente affermato nella giurisprudenza di questa
Corte, secondo cui, in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, quando il
subappalto si realizzi nel cantiere predisposto dall’appaltante e a lui facente
capo, tale affidamento parziale dei lavori ad un appaltatore, che si avvale
dell’organizzazione già esistente, determina la comune responsabilità di entrambi
i soggetti appaltante e appaltatore (v. Sez. 4, n. 32943 del 27/05/2004, Maffia,
Rv. 229084; Sez. 4, n. 5977 del 15/12/2005, dep. 2006, Chimenti, Rv. 233245;
Sez. 4, n. 27965 del 05/06/2008, Riva, Rv. 240314).
In caso di subappalto di lavori, infatti, ove questi si svolgano nello stesso
cantiere predisposto dall’appaltatore (nella specie, come detto si trattava della
struttura prefabbricata in cemento armato precompresso del capannone
realizzata dalla Edilcem S.r.l. e già posta in opera da altra ditta, la cui copertura
era stata affidata in subappalto alla Tecnocop s.n.c.) in esso inserendosi anche
l’attività del subappaltatore per l’esecuzione di un’opera parziale e specialistica, e
non venendo meno l’ingerenza dell’appaltatore e la diretta riconducibilità (quanto
meno) anche a lui dell’organizzazione del comune cantiere, in quanto investito
dei poteri direttivi generali inerenti alla propria qualità, sussiste la responsabilità
di entrambi tali soggetti in relazione agli obblighi antinfortunistici, alla loro
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forniti dallo stesso appaltatore/subcomiittente – e l’affermazione contenuta nella

osservanza ed alla dovuta sorveglianza al riguardo. Un’esclusione della
responsabilità dell’appaltatore è configurabile solo qualora al subappaltatore sia
affidato lo svolgimento di lavori, ancorché determinati e circoscritti, che svolga in
piena ed assoluta autonomia organizzativa e dirigenziale rispetto all’appaltatore,
e non nel caso in cui la stessa interdipendenza dei lavori svolti dai due soggetti
escluda ogni estromissione dell’appaltatore dall’organizzazione del cantiere.
Nella ricorrenza delle anzidette condizioni – della quale, per le ragioni dette,
non è dato dubitare nel caso di specie – trattandosi di norme di diritto pubblico

avere rilevanza operativa, per escludere la responsabilità dell’appaltatore,
neppure eventuali clausole di trasferimento del rischio e della responsabilità
intercorse tra questi ed il subappaltatore.

7.2.2. Sotto il secondo profilo, è sufficiente rilevare che neppure la sentenza
assolutoria di primo grado aveva in realtà affrontato l’argomento, avendo questa
escluso la responsabilità del Gonella non perché avesse ritenuto che la posizione
di subcommittente non lo esponesse a responsabilità per gli infortuni subiti dal
subappaltatore, ma per il ben diverso motivo della ritenuta efficacia causale
esclusiva della condotta negligente del lavoratore.
Su quest’ultimo punto il problema che sul piano della motivazione pone il
ribaltamento della decisione di primo grado potrebbe apparire più rilevante.
In effetti anche su tale tema la sentenza d’appello non sì diffonde in
spiegazioni, limitandosi alla affermazione secondo cui

«in detto contesto, la

vittima … ha tenuto una condotta, a sua volta imprudente e negligente, ma che
non poteva e non può essere ritenuta esorbitante, tanto da essere valutata … di
per sé interruttiva del nesso causale».
Ma

altrettanto, se non più, scarsamente motivata e sostanzialmente

apodittica si rivela, a ben vedere, anche l’opposta valutazione del giudice di
primo grado.
Non si pone, pertanto, in siffatta ipotesi, un problema di difetto di
motivazione, neppure in relazione al criterio di giudizio di cui all’art. 533 comma
1 cod. proc. pen..
È ben vero, infatti, che, secondo costante indirizzo della giurisprudenza dì
legittimità, il giudice di secondo grado che, in difetto di elementi probatori
sopravvenuti ovvero non vagliati dal giudice di primo grado, intenda riformarne
la sentenza assolutoria pervenendo a una pronuncia di condanna, sulla base
dello stesso materiale probatorio acquisito nel precedente giudizio e in quella
sede ritenuto non idoneo per giustificare una pronuncia di colpevolezza, ha
l’onere, anche in ossequio alla regola di giudizio dettata dall’art. 533, comma 1,
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che non possono essere derogate da determinazioni pattizie, non potrebbero

cod. proc. pen., che consente una valutazione di colpevolezza solo «al di là di
ogni ragionevole dubbio», di indicare elementi e argomenti tali da evidenziare
oggettive carenze o insufficienze valutative della decisione liberatoria e da
rendere quest’ultima non più sostenibile neppure nel senso della persistenza di
ragionevoli dubbi sulla colpevolezza. Tale onere però deve ovviamente essere
rapportato al contenuto ed allo spessore delle motivazioni della sentenza
assolutoria, derivandone che tanto meno esso potrà considerarsi pregnante e per
converso tanto più agevole potrà considerarsi agevole il suo assolvimento,

In tal senso, dunque, tra le due valutazioni in contrasto merita qui di essere
confermata quella che si appalesa più conforme all’indirizzo standard che limita a
casi limite (condotta abnorme e imprevedibile del lavoratore) l’efficacia
interruttiva del nesso causale.
È noto al riguardo che, secondo costante insegnamento di questa Corte,
poiché le norme di prevenzione antinfortunistica mirano a tutelare il lavoratore
anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua negligenza, imprudenza
e imperizia, il comportamento anomalo del lavoratore può acquisire valore di
causa sopravvenuta da sola sufficiente a cagionare l’evento, tanto da escludere
la responsabilità del datore di lavoro e, in generale, del destinatario dell’obbligo
di adottare le misure di prevenzione, solo quando esso sia assolutamente
estraneo al processo produttivo o alle mansioni attribuite, risolvendosi in un
comportamento del tutto esorbitante e imprevedibile rispetto al lavoro posto in
essere, ontologicamente avulso da ogni ipotizzabile intervento e prevedibile
scelta del lavoratore. Tale risultato, invece, non è collegabile al comportamento,
ancorché avventato, disattento, imprudente, negligente del lavoratore, posto in
essere nel contesto dell’attività lavorativa svolta, non essendo esso, in tal caso,
eccezionale ed imprevedibile (v. ex multis Sez. 4, n. 23292 del 28/04/2011,
Millo, Rv. 250710; Sez. 4, n. 15009 del 17/02/2009, Liberali, Rv. 243208; Sez.
4, n. 25532 del 23/05/2007, Montanino, Rv. 236991; Sez. 4, n. 25502 del
19/04/2007, Scanu, Rv. 237007; Sez. 4, n. 47146 del 29/09/2005, Riccio, Rv.
233186).
Tanto premesso, del tutto plausibile è l’accertamento che hanno compiuto i
giudici di secondo grado circa la non abnormità del comportamento del Falconi,
in quanto le modalità esecutive del lavoro adottate nel tragico occorso, seppure
imprudenti e pericolose, rientrano nel novero delle violazioni comportamentali
che i lavoratori perpetrano quando ritengono di aver acquisito piena competenza
e abilità nelle mansioni da svolgere, tanto da consentire, a loro giudizio,
l’adozione di tecniche e procedure operative inosservanti delle misure di
sicurezza. In quanto tali sono ben prevedibili e devono essere neutralizzate
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quanto più quelle motivazioni si rivelino inconsistenti o palesemente erronee.

attraverso gli opportuni accorgimenti.

8. Merita invece accoglimento il ricorso proposto da Bruno Godino, nei sensi
e per le ragioni di seguito esposte.
L’omissione causalmente efficiente ascritta al predetto viene, come detto, in
sentenza ricondotta alla sua qualità di committente dell’opera e agli obblighi che
a tale posizione vengono correlati dalla normativa antinfortunistica.
Al riguardo, giova brevemente rammentare che con il d.lgs. 14 agosto 1996,

minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili la
figura del committente trova esplicito riconoscimento e definizione («il soggetto
per conto del quale l’intera opera viene realizzata»: art. 2, comma 1, lett. b) e
ne vengono esplicitati gli obblighi (art. 3).
L’individuazione di tale peculiare figura di garante nasce dall’esigenza,
sottesa alla complessiva configurazione del sistema di protezione in materia di
sicurezza sul lavoro, di dar rilievo nel particolare contesto dell’attività
cantieristica di cui qui si tratta, oltre che alla figura del datore di lavoro, anche a
quella del committente, che è il soggetto che normalmente concepisce,
programma, progetta, finanzia l’opera.
Proprio per tal motivo la legge gli attribuisce alcuni obblighi sia nella fase
progettuale che in quella esecutiva, destinati ad interagire e ad integrarsi con
quelli di altre figure di garanti legali.
In particolare, l’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 494 del 1996 – norma di
chiusura la cui violazione è in particolare nella specie contestata all’imputato costituisce chiaramente il committente quale garante dell’effettività dell’opera di
coordinamento posta in capo ai coordinatori per la progettazione e per la
esecuzione.
In forza di tale norma, la nomina di un coordinatore per l’esecuzione dei
lavori non può esonerare da responsabilità il committente (o il responsabile dei
lavori), né per ciò che riguarda la redazione del piano di sicurezza e del fascicolo
per la protezione dai rischi cui si è già fatto cenno, né – quel che maggiormente
qui interessa – per ciò che attiene alla vigilanza sul coordinatore in ordine allo
svolgimento dell’attività di coordinamento e controllo circa l’osservanza delle
disposizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento.
È pertanto indubbio che il dovere di sicurezza è riferibile, oltre che al datore
di lavoro (di regola l’appaltatore, destinatario delle disposizioni
antinfortunistiche), anche al committente, con conseguente possibilità, in caso di
infortunio, di intrecci di responsabilità, coinvolgenti anche il committente
medesimo.
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n. 494, di attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni

È, però, altrettanto certo che tale principio non può essere applicato
automaticamente, non potendo esigersi dal committente un controllo pressante,
continuo e capillare sull’organizzazione e sull’andamento dei lavori alla stessa
stregua di quello richiesto al datore di lavoro. In questa prospettiva, per fondare
la responsabilità del committente, non si può prescindere da un attento esame
della situazione fattuale, al fine di verificare quale sia stata, in concreto,
l’effettiva incidenza della condotta del committente nell’eziologia dell’evento, a
fronte delle capacità organizzative della ditta scelta per l’esecuzione dei lavori. A

particolare, è il caso in cui il committente dia in appalto lavori relativi ad un
complesso aziendale di cui sia titolare, da quello dei lavori di ristrutturazione
edilizia di un proprio immobile o da quello ancora di realizzazione di un
capannone industriale, come nel caso in esame); i criteri seguiti dal committente
per la scelta dell’appaltatore o del prestatore d’opera (quale soggetto munito dei
titoli di idoneità prescritti dalla legge e della capacità tecnica e professionale
proporzionata al tipo di attività commissionata ed alle concrete modalità di
espletamento della stessa); l’ingerenza del committente stesso nell’esecuzione
dei lavori oggetto dell’appalto o del contratto di prestazione d’opera; l’eventuale
percepibilità, infine, agevole ed immediata da parte del committente, di eventuali
situazioni di pericolo (v. in tal senso, Sez. 4, n. 3563 del 18/01/2012, Marangio,
Rv. 252672; Sez. 4, n. 15081 del 08/04/2010, Cusmano, non mass. sul punto).
Nel caso di specie, la sentenza impugnata rivela gravi carenze su circostanze
fattuali rilevanti ai fini della individuazione di profili di colpa nella condotta dei
committenti, in relazione ai principi di diritto appena ricordati.
Ed invero, nulla anzitutto è stato detto in ordine all’ingerenza dei
committenti nell’esecuzione dei lavori da parte della impresa subappaltatrice,
ingerenza bensì affermata nella sentenza di primo grado (che aveva poi assolto i
predetti per altro motivo, di cui sopra s’è detto) ma specificamente contestata in
grado d’appello dagli imputati con memoria difensiva che la Corte territoriale ha
omesso di prendere in considerazione e che invece aveva l’obbligo di esaminare.
È noto infatti che, tra le implicazioni dell’effetto pienamente devolutivo
dell’appello del Pubblico Ministero contro la sentenza assolutoria emessa dal
giudice del dibattimento, vi è anche quello per cui l’imputato è rimesso nella fase
iniziale del giudizio e può riproporre, anche se respinte, tutte le istanze difensive
che concernono la ricostruzione probatoria del fatto e la sussistenza delle
condizioni che configurano gli estremi del reato, in riferimento alle quali il giudice
dell’appello non può sottrarsi all’onere di esprimere le sue determinazioni (Sez.
U, n. 33748 del 12/07/2005, Mannino, Rv. 231675).
Rimane altresì in ombra, nella motivazione della sentenza impugnata, l’altro
12

tal fine, vanno considerati: la specificità dei lavori da eseguire (diverso, in

profilo potenzialmente idoneo a radicare, anche da solo, in capo all’imputato, la
responsabilità per il tragico evento nei sensi e per le ragioni predette, vale a dire
quello della immediata e agevole percepibilità da parte del committente della
situazione di pericolo.
La sussistenza di tale presupposto è espressamente contestata dal
ricorrente, in ragione del rilievo della particolare collocazione della situazione di
rischio rivelatasi fatale in un punto del fabbricato (il tetto del- costruendo
capannone) di non agevole accesso.

testuale: «il Godino è anche salito sul tetto per dare indicazioni all’infortunato».
Tale rilievo (che peraltro non specifica di quale dei due Godino si trattasse)
non viene però ripreso dal giudice d’appello a giustificazione dell’affermazione di
responsabilità, né tanto meno viene sviluppato, come sarebbe stato necessario,
nel senso di argomentarne l’eventuale convincimento (invero non espresso in
sentenza) di una piena consapevolezza o, comunque, della agevole percepibilità
da parte dell’odierno imputato della situazione di pericolo.

9. Per le considerazioni che precedono deve pertanto pronunciarsi il rigetto
del ricorso proposto da Gonella Giovanni, con conseguente condanna dello stesso
al pagamento delle spese processuali, e l’annullamento della sentenza, nei
confronti di Godino Bruno, con rinvio al giudice civile competente per valore in
grado d’appello, al quale va rimesso anche il regolamento delle spese del
presente giudizio di cassazione.
Gonella Giovanni va altresì condannato, in solido con Garis Giovanni, alla
rifusione in favore della parte civile Battaglino Monica, in proprio e nella qualità
di genitore esercente la potestà sui figli minori Falconi Mattina e Falconi Mattia,
delle spese sostenute per il presente giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata nei confronti di Godino Bruno con rinvio al
giudice civile competente per valore in grado d’appello, cui rimette anche il
regolamento delle spese.
Annulla senza rinvio la sentenza medesima nei confronti di Godino Carlo per
essere il reato estinto per morte del reo.
Dichiara inammissibile il ricorso di Garis Giovanni e rigetta il

ricorso

proposto da Gonella Giovanni; condanna entrambi al pagamento delle spese
processuali ed il Garis al pagamento della somma di C 300,00 in favore della
Cassa delle ammende.
13

Sul punto nella sentenza di primo grado è per vero leggibile l’affermazione

Condanna inoltre Garis Giovanni e Gonella Giovanni, in solido, alla rifusione
in favore della parte civile Battaglino Monica, in proprio e nella qualità di
genitore esercente la potestà sui figli minori Falconi Martina e Falconi Mattia,
delle spese sostenute per il presente giudizio, liquidate in complessivi C
2.500,00 oltre accessori come per legge.

Così deciso il 16/4/2015

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