Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27151 del 05/03/2015


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Penale Sent. Sez. 4 Num. 27151 Anno 2015
Presidente: BRUSCO CARLO GIUSEPPE
Relatore: ESPOSITO LUCIA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CO VERI MASSIMO N. IL 09/10/1959
avverso la sentenza n. 2905/2010 CORTE APPELLO di FIRENZE, del
10/06/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 05/03/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. LUCIA ESPOSITO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. M akf?
che ha concluso per ,e atu_u_kr2._
li
It-u-etc-03 Coi&

AD

I

cia.)? (131,t;)

Udito, per la pa e civile, l’Avv
Uditi dife or Avv.

u-AQ_

t

Data Udienza: 05/03/2015

Ritenuto in fatto

1.11 Tribunale di Pistoia, all’esito di rito abbreviato, dichiarava Coveri Massimo
colpevole dei reati a lui ascritti. Al predetto era addebitato il delitto di cui agli
artt. 113 e 589 c. H c.p., perché, nella sua qualità di titolare e responsabile della
ditta “Sfilacciatura rinnova” s.n.c., cagionava la morte di Plaka Artan, dipendente
irregolare di quella ditta. All’imputato era addebitato di aver commesso il fatto

contestate specificamente come autonomi reati. Era contestato allo stesso,
altresì, il reato di cui all’art. 437 c. 2 C.P., per avere rimosso in modo
permanente la protezione metallica del tappeto a punte del caricatore mod. C,
destinata a impedire il contatto del lavoratore con il tappeto medesimo mentre la
macchina era in funzione.
2.11 Coveri veniva condannato, inoltre, al risarcimento dei danni in favore delle
parti civili.
3.La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza del 10/6/2013, in parziale riforma
della decisione di primo grado, dichiarava non doversi procedere nei confronti del
Coveri per i reati di cui agli artt. B ed E perché estinti per intervenuta
prescrizione e, ritenuto il concorso formale tra i residui reati, rideterminava la
pena in tre anni di reclusione.
4. In fatto era accaduto che il lavoratore, mentre era addetto alla macchina
“caricatore modello c)” adibita alla lavorazione degli stracci, rimaneva agganciato
sotto il nastro dentato di trasporto del materiale sfilacciato e così trascinato,
veniva incuneato a forza nello stretto spazio sotto la “camera di contenimento”,
rimanendovi incastrato e schiacciato fino al decesso per asfissia meccanica.
L’incidente si verificava allorquando il primo operaio, accortosi che il nastro non
funzionava correttamente, smontava la protezione e, constatato che il nastro
girava a vuoto, poneva il pulsante di arresto della macchina ed azionava il
dispositivo di avanzamento manuale, facendo avanzare per brevi tratti il tappeto
di scorrimento, provvedendo con un rastrelletto a ripulire da fermo i ganci di
arpionamento dalle fibre rimastevi agganciate. Quindi il primo operaio faceva
una sosta. Dopo poco, tornando alla macchina, si accorgeva che il suo collega
Plaka era rimasto incastrato sotto il nastro caricatore.
5.Dalle indagini preliminari emergeva che il giorno dell’incidente era in corso una
lavorazione di materiali gommosi per i quali la macchina in uso non era idonea
(essendo destinata alla lavorazione di materiali tessili), tanto che i residui
spugnosi rimanevano spesso agganciati ai chiodi del nastro trasportatore,
determinandone il malfunzionamento. Tale situazione si verificava assai spesso
durante detto tipo di lavorazione, con la conseguenza che gli operai erano
2

con plurime violazioni delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro,

costretti a smontare la gabbia di protezione del nastro per ripulirlo. Una volta
smontata la protezione, questa non veniva più rimessa al suo posto per
economizzare il tempo nelle successive pulizie senza rallentare la produzione. Ciò
avveniva con la tolleranza del datore di lavoro. Sentiti dai militari operanti, gli
operai riferivano che l’inconveniente alla macchina si verificava ogni 30-60
minuti durante la lavorazione di materiali gommosi. Da ciò la ritenuta violazione
del disposto dell’art. 35 c.1 e 4 lett. B) D. Ivo 626/1994.

c.p. e 437 c.p., osservando che le previsioni normative considerano distinte
situazioni tipiche, vale a dire la dolosa omissione di misure antinfortunistiche con
conseguente disastro e la morte non voluta di una o più persone e tutelano
interessi differenti cioè la pubblica incolumità e la vita umana. Rigettava, altresì,
le censure fondate sul rilievo che fosse stato altro lavoratore a rimuovere la
protezione e che il Coveri avesse spiegato le modalità per eseguire la pulizia del
tappeto in sicurezza. La Corte territoriale, infatti, poneva a fondamento del
giudizio di responsabilità il rilievo che l’asportazione della protezione si rendeva
necessaria ogni qual volta il macchinario fosse utilizzato per la lavorazione di
materiali gommosi per i quali la macchina non era predisposta, talché il datore di
lavoro determinava coscientemente e volontariamente le condizioni che
rendevano necessaria la rimozione della protezione per alcuni giorni dì seguito,
presenziando alle lavorazioni e mostrando ai dipendenti le modalità con cui
eseguire la pulizia del rullo.
6. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione il Coveri, articolando
quattro motivi e formulando motivi nuovi con memoria ex art. 585 c. 4 c.p.c.
Considerato in diritto

1.Con il primo motivo il Coveri deduce erronea applicazione di legge penale con
riferimento agli artt. 437, 589 c.p., nonché correlata carenza della motivazione
risultante dal provvedimento. Osserva che non interessa contestare l’astratta
possibilità che le due norme coesistano in concorso formale, bensì la loro
concreta applicazione simultanea in ipotesi in cui il danno e il pericolo derivante
dalla violazione di disposizioni antinfortunistiche siano riferibili esclusivamente a
un singolo e determinato soggetto. Rileva che la rimozione della protezione
metallica del macchinario – funzionale a evitare il contatto con gli organi
lavoratori da parte del solo ed unico soggetto che vi stia lavorando – risulta
idonea a mettere in pericolo soltanto la singola persona che in quel determinato
momento stia utilizzando quella macchina. Con i motivi aggiunti pone in
evidenza la questione attinente ai rapporti tra le fattispecie di reato in
considerazione, Rileva che, anche a voler ritenere l’evento morte come rientrante
3

5. La Corte territoriale riteneva il concorso formale tra i reati di cui agli artt. 589

nel concetto di infortunio di cui all’art. 437 c. 2 c.p., la fattispecie di cui all’art.
589 c. 2 c.p. rimarrebbe assorbita dalla prima, in base a un raffronto effettuato
secondo il principio di specialità. Evidenzia che sono ravvisabili nella specie i
caratteri del reato complesso.
2. Il motivo è infondato. Va rilevato, preliminarmente, che il rilievo inerente al
rapporto di specialità tra le fattispecie non trova riscontro nell’orientamento
espresso al riguardo da questa Corte (per tutte Cass. 10048/1993, rv. 195696),

previsioni normative … considerano distinte situazioni tipiche, vale a dire la
dolosa omissione di misure antinfortunistiche con conseguente disastro e la
morte non voluta di una o più persone, e tutelano interessi differenti cioè la
pubblica incolumità e la vita umana. Poiché il danno alla persona non è compreso
nell’ipotesi complessa di cui all’art. 437, comma secondo, cod. pen, costituendo
effetto soltanto eventuale e non essenziale del disastro e dell’infortunio, causato
dall’omissione delle cautele, la morte, sia pure in conseguenza dell’omissione
stessa, non viene assorbita dal reato ex art. 437 c. secondo cod. pen., ma
costituisce reato autonomo. La punizione dell’uno e dell’altro reato, pertanto,
non comporta duplice condanna per lo stesso fatto e quindi non viola il principio
del “ne bis in idem”. Venendo, poi, alla fattispecie concreta, si osserva che le
modalità delle lavorazioni svolte presso l’azienda, come descritte nella sentenza
impugnata e non costituenti oggetto di contestazione, comportanti la periodica e
prolungata – anche per due o tre giorni – asportazione della rete metallica di
protezione, sì da lasciare libero accesso al nastro rotante munito di punte,
sconfessa la tesi del ricorrente. Le descritte modalità, puntualmente descritte
nella sentenza impugnata con motivazione adeguata e priva di vizi logici, infatti,
danno conto del fatto che ciò che l’indicata condotta imprudente determina è
proprio la messa in pericolo di un numero indeterminato di persone.
7. Con il secondo motivo il ricorrente deduce erronea applicazione della legge in
relazione all’art. 487 c.p., oltre a carenza e illogicità della motivazione risultante
dal provvedimento e da atti del procedimento. Rileva che non è stato chiarito in
sentenza che la modalità di pulizia imponesse la rimozione del pannello.
Evidenzia che la Corte territoriale aveva ritenuto integrato il reato di cui all’art.
437 c.p. sulla base della considerazione che il Coveri avrebbe rimosso o quanto
meno tollerato la rimozione delle misure di protezione del macchinario, pur
risultando pacifico che il giorno del sinistro la rimozione della protezione era
stata operata da soggetto diverso dal Coveri e in particolare da un dipendente
della ditta. Rileva che si potrebbe sostenere la configurabilità in capo al Coveri di
negligenza nel non avere adeguatamente sorvegliato, ma anche in tale ipotesi

4

che in questa sede il collegio intende riaffermare, in forza del quale ” tali

sarebbe al di fuori dell’ambito della norma incriminatrice, dato che il reato di cui
all’art. 437 c.p. è previsto nella sola forma dolosa.
3. Osserva il collegio che la censura si palesa infondata, posto che la volontarietà
della condotta ascritta all’imputato si coglie ove si consideri che, come
evidenziato con riferimento alla confutazione del primo motivo, avveniva una
periodica e prolungata asportazione della protezione metallica al fine di rendere
possibili determinate lavorazioni. Risulta, pertanto, che, nel suo periodico

Coveri, il quale, tra l’altro, come evidenziato dai giudici di merito, forniva
indicazioni agli operai su come operare a barriere rimosse. Da ciò la chiara
dimostrazione nella motivazione della sussistenza dell’elemento psicologico nella
forma dolosa.
4. Con il terzo motivo deduce erronea applicazione dell’art. 81 c.p., nonché
inosservanza dell’art. 442 c.p.p. Evidenzia che, dalla pena base sulla quale era
stato operato l’aumento ai sensi dell’art. 81 c.p., la Corte aveva determinato
l’aumento ad anni tre di reclusione, senza poi effettuare la diminuzione per la
scelta del rito abbreviato. Osserva che, nel momento in cui viene riconosciuto il
concorso formale ed applicato l’aumento previsto dall’art. 81 c.p., occorre dare
motivazione adeguata e puntuale in ordine alla quantificazione di tale aumento,
motivazione che è del tutto carente nella specie.
5. Il motivo di ricorso che precede è fondato, nei termini di seguito precisati. Dal
tenore della sentenza di primo grado si evince che il giudice ha tenuto conto
della riduzione conseguente al rito prescelto, diminuendo la pena base,
specificamente computata con riferimento al reato di cui all’art. 437 c.p. in anni
tre di reclusione, ad anni due di reclusione. Tuttavia, nel prevedere l’aumento
per il concorso formale, con specifico riferimento al reato di cui all’art. 589 c.p.,
la Corte d’Appello ha omesso di effettuare la diminuzione per il rito. Di
conseguenza, la pena va così correttamente rideterminata: si parte dalla pena
base stabilita con riferimento al reato di cui all’art. 437 c.p., pari a tre anni di
reclusione, si opera l’aumento di un anno per continuazione, effettuando poi sul
totale la diminuzione di un terzo; si perviene così alla corretta determinazione
della pena nella misura di due anni e otto mesi di reclusione.
6.Con l’ultimo motivo il ricorrente deduce mancanza di motivazione, rilevando
che la sentenza risulta ulteriormente carente relativamente al profilo esplicativo
circa le modalità con le quali i giudicanti sono pervenuti alla quantificazione del
danno ai fini della determinazione della provvisionale.
7. L’assunto è destituito di fondamento, poiché i giudici di primo e secondo grado
hanno adeguatamente motivato riguardo all’entità della provvisionale da
corrispondere, determinata in ragione del presumibile risarcimento del danno
5

verificarsi, tale situazione, idonea ad esporre gli addetti a pericolo, era nota al

morale subito dai congiunti della vittima, evidenziando, altresì, la gravità del
medesimo in ragione dell’età della vittima e delle atroci modalità del decesso e
considerando, inoltre, le disagiata condizioni economiche dei medesimi, comprovate
dalla documentazione in atti.
8. La sentenza, pertanto, va annullata limitatamente alla determinazione della
pena, che ai sensi dell’art. 620 c.p.p. viene dalla Corte rideterminata nei termini

P.Q.M.

La Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla
determinazione della pena che ricalcola in anni due e mesi otto di reclusione.
Rigetta il ricorso nel resto.

2E

Così deciso in Roma il 5/3/2015
Il Consi liere relatore
Luci

sposito

Il Presidente
Carlo Gius- z e Brusco

indicati sub 7), con conferma delle restanti statuizioni.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA