Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27146 del 02/05/2018

Penale Sent. Sez. 5 Num. 27146 Anno 2018
Presidente: SABEONE GERARDO
Relatore: SCARLINI ENRICO VITTORIO STANISLAO

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
A.A.

avverso la sentenza del 29/09/2017 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore MARIA
FRANCESCA LOY
che ha concluso per l’inammissibilita del ricorso.
Udito il difensore, avv. MARINO ALESSANDRO, in sost. dell’avv. GIOVANNI
LAURO, che chiede l’accoglimento del ricorso.

Data Udienza: 02/05/2018

RITENUTO IN FATTO

1 – Con sentenza del 29 settembre 2017, la Corte di appello di Firenze
confermava la sentenza del locale Tribunale che aveva ritenuto A.A.
colpevole del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale, per avere distratto,
quale amministratore di fatto della srl XX, dichiarata fallita il 24 ottobre 2007,
in concorso come l’amministratore di diritto, B.B., somme varie dai
conti correnti della medesima ed il corrispettivo della vendita di due immobili.

– il ruolo di amministratore di fatto del prevenuto emergeva da una pluralità
di indici: aveva avuto contatti e condotto trattative con i clienti della società, si
era interessato all’acquisizione delle somme necessarie per l’acquisto degli
immobili, aveva la disponibilità diretta di uno dei conti correnti della fallita,
prelevava direttamente dal conto della stessa le somme che asseriva essergli
dovute a titolo di rimborso spese, senza neppure presentare i relativi riscontri
documentali; un ruolo che non era certo smentito da due deposizioni dissonanti,
la prima di Pellizzari, che non era neppure un dipendente della fallita, la seconda
di Casini, responsabile di un centro servizi che la fallita utilizzava, che avevano
riferito di avere avuto rapporti con il solo B.B., non essendosi ipotizzato
che quest’ultimo fosse una mera “testa di legno”;
– si era dimostrato che, quantomeno il prezzo dei due immobili venduti ai
Pontarolo, avrebbe dovuto pervenire nelle casse della fallita e ne era invece stato
distratto;
– non era necessario provare il nesso di causalità fra le ridette appropriazioni
ed il fallimento,
– il trattamento sanzionatorio era congruo in considerazione della gravità del
fatto ed alla reiterazione delle condotte appropriative.
2 – Propone ricorso l’imputato, a mezzo del suo difensore, articolando le
proprie censure in cinque motivi.
2 – 1 – Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione
laddove non si era sufficientemente provato il ruolo gestorio del prevenuto. Non
si erano infatti raccolti elementi che consentissero di affermare che questi
esercitasse i propri compiti in totale autonomia dall’amministratore di diritto, né
si era documentato che la sua azione travalicasse le sue mansioni di
procacciatore d’affari con la delega ad operare sui conti per quanto necessitasse
al compimento delle stesse.
Così che, al più, l’imputato avrebbe potuto rispondere del delitto di
appropriazione indebita nei confronti della società, avendole illecitamente
sottratto dei fondi, ma non di bancarotta nella veste di amministratore di fatto.
1

La Corte territoriale, nel rigettare i motivi di appello, osservava che:

2 – 2 – Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di
motivazione laddove si erano svalutati gli apporti dichiarativi dei testi Pellizzari e
Casini.
Entrambi, in contatto con la società fallita, avevano riferito, il primo, di
avere intrattenuto rapporti con il solo B.B. e, il secondo, di avere saputo
che l’imputato era “andato a lavorare in quella società” (espressione da cui si
doveva dedurre il suo ruolo subordinato nella medesima).
2 – 3 – Con il terzo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di

utilizzati sia per confermare il ruolo di amministratore di fatto dell’imputato, sia
per provare le condotte distrattive.
Deve, invece, considerarsi che l’assenza di documenti giustificativi dei
prelievi fatti non consente di dedurre il ruolo di amministratore di fatto del
medesimo ma solo, come si è già affermato, l’appropriazione di tali somme a
danno della società.
Non si era comunque provato che A.A. esercitasse con continuità compiti
riservati agli amministratori.
2 – 4 – Con il quarto motivo denuncia la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in riferimento alla ritenuta portata distrattiva della vicenda inerente
la cessione delle due unità immobiliari.
In tale affare, infatti, la fallita era stata utilizzata dallo B.B. solo come
“schermo formale”. Tanto che, dal conto personale del prevenuto, lo stesso
giorno, erano stati prima prelevati 240.000 euro in contanti che erano rientrati
venti minuti più tardi. Il che prova la natura simulata dell’operazione e
l’intestazione solo formale degli immobili alla fallita.
2 – 5 – Con il quinto motivo lamenta la violazione di legge ed il vizio di
motivazione in ordine al trattamento sanzionatorio il cui motivo di appello era
stato ritenuto inammissibile per genericità, dovendosi, invece, considerare che
l’imputato aveva ottenuto la riabilitazione per tutte le precedenti condanne e che
potevano essere comunque rilevate circostanze tali, nonostante l’affermata
gravità del reato, che consentissero la concessione delle circostanze attenuanti
generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso promosso nell’interesse di A.A. è manifestamente
infondato.
1 – I primi quattro motivi di ricorso sono interamente versati in fatto e,
invece, esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli
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motivazione in relazione alla ritenuta valenza probatoria dei prelievi ingiustificati,

elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di
legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più
adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte: Sez. Un., 30/42/7/1997, n. 6402, Dessimone, Rv. 207944; tra le più recenti: Sez. 4, n. 4842
del 02/12/2003 – 06/02/2004, Elia, Rv. 229369).
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile
ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal

esplicitato le ragioni del suo convincimento.
La Corte fiorentina aveva dedotto il ruolo di amministratore di fatto
dell’imputato da una pluralità di indici, nel loro complesso pienamente
dimostrativi di tale assunzione di responsabilità: il prevenuto infatti non aveva
solo continui contatti con i clienti della società, ma si era anche interessato del
reperimento delle somme necessarie all’acquisto di alcuni immobili, un compito
del tutto estraneo a chi avrebbe dovuto essere solo un delegato alle vendite, un
rappresentante commerciale della società.
Era altrettanto indicativo del ruolo ricoperto anche il fatto che il prevenuto
non dovesse presentare la documentazione delle spese sostenute, per consentire
all’amministrazione della stessa il richiesto rimborso, ma prelevava direttamente
le somme che assumeva a lui dovute senza dovere rendere conto ad alcuno,
tanto non dover presentare neppure le ricevute, circostanza questa che rendeva
evidente come non fosse sottoposto ad alcun controllo, proprio per il ruolo di
amministratore di fatto che ricopriva.
Si era, infine, prestato ad effettuare quel giro di denaro che era servito per
l’acquisto degli immobili (la cui simulazione non è stata provata, restando
pertanto acquisiti gli stessi al patrimonio della fallita).
A fronte di tale quadro, le affermazioni di un teste, cliente della società, di
avere trattato con il solo amministratore di diritto, e di un altro, dalle cui
affermazioni si dovrebbe dedurre che l’imputato era solo un dipendente della
società, appaiono, come affermato dalla Corte territoriale, del tutto inidonee a
scalfire il costituto probatorio formatosi a carico del prevenuto.
2 – Il quinto motivo, speso sul trattamento sanzionatorio, è manifestamente
infondato perché la Corte territoriale aveva comunque motivato la complessiva
congruità della pena, attribuendo particolare rilevanza alla gravità delle condotte
ed alla loro reiterazione così sottraendosi al sindacato di legittimità, posto che:
– la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito,
che la esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.;
ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri
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giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha

ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non
sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (Sez. 5, n. 5582 del
30/09/2013 – 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142), ciò che — nel caso di specie
non ricorre;
– la mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche è
giustificata da motivazione esente da manifesta illogicità, che, pertanto, è
insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n. 42688 del 24/9/2008, Rv. 242419),
anche considerato il principio affermato da questa Corte secondo cui non è

attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o
sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli
faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo
disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del
18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv.
248244).
3 – All’inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, versando il medesimo in colpa, della
somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro 2.000,00 in favore della Cassa delle
ammende.
Così deciso in Roma il 2 maggio 2018.

necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle

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