Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27157 del 08/04/2016


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Penale Sent. Sez. 4 Num. 27157 Anno 2016
Presidente: IZZO FAUSTO
Relatore: PAVICH GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
BOMBINO RAFFAELE N. IL 15/03/1965
avverso la sentenza n. 245/2010 CORTE APPELLO di TORINO, del
09/04/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 08/04/2016 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIUSEPPE PAVICH
t.t.út.t) 4211. i.4 )
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
diWo

(1,4 v..e.4.40~

Udito, per la
Udit i dife sor Avv.

lanc.

Data Udienza: 08/04/2016

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza in data 9 aprile 2015, la Corte d’appello di Torino, 1
Sezione penale, confermava la condanna a dieci mesi di reclusione e 200 euro di
multa (previa concessione delle attenuanti generiche equivalenti alla contestata
recidiva reiterata) deliberata dal Tribunale di Verbania, in data 8 luglio 2009, a
carico di Raffaele Bombino, all’esito di giudizio abbreviato, in relazione ai reati p.
e p. dagli artt. 610 cod.pen. (capo A), 614 cod.pen. (capo B) e 624 e 625 n. 2

cod.pen., a lui ascritto al capo C), reati commessi in danno di Federica Mussari in
Verbania, il 16 agosto 2007, e tra loro uniti nel vincolo della continuazione.
In base alla motivazione della sentenza resa dalla Corte territoriale (basata
in larga parte sulle dichiarazioni della persona offesa) é dato evincere che
l’episodio per cui si procede intervenne dopo che il Bombino era stato ospitato
dalla Mussari, per alcuni giorni, presso la propria abitazione; ad un certo punto,
la donna esternava all’imputato la sua decisione di non ospitarlo più e di tollerare
unicamente la presenza in casa dei suoi effetti personali fino a che il Bombino
non avesse trovato un altro alloggio. La sera del 16 agosto 2007 il Bombino,
secondo la versione accusatoria, si introduceva con minacce nell’abitazione della
Mussari, costringendola a permettergli di entrare; la donna gli consentiva anche
di trattenersi presso la sua abitazione per la notte, ma il mattino dopo gli
chiedeva di lasciare l’alloggio; il Bombino a quel punto costringeva la Mussari a
uscire di casa, le strappava la borsa dalle mani e ne estraeva le chiavi di casa,
indi si allontanava; successivamente tornava, metteva le chiavi nelle mani della
Mussari ma subito dopo gliele strappava, e le riconsegnava solo in un momento
successivo, alla presenza della Polizia.

2. Avverso la prefata sentenza ricorre il Bombino, per il tramite del suo
difensore di fiducia.
Il ricorso é articolato in quattro motivi.
2.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione di legge,
deducendo che la Corte di merito non ha correttamente valutato se
effettivamente sussistesse l’elemento soggettivo del reato (essendo plausibile,
anche in base a quanto riconosciuto dal Tribunale con la sentenza di primo
grado, che fra il Bombino e la Mussari intercorresse una relazione sentimentale),
né se fosse realmente intervenuta la consumazione del reato.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la contraddittorietà della
motivazione della sentenza d’appello, nella quale si é sostenuto che il Bombino
commise il reato di cui all’art. 624-bis cod.pen., a fronte della conferma della
2

cod.pen. (così diversamente qualificato il delitto p. e p. dall’art. 624-bis

sentenza di primo grado con la quale il detto reato era stato riqualificato in
quello di cui agli artt. 624 e 625-bis cod.pen..
2.3. Con il terzo motivo si lamenta contraddittorietà e manifesta illogicità
della motivazione nel valutare le dichiarazioni rese dalla persona offesa Federica
Mussari nella sua deposizione, dichiarazioni che in parte contraddicono quanto
dalla stessa esposto nella querela, ed in base alle quali emerge che le chiavi non
uscirono mai dalla sfera di controllo della Mussari e che il Bombino non le
trattenne per un tempo apprezzabile.

ordine alla richiesta attenuante del risarcimento del danno, con riferimento alla
documentazione prodotta in udienza.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il primo motivo é inammissibile, siccome manifestamente infondato.
La circostanza, meramente congetturale, di una ipotetica relazione
sentimentale tra il Bombino e la Mussari non elide il dato fondamentale della
sottrazione delle chiavi di casa della donna, posta in essere dal ricorrente in
seguito alla decisione della Mussari di estromettere il Bombino dalla sua
abitazione, presso la quale egli era stato ospitato. Non é chi non veda che, in
tale situazione, l’intento dell’imputato era quello di assicurarsi, attraverso il
possesso delle chiavi, la possibilità di rientrare nell’alloggio, contro la volontà
dell’avente diritto; e ciò integra, sul piano dell’elemento soggettivo, il fine di
profitto richiesto per la configurabilità del delitto di furto, che va inteso in senso
ampio, così da comprendervi non solo il vantaggio di natura puramente
economica, ma anche quello di natura non patrimoniale, realizzabile con
l’impossessamento della cosa mobile altrui commesso con coscienza e volontà in
danno della persona offesa (vds. fra le altre Sez. 2, n. 40631 del 09/10/2012,
Sesta e altro, Rv. 253593; Sez. 4, Sentenza n. 30 del 18/09/2012, dep. 2013,
Caleca e altro, Rv. 254372). Quanto alla qualificazione del reato de quo come
tentativo, a parte quanto si dirà in ordine al terzo motivo di ricorso, si osserva
che sul punto il ricorrente deduce contro ogni evidenza l’immediata restituzione
delle chiavi, laddove risulta che egli, dopo essersene impossessato, si era
allontanato e solo in un momento successivo, in seguito all’intervento della
polizia, aveva restituito le chiavi stesse.

2. In ordine al secondo motivo di ricorso, ne va evidenziata parimenti
l’inammissibilità per manifesta infondatezza. Affermano al riguardo le Sezioni
Unite che l’attribuzione all’esito del giudizio di appello, pur in assenza di una
3

2.4. Con il quarto motivo il ricorrente lamenta l’omessa motivazione in

richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica
diversa da quella enunciata nell’imputazione non determina la violazione dell’art.
521 cod. proc. pen., neanche per effetto di una lettura della disposizione alla
luce dell’art. 111, secondo comma, Cost., e dell’art. 6 della Convenzione EDU
come interpretato dalla Corte europea, qualora la nuova definizione del reato
fosse nota o comunque prevedibile per l’imputato e non determini in concreto
una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel
mutamento scaturiscono (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015 – dep. 21/07/2015,

Nella specie, il reato ab origine contestato al capo C (furto con strappo ex
art. 624-bis cod.pen.), che era stato riqualificato dal giudice di primo grado nel
delitto p. e p. dagli artt. 624 e 625 n. 2 cod.pen., é stato invece ritenuto
sussistente dalla Corte territoriale sulla scorta della ricostruzione in fatto della
vicenda; ed é di tutta evidenza, alla luce dei principi affermati dalla ricordata
giurisprudenza apicale di legittimità, che alcuna lesione é stata in tal modo
arrecata all’esercizio del diritto di difesa, sia in ordine alla diversità della
qualificazione giuridica del fatto (certamente prevedibile da parte dell’imputato,
trattandosi di una conferma dell’originaria qualificazione giuridica recepita
nell’imputazione), sia in ordine all’intrinseca natura del fatto stesso (che invero
nei giudizi di merito é stato confermato nei suoi contenuti essenziali, così da non
ledere in alcun modo il principio di correlazione tra accusa e sentenza), sia in
ordine alle conseguenze sanzionatorie astrattamente ipotizzabili e a quelle che in
concreto ne sono derivate (essendovi identità degli estremi edittali nelle due
diverse qualificazioni giuridiche ed essendo inoltre stata confermata la pena
inflitta in primo grado).

3. Il terzo motivo di ricorso é a sua volta inammissibile perché
manifestamente infondato e teso, nell’essenziale, a proporre avanti la Corte
regolatrice questioni di mero fatto e rivalutazioni del materiale probatorio, in
ordine alle quali la motivazione della sentenza impugnata appare logica e
coerente e, come tale, insindacabile in sede di legittimità.
Basti qui evidenziare che, al di là delle (pervero generiche e imprecise)
dichiarazioni rese dalla persona offesa nel corso della sua deposizione, la
restituzione delle chiavi alla presenza della Polizia (ossia in un momento
successivo a quello dello spossessamento) é documentata dall’annotazione di
servizio redatta dagli operanti, della quale si fa espressa menzione in sentenza.
Ciò sta a significare che, tra il momento in cui il Bombino sottrasse le chiavi alla
Mussari e il momento della restituzione, intercorse un certo arco temporale,
forse anche breve, ma sicuramente idoneo a integrare l’ipotesi di furto
4

Lucci, Rv. 264438).

consumato: al riguardo é fus receptum che, ai fini della consumazione del delitto
di furto, é sufficiente che la cosa sottratta sia passata, anche per breve tempo,
sotto l’autonoma disponibilità dell’agente

(ex multis Sez. 4, n. 21757 del

30/03/2004 – dep. 07/05/2004, Scipioni, Rv. 229167). In aggiunta a ciò, e con
riguardo alla rivalutazione delle dichiarazioni in aula della Mussari, riproposte per
estratto dal ricorrente (rivalutazione nella quale pare di scorgere una censura per
travisamento della prova dichiarativa), é appena il caso di osservare, da un lato,
che la Corte territoriale ha debitamente valutato dette dichiarazioni,

riportata in querela; e che dall’altro il vizio di travisamento della prova
dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto
definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile
difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che
il giudice ne abbia inopinatamente tratto ed é pertanto da escludere che integri il
suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio
della dichiarazione medesima (Sez. 5, n. 9338 del 12/12/2012, dep. 2013,
Maggio, Rv. 255087).

4. Quanto infine al quarto motivo di ricorso, anch’esso é inammissibile
perché manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha specificato che la produzione della quietanza con la
quale la Mussari avrebbe dichiarato di essere stata interamente risarcita era
incompleta, perché mancante della pagina in cui vi era la firma della Mussari,
nonché dell’ammontare della somma ricevuta a titolo di risarcimento. In tale
precisazione deve all’evidenza rinvenirsi la motivazione del rigetto della richiesta
di riconoscimento dell’attenuante del ravvedimento post delictum di cui all’art.
62 n. 6 cod.pen., per la cui configurabilità il risarcimento del danno deve essere
integrale, comprensivo, quindi, della totale riparazione di ogni effetto dannoso, e
la valutazione in ordine alla corrispondenza fra transazione e danno spetta al
giudice, che può anche disattendere, con adeguata motivazione, finanche ogni
dichiarazione satisfattiva resa dalla parte lesa (Sez. 4, n. 34380 del 14/07/2011
– dep. 20/09/2011, Allegra, Rv. 251508); si soggiunge che presupposto
indefettibile per la concessione dell’attenuante de qua é che il risarcimento
avvenga “prima del giudizio”, cioé in una fase antecedente alle formalità di
apertura del dibattimento di primo grado. La ragione di tale limite temporale va
individuata nella possibilità di verifica, da parte del giudice, del sincero
ravvedimento, la cui prova può essere data dall’imputato, secondo la
presunzione logica che si evince dalla norma, solo prima che egli si sia
sottoposto al vaglio del giudizio. é, invece, oggettivamente preclusa
5

evidenziandone i passaggi in cui esse confermano nell’essenziale la ricostruzione

l’applicabilità di detta attenuante sulla base di qualsiasi dimostrazione di
ravvedimento, pur nel senso previsto dalla norma, ma successivamente all’inizio
del giudizio di primo grado, nell’ambito del quale, una volta visto l’andamento
del dibattimento, ancor prima della sentenza, l’imputato potrebbe determinarsi,
seguendo un calcolo di opportunità, a risarcire il danno ovvero al comportamento
alternativo previsto dalla norma in esame (Sez. 6, n. 897 del 25/11/1993, dep.
1994, Ceglie, Rv. 197360; Sez. 4, n. 30802 del 28/03/2008, Bovati e altro, Rv.

5. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali; ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno
2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non
sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza
versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente
va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in C
1000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2016.

241892).

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