Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27139 del 22/04/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27139 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDREAZZA GASTONE

SENTENZA

sul ricorso proposto da : Lan Xiuhua, n. a Hubei (Cina) il 14/10/1963;
Jang Mingfu, n. a Anhui (Cina) il 14/09/1963;
Zhang Dan, n. a Hubei (Cina) il 08/02/1976;
Huang Chengguo, n. a Hubei (Cina) il 16/06/1972;

avverso la ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Como in data 29/09/2014;
udita la relazione svolta dal consigliere Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale S. Spinaci, che ha concluso per il rigetto;

RITENUTO IN FATTO

1.Lan Xiuhua, Jang Mingfu, Zhag Dan e Huang Chengguo hanno proposto ricorso
avverso l’ordinanza del 29/09/2014 del G.i.p. del Tribunale di Como che ha
rigettato, in sede di opposizione al diniego di restituzione da parte del P.M. (che
aveva ritenuto integrato il reato di evasione dell’Iva all’importazione di cui all’art.
70 del d.P.R. n. 633 del 1972) la richiesta di revoca del sequestro probatorio di
cinque orologi per il reato di cui all’art. 282 del d.P.R. n. 43 del 1973.

Data Udienza: 22/04/2015

2. Sotto un primo profilo premettono che il presupposto per la configurazione dei
reati in parola è la assoggettabilità della merce al pagamento dei diritti
d’importazione e che nella specie, tuttavia, per effetto dell’accordo in data 22
luglio 1972 tra la confederazione elvetica e la comunità economica europea sono
stati soppressi nei rapporti tra tali stati i dazi doganali in ambito di importazione

di contrabbando doganale o di evasione dell’Iva all’importazione nel caso di
merci importate dalla Svizzera nel territorio nazionale. In particolare, gli orologi
sottoposti a sequestro erano stati acquistati dagli indagati con carta di credito
durante il loro soggiorno in Svizzera per poi essere destinati ad essere esportati
in Cina quale stato di stabile residenza degli stessi una volta terminato il viaggio
per motivi turistici. Detti orologi erano pertanto in semplice transito temporaneo
sul territorio dell’unione europea e come tale non soggetti ad alcun dazio se non
all’eventuale pagamento dell’Iva fatto salvo il divieto della doppia imposizione,
nel caso di specie tuttavia essendo tale onere già stato assolto nel territorio
elvetico al momento dell’acquisto dei beni, peraltro accompagnato dal rilascio ai
viaggiatori della certificazione tax free, come del resto pacificamente emerso
dalle dichiarazioni dei responsabili delle gioiellerie presso le quali è avvenuto
l’acquisto. Peraltro, anche sotto il profilo soggettivo, i reati non sarebbero
configurabili giacché gli indagati, a fronte dell’acquisto effettuato, avevano
ricevuto dai venditori regolare documentazione fiscale valida all’esportazione di
beni.

3. Quanto agli aspetti processuali della decisione, evidenziano che la situazione
di fatto al momento della richiesta di restituzione è variata rispetto all’origine
essendo state svolte tutte le indagini volte a dimostrare l’insussistenza dei reati
in contestazione, e che non sussiste più alcun motivo per mantenere a fini
probatori il sequestro giacché in ordine agli orologi è stato svolto ogni
accertamento possibile ed immaginabile. Più specificamente, con riguardo
all’impossibilità di disporre la revoca del provvedimento di sequestro nei casi
indicati nell’art. 240, comma 2, c.p. invocata dal G.i.p. nel provvedimento
impugnato, osservano che nel caso di specie la confisca è disciplinata
unicamente da un articolo di legge speciale e che comunque l’art. 324, comma 7,
c.p.p., cui ha fatto riferimento il provvedimento, non è richiamato dall’art. 355
comma 3 c.p.p. se non ai fini della convalida e del riesame ma non con riguardo
alla restituzione o all’opposizione ex art. 263 c.p.p.

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ed esportazione di qualsivoglia merce con conseguente inconfigurabilità del reato

CONSIDERATO IN DIRITTO

4. Va anzitutto premesso che, per costante indirizzo di questa Corte, in tema di
sequestro probatorio, con l’ opposizione avverso il decreto del P.M. di rigetto
della richiesta di restituzione delle cose sequestrate sono deducibili

prova e non anche alla opportunità o legittimità del sequestro, che possono
essere fatte valere con la richiesta di riesame (da ultimo, tra le altre, Sez. 2, n.
45343 del 16/07/2013, Moruzzi e altro, Rv. 257489).
Ne consegue che, nella specie, afferente, per quanto risultante dalla stessa
ordinanza impugnata, a sequestro probatorio appunto, non appaiono deducibili
neppure in questa sede le doglianze con cui si rappresenta che il reato di
contrabbando doganale cui all’art. 282 del d.P.R. n. 43 del 1973, per il quale il
sequestro è intervenuto, non sarebbe configurabile. Di qui l’inammissibilità delle
censure poste nella prima parte del ricorso.
Appaiono invece fondate le doglianze mosse nella seconda parte, laddove, cioè,
in linea con la giurisprudenza appena richiamata, si contestano, sotto un profilo
di vizio motivazionale (proponibile nei confronti dell’ordinanza del G.i.p. in
oggetto : vedi Sez. U., n. 9857 del 30/10/2008, Manesi, Rv. 242290), nonché di
violazione di legge, le argomentazioni offerte dal Tribunale in ordine alla
necessità di mantenere il vincolo cautelare.
Il provvedimento impugnato pare avere infatti ravvisato come ostativo rispetto a
qualunque esame nel merito della prospettazione difensiva, il fatto che, essendo
prevista, in caso di condanna, la confisca obbligatoria degli oggetti, sarebbe
preclusa al giudice, secondo quanto contemplato dall’art. 324, comma 7, c.p.p.,
ogni possibilità dì disporre la restituzione dei beni stessi.
Tale affermazione, tuttavia, non è condivisibile.
L’art. 324, comma 7, cit., infatti, ritenuto applicabile dal G.i.p., prevede
testualmente che la revoca del sequestro non possa essere disposta “nei casi
indicati nell’art. 240 comma 2 del codice penale” ovvero, in altri termini, (non
venendo qui in considerazione gli specifici reati di cui al n.2 del comma 2 dell’art.
240), qualora si tratti di cose che costituiscono il prezzo del reato (n.1 del
comma 2 dell’art. 240) o la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione e
alienazione costituiscano reato (n.3 del comma 2 dell’art. 240); sennonché, nella
specie, la confisca normativamente collegata al reato per il quale si procede non
discende da alcuna di queste situazioni derivando invece dalla disposizione
dell’art. 301 del d.P.R. n. 43 del 1973 secondo cui “nei casi di contrabbando è
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esclusivamente censure relative alla necessità di mantenere il vincolo a fini di

sempre ordinata la confisca delle cose che servirono o furono destinate a
commettere il reato e delle cose che ne sono l’oggetto ovvero il prodotto o il
profitto”; ne consegue, in ragione della impossibilità di fare applicazione, al di
fuori dei casi espressamente previsti, di una norma che, alla luce della sua
natura derogatoria rispetto al generale principio di revocabilità del sequestro,
non può che essere di stretta interpretazione, pena, diversamente, la violazione

contrabbando, Sez. 3, n. 41200 del 10/10/2008, Tringali, Rv. 241531), la
fondatezza dell’assunto del ricorso.
In definitiva, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale di Como
che, una volta venuto meno l’impedimento, rappresentato dalla norma
processuale erroneamente applicata dall’ordinanza impugnata, alla verifica in
fatto della sussistenza o meno dei presupposti che ostino alla restituzione degli
orologi in sequestro, procederà ad un tale esame sulla base delle risultanze delle
indagini.

P.Q.M.

Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia al Tribunale di Como.

Così deciso in Roma, il 22 aprile 2015.

del principio di legalità (cfr., con riferimento alla medesima fattispecie di

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