Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27132 del 27/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27132 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: SCARCELLA ALESSIO

SENTENZA

Sui ricorsi proposti da
KURRETA VIKTOR, n. 4/06/1970 a VLORE (ALBANIA)
DODAJ AGOSTIN, n. 31/10/1976 a RRRESHEN MIRDITE (ALBANIA)
DODAJ ARBEN, n. 9/10/1972 a MIRDITE (ALBANIA)
DODAJ EDMOND, n. 9/07/1981 in ALBANIA
GOSTINI FATHBARD, n. 1/10/1984 in ALBANIA
BELESHI ELSON, n. 9/03/1981 in ALBANIA

avverso la sentenza della Corte d’appello di MILANO in data 29/04/2014;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e i ricorsi;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. E. Delehaye, che ha chiesto il rigetto dei ricorsi;
udite, per il ricorrente Kurreta, le conclusioni dell’Avv. C. Scalfari, che ha chiesto
accogliersi il ricorso;

Data Udienza: 27/03/2015

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RITENUTO IN FATTO

1.

KURRETA VIKTOR, DODAJ AGOSTIN, DODAJ ARBEN, DODAJ EDMOND,

GOSTINI FATHBARD e BELESHI ELSON hanno proposto ricorso avverso la
sentenza della Corte d’appello di MILANO emessa in data 29/04/2014, depositata

29/04/2013 dal GUP del Tribunale di MILANO, che li aveva condannati:
a) alla pena di anni 4 e mesi 6 di reclusione ed C 30.000,00 di multa, per il reato
di cui al capo 2), quanto al KURRETA (artt. 100 c.p., 73, d.P.R. n. 309 del 1990,
aggravato dal numero delle persone e dall’essere stato commesso da
extracomunitari che si trovavano in condizioni di illegalità sul territorio
nazionale; contestato come commesso in data 10/04/2008);
b) alla pena di anni 15 di reclusione, per i reati di cui ai capi da 5) a 12) nonché
ai capi 14), 16) e 28) della rubrica (quanto a DODAJ AGOSTIN), unificati gli
stessi sotto il vincolo della continuazione (artt. 110, 73, d.P.R. n. 309 del 1990,
aggravato quanto ai capi 5) e 16) dal numero delle persone e, quanto ai capi 8),
10), 11), 12) e 14), dal numero delle persone e dall’ingente quantità; art. 74,
commi primo, secondo e quarto, d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimento al capo
28);
c) alla pena di anni 15 di reclusione, per i reati di cui ai capi da 5) a 12) nonché
ai capi 14), 15), 27) e 28) della rubrica (quanto a DODAJ ARBEN), unificati gli
stessi sotto il vincolo della continuazione (artt. 110, 73, d.P.R. n. 309 del 1990,
aggravato quanto ai capi 5) e 27) dal numero delle persone e, quanto ai capi 8),
10), 11), 12), 14) e 15), dal numero delle persone e dall’ingente quantità; art.
74, commi primo, secondo e quarto, d.P.R. n. 309 del 1990, con riferimento al
capo 28);
d) alla pena di anni 15 di reclusione, per i reati di cui ai capi 11), 12), da 14) a
16), da 18) a 20), da 22) a 24), e da 26) a 28) della rubrica (quanto a DODAJ
EDMOND), unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione (artt. 110 c.p.,
73, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato quanto ai capi 16), 19), 20), 22), 23),
24), 26), 27) dal numero delle persone e, quanto ai capi 11), 12), 14) e 15), dal
numero delle persone e dall’ingente quantità; art. 74, commi primo, secondo e
quarto, d.P.R. n. 309 dei 1990, con riferimento al capo 28);
e) alla pena di anni 8 di reclusione, per i reati di cui ai capi 5), 8), da 10) a 15),
22), 26) e 28) della rubrica (quanto a BELESHI), unificati gli stessi sotto il
vincolo della continuazione e concesse le attenuanti generiche equivalenti (artt.
110 c.p., 73, d.P.R. n. 309 del 1990, aggravato quanto ai capi 5), 22) e 26) dal
2

in data 15/07/2014, con cui veniva confermata la sentenza emessa in data

wr

numero delle persone e, quanto ai capi 8), 10), 11), 12), 14) e 15) dal numero
delle persone e dall’ingente quantità; art. 74, d.P.R. n. 309 del 1990, quale
partecipe, con riferimento al capo 28);
f) alla pena di anni 5 di reclusione ed C 30.000,00 di multa, per i reati di cui ai
capi 21) e 25) della rubrica (quanto al GOSTINI: art. 110, 81 cpv, cod. pen., 73,
d.P.R. n. 309 del 1990).

2006 al maggio 2008; quanto agli altri episodi di cui all’art. 73, d.P.R. n. 309 del
1990, venivano contestati come commessi, secondo le modalità esecutive meglio
descritte nei singoli capi di imputazione, tra il 2007 ed il maggio 2008.

2. Con il ricorso per cassazione KURRETA, proposto personalmente dall’imputato,
vengono dedotti tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari
per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

2.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. c)
ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione all’art. 125, comma terzo, c.p.p. per aver
omesso di motivare la sentenza, ricorrendo alla tecnica del c.d. copia-incolla,
vizio emergente dalla lettura dell’impugnata sentenza, dalla lettura della
sentenza di primo grado e dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare
genetica.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di
appello (e già il primo giudice), posto in essere una “macroscopica” opera di
copia-incolla, limitandosi a riproporre il contenuto del provvedimento restrittivo
della libertà personale, non premunendosi neanche di aggiungere “sporadici
commenti” attinenti alle richieste avanzate dalla difesa in sede di discussione
finale, con conseguente vizio di nullità assoluta; la motivazione, tenuto conto
della giurisprudenza di questa Corte, sarebbe soltanto apparente, omettendo il
necessario vaglio critico delle risultanze probatorie e l’illustrazione della ritenuta
riconducibilità del fatto alla fattispecie criminosa contestata; i giudici di appello,
in particolare, avrebbero dedicato solo due pagine (pagg. 37 e 28) della
motivazione alla posizione del ricorrente, peraltro di identico contenuto rispetto
all’ordinanza di custodia cautelare, meramente “riproposta”; nessun apporto è
stato fornito dai giudici di appello a sostegno del proprio convincimento, senza
tener conto delle censure difensive, sicchè, essendo in presenza di motivazione
inesistente o apparente, la sentenza sarebbe affetta da nullità.

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Il reato associativo veniva contestato come commesso dal mese di dicembre

2.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b)
ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione all’art. 62 bis c.p., per aver omesso o
comunque aver illogicamente e contraddittoriamente motivato in relazione alla
possibilità di riconoscere al ricorrente le circostanze attenuanti generiche.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di
appello (e già il primo giudice), omesso di motivare in ordine al mancato

ricorrente, soggetto immune da precedenti penali, che ha sempre lavorato
onestamente come operaio in Italia e titolare di permesso di soggiorno, era
sicuramente meritevole del riconoscimento delle attenuanti generiche, tenuto
conto soprattutto della marginalità del ruolo svolto; una complessiva valutazione
dei fatti, in sintesi, avrebbe dovuto condurre i giudici, tenuto conto del modesto
disvalore sociale della condotta, a riconoscere le predette attenuanti.

2.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b) ed
e), Cod. Proc. Pen., in relazione all’art. 133 c.p., per aver omesso o comunque
aver illogicamente e contraddittoriamente motivato in relazione all’applicazione
dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di
appello (e già il primo giudice), omesso di motivare in ordine alla giustificazione
del rigoroso trattamento sanzionatorio applicato; i giudici avrebbero omesso di
applicare i criteri di cui all’art. 133 c.p. e, segnatamente, non avrebbero tenuto
conto delle modalità dell’azione e della gravità del danno; la corretta valutazione
avrebbe sicuramente dovuto determinare i giudici di appello ad irrogare una
pena meno grave, contenendola nel minimo edittale.

3. Con il ricorso per cassazione GOSTINI, proposto dal difensore fiduciario
cassazionista, viene dedotto un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

3.1. Deduce il ricorrente, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b)
ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione all’art. 192, comma 2, c.p.p., in punto di
valutazione della prova per mancanza di gravità, precisione e concordanza di
indizi e correlati vizio motivazionale di manifesta illogicità della motivazione in
punto di identificazione nel ricorrente del soggetto a nome “Bardhi” intercettato
in alcune telefonate.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto
identificato come “Bardhi”, nominativo emerso in alcune telefonate intercettate,
4

riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche; diversamente, il

la persona del Gostini, il tutto con motivazione illogica; l’identificazione sarebbe
avvenuta, si osserva in ricorso, attraverso un meccanismo logico discutibile (il
Gostini si era trovato in compagnia del coimputato Dodaj Agostin e di tale
Llheshi Alksander e condotto in caserma in data 16/06/2007; ivi, utilizzando il
telefono cellulare di Dodaj, avrebbe telefonato al Beleshi Bledar per avvisarlo del
fermo del Dodaj e per consultare un legale su cosa sarebbe potuto accadere al

riconosciuto immediatamente la voce del Bardhi, abituale cliente di cocaina del
gruppo criminale facente capo a Dodaj); tale meccanismo logico sarebbe invece
“illogico”, secondo il ricorrente, sia perché fino a quel momento il Gostini mai era
emerso nel corso dell’attività di indagine, sicchè alla data del 16/06/2007 non
era possibile qualificarlo come abituale cliente di cocaina, tenuto conto che solo
successivamente (gli episodi per cui è intervenuta condanna risalgono al febbraio
ed al maggio 2008) lo stesso risulta essere stato coinvolto in due vicende di
acquisto di stupefacente e che il medesimo non risulta mai essere stato
intercettato; la giustificazione, sul punto, fornita dai giudici di appello sarebbe
peraltro illogica, in quanto la circostanza che tra il Gostini ed il Dodaj vi fossero
rapporti è evincibile dal fatto che i due vennero controllato insieme il
16/06/2007, laddove è indimostrato che tali rapporti fossero consolidati, come
non provato è che al momento del controllo i due fossero insieme per ragioni
illecite; infine, costituirebbe affermazione apodittica e gratuita quella secondo cui
le frequentazioni illecite siano ricavabili dall’ampia attività di indagine; priva di
logica, infine, sarebbe l’ulteriore affermazione secondo cui il Gostini fosse un
cliente abituale del gruppo, ciò in quanto nessun fatto vede coinvolto il Bardhi
nel mese di aprile 2008, perché i fatti contestatigli sono collocati a febbraio ed a
maggio 2008 e, in secondo luogo, perché prima dell’aprile 2008 sicuramente vi
sono stati incontri visto che a fine febbraio vi era stata una consegna, ciò
tuttavia non legittimando la pretesa di qualificare nel giugno 2007 il Gostini
come il “Bardhi” utilizzatore del telefono del Dodaj quale cliente abituale del
gruppo, né di dare per provata la circostanza che il Bardhi, che nel 2008 sarà
coinvolto nei due episodi, sia proprio l’attuale ricorrente; secondo il ricorrente,
infatti, quando il Gostini è stato controllato nel giugno 2007 insieme al Dodaj non
venne rilevata la presenza di alcun cellulare che lo potesse ricollegare alle
telefonate fatte dal Bardhi acquirente di stupefacente nel 2008 e che, inoltre,
nessuna delle utenze di volta in volta utilizzate dal Bardhi porta a collegare quel
soggetto al Gostini, in relazione al quale non sarebbe neppure provato che, dopo
il giugno 2007, si trovasse ancora in Italia, non essendovi elementi in tal senso.

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fermato; in tali telefonate del 16/06/2007 gli interpreti ausiliari di PG avevano

4. Con il ricorso per cassazione BELESHI, proposto dal difensore fiduciario
cassazionista, vengono dedotti tre motivi, dì seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

4.1. Deduce il ricorrente, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b),
c) ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione agli artt. 74, comma 2, d.P.R. n. 309 del

motivazionali di mancanza o manifesta illogicità della motivazione in punto di
ritenuta sussistenza del sodalizio contestato e partecipazione al sodalizio del
ricorrente, sia sul piano oggettivo che soggettivo.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto i giudici
sussistente il delitto associativo sulla base di alcuni elementi (reiterazione e
costanza di contatti; collaudate modalità operative; canali di rifornimento esteri
consolidati; utilizzo strumentale dell’appartamento di Milano, via Caduti n. 11)
reputati idonei ad integrare l’elemento oggettivo del reato; erroneamente i
giudici avrebbero però negato rilevanza, a fronte dell’accertato “protrarsi per un
significativo periodo di tempo delle attività illecite”, alla pur accertata
discontinuità di presenza sulla scena del ricorrente ed al suo cambiamento di vita
, asseritamente avvenuto in epoca successiva ai fatti; tale affermazione sarebbe
illogica, perché la Corte si sarebbe limitata a sminuire la valenza di tali elementi,
dando per dimostrato l’inserimento del ricorrente nel gruppo in ragione
dell’aprioristicamente affermata intensità e consistenza del vincolo associativo
che invece doveva essere verificato; ancora, si contesta in ricorso, i giudici
avrebbero ritenuto sussistente il reato associativo sotto il profilo soggettivo, in
base all’assunto che l’inserimento organico del singolo prescinde dal numero di
volte in cui ha agito personalmente, purchè abbia commesso i fatti in un
contesto di reciproca consapevolezza e di adesione contributiva all’attività
associativa; tale affermazione sarebbe parimenti illogica, in quanto il dolo
richiesto viene dato per scontato e non verificato alla luce della frequenza,
intensità e modalità di cessazione dei rapporti intercorsi tra il ricorrente e i suoi
pretesi sodali, in definitiva deducendone la prova dalla consumazione dei reati —
fine; detta operazione ermeneutica sarebbe inaccettabile, atteso che con
particolare riferimento al reato associativo in esame, il dubbio sulla
configurabilità di un’ipotesi di concorso dev’essere sciolto attraverso un
accertamento penetrante e garantistico dell’elemento soggettivo del reato, posto
che la rudimentalità dei mezzi è elemento non idoneo a differenziare
l’associazione dal concorso, sicchè il mero riferimento alla commissione dei reatifine si rivelerebbe inidoneo a fornire la prova del dolo richiesto per la

1990, 43 cod. pen., 192, comma 3 e 125, comma 3, c.p.p. e correlati vizi

configurabilità del reato associativo, non essendo ammissibile ritenerlo “in re
ipsa” ossia coincidente con quello dei reati-fine, in quanto così facendo si
finirebbe per ritenere provata l’associazione attraverso la mera dimostrazione
della commissione dei reati — fine, così contrastando con gli insegnamenti di
questa Corte; i giudici di appello, in ultima analisi, non avendo indicato alcun
fatto esteriore diverso da quello riconducibile ai reati fine, avrebbero desunto la

operazione manifestamente illogica, perché proprio la peculiarità dell’uscita di
scena del ricorrente e del suo cambio di vita, avrebbero dovuto essere valutate
dalla Corte quali elementi di fatto rilevanti rispetto all’accertamento della
sussistenza o meno dell’elemento soggettivo del delitto associativo.

4.2. Deduce il ricorrente, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett.
b), c) ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione agli artt. 74, comma 3, d.P.R. n. 309
del 1990 e 125, comma 3, c.p.p. e correlati vizi motivazionali di mancanza o
manifesta illogicità della motivazione in punto di ritenuta sussistenza
dell’aggravante del numero delle persone.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per aver ritenuto i giudici
sussistente l’aggravante del numero delle persone con la tautologica ed
apodittica affermazione secondo cui il numero delle persone dev’essere valutato
in senso oggettivo, cioè come componente umana esistente nel sodalizio e non
certo con riferimento a quello degli imputati presenti nello stesso processo o
separatamente giudicati, ovvero alla soggettiva percezione del singolo; sarebbe
illogico, sostiene il ricorrente, affermare che nel numero siano ricompresi anche i
coimputati in separati procedimenti, senza indicare a carico di tali soggetti quali
sarebbero gli specifici elementi idonei a dimostrane lo stabile inserimento nel
sodalizio anziché l’estemporanea ed occasionale, eventuale, collaborazione in
uno o più dei reati-fine ex art. 110 cod. pen. anziché ai sensi dell’art. 74, T.U.
Stup.; i giudici non avrebbero spiegato quali siano gli elementi di forza di cui il
ricorrente avrebbe avuto consapevolezza che le persone inserite nel sodalizio
fossero non solo e non tanto quelle con cui era in contatto, ma altre non
conosciute, con cui non risulta aver mai avuto alcun tipo di rapporto e/o contatti,
né essendosi accertato se avessero collaborato o meno in modo sporadico
anziché coordinato con i pretesi associati; secondo una lettura
costituzionalmente orientata alla luce dell’art. 27 Cost., sostiene il ricorrente, è
necessario che dolo o colpa investano ogni altro elemento della fattispecie che,
in quanto intimamente connesso con l’offesa, concorra a determinarne il
disvalore, come avvenuto con riferimento alla minore età della persona offesa; in
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prova del reato associativo unicamente dalla reiterata perpetrazione degli stessi,

tal senso, solo qualora sia dimostrato che il reo abbia conosciuto o quantomeno
ignorato o erroneamente escluso per colpa il numero delle persone, potrebbe
essergli mosso un rimprovero sul piano psicologico; in definitiva, dunque,
dovrebbe affermarsi che l’appartenenza ad un sodalizio composto da più dì dieci
persone debba essere percepito dal colpevole o colpevolmente ignorato dallo
stesso come sintomatico della maggior gravità della propria condotta, e,

della pena.

4.3. Deduce il ricorrente, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b), c)
ed e), Cod. Proc. Pen., in relazione agli artt. 133 cod. pen. e 125, comma 3,
c.p.p. e correlati vizi motivazionali di mancanza o manifesta illogicità della
motivazione in punto di determinazione della pena per la fattispecie associativa.
In particolare, la censura investe l’impugnata sentenza per non aver ritenuto i
giudici di appello meritevole il ricorrente di un trattamento sanzionatorio più mite
di quello inflittogli; i giudici si sarebbero limitati a ritenere congrua la pena in
considerazione della gravità dei fatti e della reiterazione delle condotte,
precisando, con riferimento alla posizione del ricorrente, che la pena base
sarebbe stata determinata nel minimo edittale; tale affermazione sarebbe
assolutamente illogica, in quanto la pena base per il ricorrente è stata
determinata in misura di gran lunga superiore al minimo edittale (anni 15,
laddove il minimo edittale è di anni 10), senza alcuna indicazione delle ragioni
per le quali tale scostamento doveva ritenersi giustificato; ciò, a maggior
ragione, si osserva in ricorso, ove si consideri che il ricorrente è l’unico ritenuto
meritevole delle attenuanti generiche, donde non apparirebbe comprensibile il
motivo del mancato attestamento della pena base nel minimo edittale, anziché in
misura così elevata.

5. Con ii ricorsi per cassazione di DODAJ ARBEN, DODAJ AGOSTIN e DODAJ
EDMOND, proposti dal comune difensore fiduciario cassazionista, vengono
dedotti complessivamente nove motivi, di seguito enunciati nei limiti
strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. Att. Cod. Proc. Pen.

5.1. Deducono i ricorrenti, con il primo motivo comune a tutti e tre, il vizio di cui
all’art. 606, lett. c) ed e), Cod. Proc. Pen., sub specie per la mancanza e/o
contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento
all’identificazione del ricorrente ed inosservanza di norme processuali (art. 597
cod. proc. pen.) e conseguente violazione del principio devolutivo.
8

pertanto, solo in questi casi possa essergli rimproverato con un inasprimento

5.1.1. In particolare, quanto al DODAJ ARBEN, la censura investe l’impugnata
sentenza per aver i giudici di appello individuato il ricorrente in assenza di
elementi certi di identificazione; anzitutto, si censura la parte della decisione in
cui si afferma che non vi fosse stata contestazione circa il rigore metodologico
seguito dagli inquirenti nell’identificazione anagrafica e fisica degli imputati,
avendo in ciò i giudici di appello travisato il senso dei motivi di appello fino a ad

quanto chiesto nei motivi, in violazione del principio devolutivo; in secondo
luogo, muovendo dall’assunto che il ricorrente è sempre stato all’estero, si
censura l’affermazione della Corte territoriale che valorizza il dato del
riconoscimento vocale in occasione dell’ascolto in tempo reale di conversazioni
intercettate per lungo tempo, associati al frequente utilizzo nel corso dei colloqui
di termini ripetutamente individualizzanti, talvolta confermato dall’esito di servizi
di o.c.p., considerati come elementi di inequivocabile valenza dimostrativa;
secondo il ricorrente, il riconoscimento vocale non sarebbe stato possibile sia
perché egli si trovava all’estero, sia perché non era stato possibile ascoltarne la
voce in quanto non era stato controllato o fermato durante le indagini, non
potendo ritenersi idoneo l’unico controllo effettuato sul suo conto due anni prima
delle indagini, peraltro da parte dei carabinieri e non da parte della Guardia di
Finanza, in assenza peraltro di attività di o.c.p. e considerato che il nomignolo
“Beni” cui è stata attribuita portata individualizzante, in realtà è di uso comune
in Albania e, quindi, inidoneo ad identificarlo, altro profilo di censura investe la
motivazione, laddove nel confutare il motivo di appello per cui la circostanza che
“Beni” fosse fratello di “Gusti” costituiva una mera presunzione, non supportata
da certificato anagrafico storico, aveva risposto affermando che il tenore delle
conversazioni intercettate, consentiva di evidenziare anche il rapporto di
parentela, indubbiamente significativo, ma non certo determinante, senza
necessità dell’anagrafico; secondo il ricorrente lascerebbe “sgomenti”
l’affermazione illogica della Corte secondo cui tutti coloro che hanno affari
comuni, leciti od illeciti, debbano essere necessariamente parenti; i giudici di
appello, poi, avrebbero omesso di considerare la presenza in atti di un certificato
del casellario giudiziale riferito ad un omonimo, circostanza, questa, dimostrativa
di come il riferimento al “Beni” non potesse essere considerato individualizzante;
la motivazione della Corte territoriale sul punto, fondata sulla coincidenza dei
dati evidenziatisi con le esatte generalità risultanti dallo SDI, e dalla sua
compiuta identificazione in occasione di due controlli avvenuti nell’agosto ottobre 2005, non sarebbe logica, non essendo agevole comprendere come
possa logicamente e correttamente mettersi in correlazione un’identificazione
9

affermare nella succitata parte motiva della sentenza esattamente il contrario di

-

effettuata quasi due anni prima con un’unica intercettazione telefonica del
febbraio 2005, solo perché i nomignoli utilizzati nell’intercettazione possono
corrispondere a quelli dei controllati “Arben” e “Bledar”.

5.1.2. Quanto al DODA3 AGOSTIN, la censura investe l’impugnata sentenza per
aver i giudici di appello individuato il ricorrente in assenza di elementi certi di
identificazione; anzitutto, si censura la parte della decisione in cui si afferma che
non vi fosse stata contestazione circa il rigore metodologico seguito dagli
inquirenti nell’identificazione anagrafica e fisica degli imputati, avendo in ciò i
giudici di appello travisato il senso dei motivi di appello fino ad affermare nella
succitata parte motiva della sentenza esattamente il contrario di quanto chiesto
nei motivi, in violazione del principio devolutivo; in secondo luogo, altro profilo di
censura investe la motivazione, laddove nel confutare il motivo di appello per cui
la circostanza che “Beni” fosse fratello di “Gusti” costituiva una mera
presunzione, non supportata da certificato anagrafico storico, aveva risposto
affermando che il tenore delle conversazioni intercettate, consentiva di
evidenziare anche il rapporto di parentela, indubbiamente significativo, ma non
certo determinante, senza necessità dell’anagrafico; ancora, la sentenza sarebbe
mancante di motivazione sulla censura relativa all’assenza di una possibile
perizia fonica, tanto più necessaria a fronte delle stranezze emerse dai
brogliacci, in quanto nelle conversazioni intercettate in data 17/06/2006 gli
inquirenti non avevano riconosciuto il “Gusti” nell’interlocutore, definendolo come
“utente”, soprattutto laddove si consideri che gli stessi operanti il giorno
precedente lo avevano invece identificato; sul punto, la motivazione sarebbe
censurabile in quanto, con un vero e proprio “atto di fede” giunge ad affermare
che l’utente cui si riferiscono i verbalizzanti fosse il “Gusti” in quanto l’utenza era
sicuramente in uso al ricorrente, circostanza però non provata; in terzo luogo,
poi, vi è un ulteriore profilo di censura circa l’affermazione della Corte territoriale
che valorizza il dato del riconoscimento vocale in occasione dell’ascolto in tempo
reale dì conversazioni intercettate per lungo tempo, associate al frequente
utilizzo nel corso dei colloqui di termini ripetutamente individualizzanti, talvolta
confermato dall’esito di servizi di o.c.p., considerati come elementi di
inequivocabile valenza dimostrativa; secondo il ricorrente, infatti, proprio il
mancato riconoscimento della voce del “Gusti” il 17/06/2007 avrebbe dovuto far
concludere i giudici della Corte d’appello in ordine all’incertezza
dell’identificazione del ricorrente, soprattutto alla luce del fatto che il giorno
precedente la voce era stata invece riconosciuta nonché tenuto conto del fatto
che del medesimo non era stato possibile ascoltarne la voce in quanto non era

10

stato controllato o fermato durante le indagini, non potendo ritenersi idoneo
l’unico controllo effettuato sul suo conto due anni prima delle indagini, peraltro
da parte dei carabinieri e non da parte della Guardia di Finanza, in assenza
peraltro di attività di o.c.p. e considerato che il nomignolo “Gusti” cui è stata
attribuita portata individualizzante, in realtà è di uso comune in Albania e,
quindi, inidoneo ad identificarlo; totale sarebbe poi il travisamento dei motivi di

censurare la mancanza di tale perizia tra quanto percepito a voce dagli operanti
e le registrazioni delle intercettazioni telefoniche, per il sol fatto che il controllo
era stato effettuato da personale di PG diverso da quello che stava procedendo
all’ascolto; infine, ultimo profilo di censura motivazionale, riguarda
un’affermazione, contrastante con le risultanze probatorie, secondo la quale su
quella stessa utenza sarebbero state intercettate numerose conversazioni che,
facendo esplicito riferimento ad un controllo subito da “Gusti” e “Bardhi” a
Carrara, ne consentivano la certa identificazione in quanto, nel corso del
controllo del giugno 2007, il ricorrente era stato compiutamente identificato;
tuttavia, si osserva in ricorso, il soggetto identificato nel “Gostini Fathbard” in
occasione del controllo era nato in Albania il 1/04/1981 mentre il “Gostini
Fathbard” cliente locale del gruppo era nato invece in Albania il 1/01/1984, a
comprova, si osserva, dell’illogicità e contraddittorietà rispetto agli elementi
risultanti dagli atti rispetto alla corretta identificazione del ricorrente.

5.1.3. Quanto al DODAJ EDMOND, la censura investe l’impugnata sentenza per
aver i giudici di appello individuato il ricorrente in assenza di elementi certi di
identificazione; anzitutto, si censura la parte della decisione in cui si afferma che
non vi fosse stata contestazione circa il rigore metodologico seguito dagli
inquirenti nell’identificazione anagrafica e fisica degli imputati, avendo in ciò i
giudici di appello travisato il senso dei motivi di appello fino ad affermare nella
succitata parte motiva della sentenza esattamente il contrario di quanto chiesto
nei motivi, in violazione del principio devolutivo; in secondo luogo, altro profilo di
censura investe la motivazione, laddove nel confutare il motivo di appello per cui
la circostanza che “Edi” fosse parente di “Gusti” costituiva una mera
presunzione, non supportata da certificato anagrafico storico, aveva risposto
affermando che il tenore delle conversazioni intercettate, consentiva di
evidenziare anche il rapporto di parentela, indubbiamente significativo, ma non
certo determinante, senza necessità dell’anagrafico (essendo peraltro
censurabile il riferimento ad una “non agevole acquisizione” dello stesso); altro
profilo di censura investe la motivazione dell’impugnata sentenza, ritenuta
11

appello sulla necessità della perizia fonica, in quanto nessuno avrebbe potuto

illogica, circa la riferibili al ricorrente delle conversazioni poste alla base della sua
identificazione in quanto effettuate da utenza pacificamente in uso ad altro
soggetto (tali Beleshi Elson); la Corte territoriale avrebbe ritenuto suggestive le
osservazioni difensive sul punto, censurando l’affermazione della Corte
territoriale che valorizza il dato del riconoscimento vocale in occasione
dell’ascolto in tempo reale di conversazioni intercettate per lungo tempo,

individualizzanti, talvolta confermato dall’esito di servizi di o.c.p., considerati
come elementi di inequivocabile valenza dimostrativa; dette affermazioni
sarebbero illogiche tenuto conto del fatto che del medesimo non era stato
possibile ascoltarne la voce in quanto non era stato controllato o fermato
durante le indagini, non potendo ritenersi idonei i controlli effettuati sul suo
conto due anni prima delle indagini, peraltro da parte dei carabinieri e della
Polizia stradale e non da parte della Guardia di Finanza, in assenza peraltro di
attività di o.c.p. e considerato che il nomignolo “Edi” cui è stata attribuita portata
individualizzante, in realtà è di uso comune in Albania e, quindi, inidoneo ad
identificarlo; ancora, la sentenza sarebbe mancante di motivazione sulla censura
relativa all’assenza di una possibile perizia fonica; sul punto, vi sarebbe il
travisamento dei motivi di appello sulla necessità della perizia fonica, in quanto
nessuno avrebbe potuto censurare la mancanza di tale perizia tra quanto
percepito a voce dagli operanti e le registrazioni delle intercettazioni telefoniche,
per il sol fatto che il controllo era stato effettuato da personale di PG diverso da
quello che stava procedendo all’ascolto; ancora, altro profilo di censura
motivazionale viene svolto con riferimento all’indicazione, contenuta in sentenza,
degli elementi che ne avevano consentito l’identificazione, in particolare
richiamando i giudici di appello la circostanza di essere stato il ricorrente
controllato insieme a Beleshi Bledar in due diverse occasioni ed in due diverse
località (8/3/2008, da personale Polstrada di Firenze; 11/6/2008, dai carabinieri
di Sesto San Giovanni), laddove, in tal ultima occasione, questi si trovava in
compagnia di persona diversa dal Beleshi, così smentendosi quanto affermato in
sentenza; ancora, altra censura era relativa alla circostanza, valorizzata in
sentenza secondo cui il ricorrente avrebbe preso un aereo da Milano Malpensa
diretto ad Atene, la difesa contestava la correlazione tra tale evento ed alcune
telefonate intercettate tutte su numeri non in uso al ricorrente; la Corte
d’appello, su tale punto, avrebbe argomentato in modo incongruo, atteso che la
circostanza che il soggetto intercettato (asseritamente “Edi”), riferisca di essere
giunto a Milano il 20 agosto, non troverebbe alcuna correlazione se non per mere
suggestioni ed attraverso un

iter motivazionale illogico, con la successiva
12

associate al frequente utilizzo nel corso dei colloqui di termini ripetutamente

partenza di Dodaj Ednnond da Milano Malpensa; infine, ultimo profilo di censura
era relativo ai trasferimenti di denaro Western Union dall’utenza del Belushi
Bledar, non essendo comprensibile il ragionamento della Corte territoriale
secondo cui tale circostanza provava l’identificazione dell’imputato, atteso che,
secondo il ricorrente, ciò poteva tutt’al più provare la conoscenza tra il Belushi e
il Dodaj ma non certo la riferibilità delle intercettazioni di “[di” all’attuale

5.2. Deducono i ricorrenti, con il secondo motivo comune a tutti e tre, il vizio di
cui all’art. 606, lett. e), Cod. Proc. Pen.,

sub specie per la mancanza e/o

contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione con riferimento al
reato associativo e ai reati – fine.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per aver i giudici di appello
disatteso la tesi difensiva secondo cui i fatti ascritti ai ricorrenti come integranti
gli estremi del delitto associativo, dovevano essere ricondotti al concorso di
persona, attesa la mancanza di stabilità e durata nel tempo della presunta
associazione; alle censure difensive (secondo cui, da un lato, i fatti riguardanti i
reati – fine si erano svolti nel limitato arco temporale dal febbraio 2007 al
maggio 2008, e, dall’altro, l’intero arco temporale di commissione degli illeciti
poteva essere suddiviso in due fasi, la prima dal febbraio al novembre 2007
caratterizzata da due soli episodi di importazione e, la seconda, dal gennaio al
maggio 2008, contraddistinta unicamente da episodi di detenzione, trasporto e
cessione di droga, apprendo quindi anomala sotto il profilo associativo
un’organizzazione strutturata in modo tale da prevedere approvvigionamenti
prima e cessioni dopo, in un brevissimo arco temporale, per poi sciogliersi, dal
momento che i Dodaj erano rientrati in patria),

i giudici di appello avrebbero

risposto con motivazione censurabile, in quanto ciò che la difesa voleva
evidenziare nei motivi di appello era che la suddivisione dei fatti in due grandi
fasi mal si concilierebbe con la giurisprudenza di questa Corte, donde la Corte
territoriale avrebbe concluso per la sussistenza dell’associazione senza realmente
motivare in ordine alla durata ed alla stabilità e senza rappresentare l’iter logico
– giuridico che ha portato a disattendere le censure difensive.

5.2.1. Quanto, in particolare, alla posizione dei singoli ricorrenti, la difesa nel
secondo motivo di ricorso, osservava – con riferimento anzitutto alla posizione
del DODA3 ARBEN – che la responsabilità per i reati – fine, al di là
dell’interpretazione delle conversazioni intercettate, non poteva certo ritenersi

13

ricorrente.

sussistere solo perché il correo Agostin non avesse contestato la propria
personale, e non concorsuale, responsabilità per quei determinati fatti.
Quanto alla posizione del DODA3 AGOSTIN, osservava che la motivazione
risultava contraddittoria e/o illogica sul punto della affermazione della
responsabilità per i fati di cui al capo 11), rispetto ad altri atti processuali,
segnatamente rispetto alla telefonata 12/08/2007 tra l’Edmond Dodaj e l’Arben

l’interpretazione del contenuto, anche in considerazione del fatto che il presunto
riferimento all’Agostin, l’unico in tutto il capo di imputazione, sarebbe discutibile.
Infine, con riferimento alla posizione di DODAJ EDMOND circa i reati – fine, al di
là dell’interpretazione delle conversazioni intercettate, non poteva certo ritenersi
sussistere solo perché il correo Agostin non avesse contestato la propria
personale, e non concorsuale, responsabilità per quei determinati fatti.

5.3. Deducono i ricorrenti, con il terzo ed ultimo motivo comune a tutti e tre, il
vizio di cui all’art. 606, lett. e), Cod. Proc. Pen., sub specie per la mancanza e/o
manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla determinazione e
computo della pena per i reati in continuazione nonchè, limitatamente alla
posizione del Dodaj ARBEN, il vizio di mancanza e/o contraddittorietà della
motivazione in ordine alla contestata recidiva.
In sintesi, la censura investe l’impugnata sentenza per non aver i giudici di
appello motivato circa la determinazione della pena per i reati in continuazione;
pur non costituendo vizio di nullità della sentenza, ritiene la difesa dei ricorrenti
che tale omissione configura una mancanza di motivazione in ordine alla
determinazione della pena, soprattutto ove si pensi alla fase esecutiva della
pena, e all’eventualità, tutt’altro che remota, dell’intervento in fase esecutiva di
cause estintive del reato o della pena; in particolare, si osserva nei ricorsi, i
giudici d’appello, motivando per relationem,

avrebbero assimilato le singole

posizioni dei Dodaj condannabili alla stessa pena (15 anni) senza tener conto che
il numero dei reati addebitati in continuazione è, per ciascuno dei ricorrenti,
diverso rispetto a quelli ascritti agli altri due Dodaj; da qui, dunque l’esigenza di
quantificare le pene per i singoli reati – fine nonché l’illogicità dell’operato della
Corte sul punto.
Infine, quanto al Dodaj ARBEN, si osserva in ricorso che a quest’ultimo era stata
contestata la recidiva specifica, sulla scorta di un certificato del casellario,
precedente tuttavia relativo ad un omonimo (n. 5/09/1969); detta censura
sarebbe stata totalmente ignorata dai giudici di merito, i quali avrebbero
confermato la sentenza di primo grado senza motivare sul punto.
14

Dodaj, il cui tenore sarebbe totalmente diverso, rendendo quindi opinabile

CONSIDERATO IN DIRITTO

6. I ricorsi sono infondati e meritano il rigetto.

7. Per ragioni connesse all’identità dei profili di doglianza mossi, possono essere
esaminati prioritariamente i ricorsi proposti da DODA3 ARBEN, AGOSTIN ed
EDMOND, i quali propongono tre distinti motivi con cui vengono svolte identiche

7.1. Gli stessi si appalesano, prima facie, inammissibili per genericità, atteso che
i ricorsi propongono vizi della motivazione del provvedimento attraverso la
tecnica del motivo alternativo (mancanza e/o contraddittorietà e/o manifesta
illogicità della motivazione). E’ pacifico, infatti, nella giurisprudenza di questa
Corte che è inammissibile, per difetto di specificità, il ricorso presentato
prospettando vizi di motivazione del provvedimento impugnato, i cui motivi siano
enunciati in forma perplessa o alternativa (v., tra le tante: Sez. 6, n. 32227 del
16/07/2010 – dep. 23/08/2010, T., Rv. 248037, relativo a fattispecie, identica a
quella qui esaminata, in cui il ricorrente aveva lamentato la

“mancanza e/o

insufficienza e/o illogicità della motivazione” in ordine alla sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari posti a fondamento di
un’ordinanza applicativa di misura cautelare personale).

7.2. In ogni caso, osserva il Collegio, gli stessi sono infondati.
Quanto anzitutto, al primo motivo, comune a tutti e tre i ricorrenti, con cui
vengono svolte censure per preteso vizio motivazionale circa la mancanza di
prova in ordine alla loro certa identificazione quali interlocutori delle
conversazioni intercettate, è sufficiente, al fine di evidenziarne l’infondatezza,
richiamare quanto argomentato dalla Corte territoriale alle pagg. 24/27
dell’impugnata sentenza. I giudici territoriali, in particolare, motivano
puntualmente circa le ragioni dell’ascrivibilità ai ricorrenti delle conversazioni
oggetto di intercettazioni, prendendosi carico altrettanto puntualmente dell’onere
di confutare le argomentazioni difensive di censure (irrilevanza dell’utilizzo di
utenze non ad essi intestate o utilizzo di apparecchi telefonici cellulari intestati
ad altri soggetti o utilizzo di cabine pubbliche per le comunicazioni, trattandosi di
condotte compatibili con le cautele proprie di una gestione organizzata di attività
delinquenziali, così da essere sintomatiche della condivisa conoscenza ed
adozione di collaudati meccanismi di contatto, oltre che di linguaggio, tipici di un
operare illecito); i giudici, poi, indicano gli elementi oggettivi che hanno
15

censure alla sentenza di appello.

consentito l’identificazione dei ricorrenti nelle persone degli interlocutori della
conversazioni (esito di attività di verifica con riferimento alle celle di volta in
volta agganciate; riconoscimento vocale in occasione dell’ascolto in tempo reale
di conversazioni intercettate per lungo tempo; frequente utilizzo nel corso dei
colloqui intercettati di termini ripetutamente individualizzanti; esito in taluni casi
dei servizio di osservazione, controllo e pedinamento della PG; consequenzialità

parentela tra i tre ricorrenti evidenziato dalle conversazioni intercettate, che
escludeva la necessità di un riscontro mediante acquisizione di un certificato
anagrafico storico di non agevole acquisizione), elementi che appaiono alla Corte
di inequivocabile valenza dimostrativa, anche alla luce del rigore metodologico
seguito dalla PG per procedere all’identificazione anagrafica e fisica dei ricorrenti.
Quanto, in particolare, alla posizione dei singoli ricorrenti, si osserva in sentenza
quanto segue.
Con riferimento alla posizione AGOSTIN, la prova della riferibilità dell’utilizzo da
parte di questi dell’utenza 320/7518941 nonché del fatto di essere
soprannominato GUSTI, conseguiva alla ricezione su tale utenza di un sms con
cui il 28/05/2007, l’acquirente Kastriot informava il destinatario indicandolo
appunto come “Gusti” di aver preso un mattone da fare e di poterlo liquidare
completamente entro il 15/06; vengono poi evidenziate numerose altre
conversazioni di analogo tenore confermative dell’identità del ricorrente (in
particolare, a pag. 25 della sentenza impugnata vengono richiamate due
conversazioni del 31/08/2007 nonché ulteriori conversazioni che fanno
riferimento ad un controllo subito da Gusti e Bardhi a Carrara, seguite da un
controllo prima nel maggio 2007 insieme al corriere Ivanaj Pasko e ad un altro
controllo nel giugno 2007 in cui il ricorrente veniva compiutamente identificato);
la stessa Corte d’appello, poi, qualifica come irrilevanti due censure difensive
sollevate sulla questione (da un lato, l’irrilevanza del fatto che Dodaj si trovasse
in Olanda e disponesse di una diversa utenza cellulare, stante le già evidenziate
modalità di utilizzo degli strumenti di reciproco contatto; dall’altro, l’irrilevanza
della generica identificazione dell’utente della conversazione 17/06/2007,
valorizzata, anche in ricorso, dalla difesa, in quanto la Corte territoriale evidenzia
che fino al giorno precedente l’utenza intercettata era sicuramente in uso al
Dodaj Agostin, e che fino al giorno precedente vi erano transitati i contatti, di cui
anche questi era protagonista, relativi alla cessione al Kastriot ed ai problemi
connessi al pagamento dell’avvenuta fornitura).
Quanto, poi, alla posizione ARBEN, evidenziano i giudici di appello come non vi
fossero dubbi sul fatto che l’utilizzatore dell’utenza n. 683019966 fosse proprio il
16

temporale e logica del tenore della conversazioni; esistenza di un rapporto di

ricorrente e che il soprannome del medesimo fosse “Beni”, in quanto provato da
una conversazione intercettata il 20/05/2007, in cui Agostin, contattato da
Kastriot, che gli preannunciava il suo prossimo arrivo, lo invitava ad accordarsi
con Beni su quel recapito telefonico olandese che gli dettava (seguono, poi,
ulteriori elementi rafforzativi della certa identificazione del ricorrente:
conversazione 1/07/2007 in cui emerge il collegamento tra i fratelli Beni e Gusti,

della telefonata fosse persona diversa, in quanto coincidenza poco verosimile
trovando conferma il rapporto di parentela logica conferma nella verificata
sistematicità di contatti telefonici e di affari comuni tra loro; ancora, i giudici di
appello confutano le censure difensive sulla questione della possibile omonimia,
sostenuta sulla base di un verosimile alias, attesa l’accertata coincidenza dei dati
evidenziatisi con le esatte generalità del ricorrente risultanti dalla banca dati
SDI, e come anche desumibile dall’identificazione personale eseguita in
occasione di due controlli nei mesi di agosto ed ottobre 2005); analogamente, si
osserva in sentenza, non vi sono dubbi sulla riferibilità al medesimo ricorrente
dell’utenza n. 693363443, poiché l’interlocutore intercettato su tale utenza è
sempre soprannominato “Beni” (si evidenzia, in sentenza, il dato significativo
costituito dalla conversazione 14/07/2007; v. anche quanto sottolineato a
proposito dell’identificazione nell’agosto/ottobre 2005 unitamente al Bledi,
fratello di Elson, ed appartenente allo stesso gruppo criminale: v. pag. 26);
infine, si osserva in sentenza, il fatto che i controlli risalissero a tempo prima,
circostanza dedotta dalla difesa anche in ricorso quale elemento di criticità, viene
superato dalla sentenza d’appello con il rilievo secondo cui questo appare dato
sintomatico dell’esistenza di consolidati e costanti rapporti tra i due , a nulla
rilevando la circostanza che il ricorrente si recasse temporaneamente in Albania,
suo paese di origine, dove non era certo stanziale.
Quanto, infine, alla posizione EDMOND, che si trattasse proprio del ricorrente
nelle conversazioni intercettate è confermato, secondo i giudici di appello, dal
fatto che è lo stesso interlocutore in una conversazione dell’agosto 2007 a
qualificarsi come “Edi”, sicchè, a fronte dell’uso non infrequente di utenze nella
disponibilità di altre persone nella gestione comune di rapporti ed interessi,
ritengono i giudici di appello del tutto suggestive le osservazioni difensive sul
punto; i giudici di appello, sempre con riferimento alla posizione del medesimo
ricorrente, richiamano poi ulteriori elementi a sostegno del’identificazione del
ricorrente (rapporto di parentela con Agostin, emergente dalla conversazione
31/08/2007; viaggio ad Atene del ricorrente avvenuto il 23/08/2007 dopo che si
era conclusa positivamente l’importazione dall’Olanda del quantitativo di
17

confutando i giudici di appello la tesi difensiva secondo cui il Beni interlocutore

stupefacente trasportato a Milano da Ivanaj; controllo ed identificazione del
Dodaj unitamente al Beleshi Bledar in due diverse occasioni ed in due diverse
località tra il marzo ed il giugno 2008, a conferma del collegamento esistente;
conversazione intercettata nel corso della quale, proprio l’Edmond, utilizzando
l’utenza del Bledar, specificando il proprio nome come mittente, inviava due
codici di trasferimento di somme tramite Western Union, in ambedue i casi

ricorrente Edmond).
Infine, quanto alla questione relativa alla riferibilità delle conversazioni a fatti di
droga, la Corte d’appello (v. pag. 27) chiarisce che l’utilizzo del linguaggio
criptico da parte degli interlocutori non metteva in dubbio il fatto che le
conversazioni avessero ad oggetto proprio questioni relative a stupefacenti,
atteso l’uso di un linguaggio sostanzialmente ripetitivo ed immediatamente
compreso da parte dell’interlocutore, comprensione giustificabile solo nella
comune allusione a circostanze note e condivise, inevitabilmente riferibile proprio
per il ricorso ad espressioni ermetiche ed in assenza di plausibili interpretazioni
alternative, alla comune e consapevole gestione dell’attività illecita; del resto, si
osserva, che si trattasse di stupefacenti, è anche oggettivamente confermato sia
dai numerosi sequestri di significativi e talvolta ingenti quantitativi di cocaina,
conseguenti proprio all’ascolto delle conversazioni intercettate, sia
dall’inequivoco tenore di alcune telefonate (v., ad es., la conversazione
28/04/2007, in cui Arben Dodaj ed il corriere Nemec, arrestato in possesso i
oltre 5 kg. di cocaina quel giorno, parlano tra loro rivolgendosi il seguente
scambio di battute: “è una buona ragazza?”, “è molto buona”; ed è logico che la
natura criptica e metaforica della conversazione, acquisti per la Corte d’appello
un in equivoco significato tale da escludere interpretazioni alternative).

7.3. Orbene, osserva il Collegio come, a fronte di tale completo e coerente
percorso logico – argonnentativo, le deduzioni difensive dei ricorrenti di cui al
primo motivo sono prive di pregio.
Deve rilevarsi anzitutto, come le doglianze difensive svolte nel primo motivo,
poiché censurano la sentenza impugnata sotto il profilo della mancanza,
contraddittorietà ed illogicità della motivazione, involgendo la valutazione dei
fatti operata dalla Corte d’appello costituiscono, all’evidenza, dei tentativi di
rilettura logica delle argomentazioni utilizzate dalla Corte territoriale per
confutare le deduzioni difensive, tentativi destinati al fallimento in sede dì
legittimità.

18

accertandosi che le generalità del mittente corrispondevano a quelle del

Si ribadisce, infatti, e non potrebbe essere altrimenti, che l’indagine di legittimità
sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa
volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è

acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello
di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il
ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (per tutte., v.:
Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997 – dep. 02/07/1997, Dessinnone e altri, Rv.
207944). Inoltre, l’illogicità della motivazione, come vizio denunciabile, deve
essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi”,
dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di
macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e
considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente
confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purché
siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (v., per
tutte: Sez. U, n. 24 del 24/11/1999 – dep. 16/12/1999, Spina, Rv. 214794; Sez.
U, n. 47289 del 24/09/2003 – dep. 10/12/2003, Petrella, Rv. 226074).
A ciò si aggiunge, infine, che gli accertamenti (giudizio ricostruttivo dei fatti) e
gli apprezzamenti (giudizio valutativo dei fatti) cui il giudice del merito sia
pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione
esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non
possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della
motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente; ne consegue che tra
le doglianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606, lett. e), cod.
proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se
implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni
ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze
peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione
(tra le tante: Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 – dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv.
182961).
Controllo, in questa sede, agevolmente superato dalla sentenza impugnata.
Evidente, in particolare, è la manifestazione del dissenso rispetto all’operazione
valutativa che ha portato gli operanti prima ed i giudici di merito poi
19

avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle

all’identificazione dei ricorrenti. In ciò, tuttavia, i ricorrenti dimenticano che ai
fini dell’identificazione degli interlocutori coinvolti in conversazioni intercettate, il
giudice ben può utilizzare le dichiarazioni degli ufficiali e agenti di polizia
giudiziaria che abbiano asserito di aver riconosciuto le voci di taluni imputati,
così come qualsiasi altra circostanza o elemento che suffraghi detto
riconoscimento, incombendo sulla parte che lo contesti l’onere di allegare

03/10/2013 – dep. 20/03/2014, Amato e altri, Rv. 259478).
Allegazioni, nella specie, mancanti o che difettano di serietà probatoria.
Del resto, si osserva, gli elementi addotti dai ricorrenti non rivestono quella
valenza assoluta, tale da disarticolare l’impianto ricostruttivo della sentenza di
primo grado, e di appello; peraltro, in merito alla questione della perizia fonica,
vale quanto già affermato da questa Corte, nel senso che, una volta chiesto, ed
ottenuto, che si proceda col rito abbreviato, l’imputato non ha diritto
all’assunzione di nuovi mezzi di prova relativi alla ricostruzione storica del fatto
ed alla propria partecipazione ad esso, ostandovi il chiaro disposto dell’art. 442
cod. proc. pen.. È solo concesso al giudice ordinare accertamenti sulla capacità
di intendere e volere dell’imputato se nel corso del giudizio abbreviato emergono
legittimi dubbi sulla di lui imputabilità (v., tra le tante: Sez. 6, n. 7982 del
25/05/1993 – dep. 24/08/1993, Clerici, Rv. 194906). A ciò si aggiunga, poi, che
è assente nell’ordinamento un obbligo per il giudice di disporla, atteso che in
tema di intercettazioni telefoniche, qualora sia contestata l’identificazione delle
persone colloquianti, il giudice non deve necessariamente disporre una perizia
fonica, ma può utilizzare ai fini della decisione le dichiarazioni dagli ufficiali e
agenti di polizia giudiziaria che hanno riferito sul riconoscimento delle voci di
taluni imputati (Sez. 6, n. 18453 del 28/02/2012 – dep. 15/05/2012, Cataldo e
altri, Rv. 252712), ben potendo il giudice trarre il suo convincimento da altri
elementi che consentano di risalire all’identità degli interlocutori (Sez. 4, n.
16432 del 22/02/2008 – dep. 22/04/2008, Masalmeh e altri, Rv. 239523) e
considerato, infine, che ai fini della utilizzabilità delle intercettazioni di
conversazioni o comunicazioni, non è necessaria la preventiva identificazione
anagrafica degli interlocutori, quando dal soprannome o appellativo usato sia
possibile risalire ad una certa e determinata persona fisica, richiedendosi
semplicemente un’attenta valutazione del contenuto e del tenore della
comunicazione verbale intercorsa fra i soggetti intercettati, sulla base del
complessivo quadro probatorio emerso in relazione alla persona inizialmente
identificata con il solo soprannome (v., ex rnultis: Sez. 6, n. 14556 del
25/03/2011 – dep. 12/04/2011, Belluso e altri, Rv. 249730).
20

oggettivi elementi sintomatici di segno contrario (Sez. 6, n. 13085 del

Difetta, in ogni caso e, conclusivamente, la prova della decisivi della perizia
fonica richiesta, atteso che, come affermato anche autorevolmente dalle Sezioni
Unite di questa Corte, è onere della parte che eccepisce l’inutilizzabilità di atti
processuali indicare, pena l’inammissibilità del ricorso per genericità del motivo,
gli atti specificamente affetti dal vizio e chiarirne altresì la incidenza sul
complessivo compendio indiziario già valutato, sì da potersene inferire la

23/04/2009 – dep. 10/06/2009, Fruci, Rv. 243416).

8. Può quindi procedersi all’esame del secondo motivo di ricorso, con cui i
ricorrenti svolgono censure di vizio motivazionale con riferimento alla sussistenza
del delitto associativo, ed alla configurabilità dei reati fine.
Anche tale motivo è infondato.
La Corte d’appello, circa la sussistenza del delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309
del 1990, svolgono ampia e congrua motivazione alle pagg. 27/31
dell’impugnata sentenza. In particolare, ed in estrema sintesi, nel confutare le
argomentazioni difensive dei ricorrenti che sostanzialmente sostenevano
l’esaurirsi della pur comune attività illecita in meri fatti concorsuali, svolgevano
alcune considerazioni, del tutto coerenti con le emergenze processuali ed
assolutamente immuni da vizi logici, così sintetizzabili: a) non costituisce
connotazione necessaria l’assoluta stabilità del vincolo o l’immutabilità della
compagine, essendo sufficiente che l’accordo tra i partecipi, in permanenza della
loro pluralità, non sia circoscritto a priori alla consumazione di uno o più reati
predeterminati, e che l’attività associativa si sia svolta anche per breve periodo
(non necessariamente, dunque, il vincolo associativo e la consapevolezza di far
parte di un sodalizio dev’essere indeterminato nel tempo, purché permanga al di
là degli accordi particolari relativi all’eventuale realizzazione dei singoli episodi
criminosi); b) il patto associativo, nel delitto di cui all’art. 74, d.P.R. n. 309 del
1990, non deve necessariamente consistere in un preventivo accordo formale,
ma può anche costituirsi di fatto ed altresì con successive adesioni (così
confutandosi quanto argomentate alla difesa del Dodaj Ednnond), tra soggetti
consapevoli che le proprie od altrui attività ricevono vicendevole ausilio, e che
tutte insieme contribuiscono all’attuazione del comune scopo); c) la prova di
detto reato associativo può desumersi anche dalle modalità esecutive dei reati scopo, dalla loro ripetizione, dei contatti tra gli autori, dall’uniformità delle
condotte, specie se protratte per un tempo apprezzabile, in quanto elementi
idonei a dimostrare la riconoscibilità degli illeciti non ad accordi criminosi
occasionali, ma ad uno stabile accordo sociale (e, sul punto, osservano i giudici

21

decisività in riferimento al provvedimento impugnato (Sez. U, n. 23868 del

territoriali, i tre ricorrenti non contestavano la propria responsabilità in ordine ai
plurimi fatti di gestione dello stupefacente loro singolarmente contestati, così
destituendosi di fondamento anche le censure di cui al presente ricorso, relative
alla configurabilità, appunto incontestata, dei reati-scopo); d) ancora,
aggiungono i giudici di appello, quanto all’affectio societatis, la volontà di far
parte di un gruppo ben può manifestarsi anche solo con atti concludenti e tipici,

un’associazione che esplica un qualsiasi attività, anche di secondaria importanza
e anche se in una fase limitata (in ciò facendo coerente applicazione dei principi
affermati da questa Corte con la sentenza della Sez. 1, n. 29959 del 05/06/2013
– dep. 12/07/2013, Annaradio e altri, Rv. 256200).
I giudici di appello, inoltre, si prendono puntualmente carico dì confutare i singoli
rilievi difensivi, in blocco riproposti senza apprezzabili elementi di novità anche in
sede di ricorso per cassazione, cui pertanto può rinviarsi (v. pag. 29, in
particolare) indicando le ragioni per le quali ben poteva ritenersi nel caso in
esame la sussistenza del vincolo associativo (collaudate modalità operative del
gruppo, significative di idoneità programmatica e di concreta capacità
organizzativa; sistematicità ed uniformità dei comportamenti; consolidata
disponibilità di canali di rifornimento all’estero e il successivo smercio dello
stupefacente a clienti abituali; sistematici contatti tra i diversi protagonisti,
anche se diversamente allocati; lo strumentale utilizzo del domicilio in Milano di
Dodaj Agostin da parte dei partecipanti al sodalizio quale luogo per l’incontro,
nelle immediate vicinanze, con i clienti e poi quale luogo di deposito temporaneo
dello stupefacente; la capacità reattiva del gruppo a seguito di pur importanti
sequestri di stupefacente e dell’arresto dei corrieri; la disponibilità ad offrire
aiuto economico a soggetti il cui contributo era essenziale per l’operatività del
sodalizio, con particolare riferimento all’offerta del denaro da parte di Arben a
Bibaj Mariana in occasione dell’arresto del fratello; il protrarsi per un significativo
periodo di tempo delle attività illecite), tutti considerati, nella valutazione della
Corte territoriale quali elementi convergenti idonei a dimostrare, da un lato,
l’esistenza del sodalizio e, dall’altra, la riconducibilità dei singoli reati – fine non
ad occasionali ed estemporanei accordi di tipo concausali, ma ad un programma
ordinario, tipico dell’associazione. Sul punto, coerentemente e del tutto
logicamente, invero, i giudici territoriali osservano come non sia conforme a
logica né ragionevole esaurire nel semplice concorso tutte quelle attività sopra
descritte, come del resto la capacità operativa del gruppo di reagire agli
importanti sequestri di stupefacente, ad esempio, sostituendo immediatamente i
corrieri arrestati che dalle intercettazioni emerge contattassero i capi per sapere
22

che denotino l’appartenenza ad un sodalizio, e, in tale contesto, partecipa ad

se vi fosse “lavoro” per loro; ancora, del tutto irragionevole, osservano i giudici
di appello, è ipotizzare la disponibilità di trafficanti internazionali (la cocaina
proveniva, infatti, dall’Olanda) ad entrare in contatto e rifornire di stupefacente
soggetti che non fossero in grado di offrire e garantire una solida affidabilità.
Infine, elemento questo centrale delle argomentazioni difensive dei ricorrenti,
riproposto senza apprezzabili elementi di novità anche nel ricorso davanti a
questa Corte Suprema, i giudici di appello sminuiscono del tutto logicamente la

operatività del gruppo, atteso che, si legge in sentenza, nel periodo tra il
febbraio ed il novembre 2007 ben nove erano state le organizzate importazioni
di cocaina dall’Olanda, anche con cadenza mensile, ed anche ripetute nell’arco di
uno stesso mese, con conseguenti cessioni della sostanza a vari clienti, ed il
fatto che nel periodo successivo non emergessero ulteriori episodi di
importazione, ma solo episodi di abituale cessione, non costituisce certo dato
incompatibile, trattandosi di attività sempre gestite da sodali anche dall’estero,
comunque rientranti nel c.d. “oggetto sociale”. E a ciò si aggiunga, sottolineano i
giudici di appello, che nel mese di maggio 2008, il gruppo aveva disponibilità di
stupefacente, dal momento che Edmond aveva incaricato il corriere Bibaj Afrim,
di ritirare un consistente quantitativo di cocaina destinato a Bardhi e Bufi,
stupefacente che, a seguito del servizio di o.c.p. organizzati dalla PG, portava al
sequestro di quasi 600 gr. di cocaina. Richiamando, infine, la giurisprudenza di
questa Corte che sostiene come per la configurazione di un’associazione a
delinquere finalizzata al commercio di sostante stupefacenti è sufficiente la prova
dell’esistenza dì un’attività permanente ed attuativa di un programma generico
di commercio di droga (Sez. 6, n. 20708 del 28/03/2003 – dep. 09/05/2003,
Baldassarre, Rv. 225416; fattispecie relativa ad intercettazioni dalle quali si
desumeva l’esistenza di un sodalizio che aveva disponibilità di armi, che si
accollava le spese legali e di mantenimento dei familiari dei detenuti, che
organizzava numerosi viaggi per l’acquisto di stupefacenti del valore di centinaia
di milioni), i giudici di appello concludono evidenziando come no sia idonea ad
escludere singoli coinvolgimenti la questione, prospettata dalla difesa Dodaj
Arben, della presenza in Olanda piuttosto che in Albania, atteso che i contatti
erano telefonici e che, all’evidenza, sottolineano logicamente i giudici di appello,
anche con tale strumento è ben possibile ed organizzare il proficuo commercio
quando una posizione di vertice sia riconosciuta e condivisa dagli interlocutori.
Quanto, poi, alla questione dell’elemento soggettivo, i giudici di appello (v. pag.
30) chiariscono come non vi sia dubbio circa la consapevolezza dei ricorrenti di

23

valenza della censura difensiva fondata sulla limitatezza del periodo di

:

far parte, ciascuno con un proprio ruolo, di un’organizzazione ben collaudata (in
particolare, in relazione alla posizione dei tre ricorrenti in esame, viene dedicato
un intero capoverso all’analisi degli elementi da cui tale consapevolezza viene ad
essere desunta, elementi di indubbia valenza valutati del tutto logicamente dalla
Corte territoriale: a) accertati e privilegiati contatti, connotati da diverse cautele,

complessiva gestione delle diverse fasi in cui si sviluppavano le singole
importazioni e le successive cessioni agli acquirenti abituali, occupandosi anche
delle questioni logistiche ed anche delle eventuali problematiche relative ai
pagamenti o connesse ad impreviste necessità contingenti; c) capillarità del loro
determinante inserirsi negli affari e nelle finalità del gruppo, ciascuno con totale
autonomia decisionale; d) provato coinvolgimento dei ricorrenti in più fatti di
importazione di droga. Tali elementi, dunque, secondo i giudici di appello,
consentivano di ritenere indubbio che tale sistematicità di un agire consapevole,
in quanto significativa della volontà di dirigere e gestire l’attività illecita senza
predeterminati limiti temporali, integrasse inequivocabile manifestazione esterna
dell’esistenza di un programma delinquenziale comune e dell’appartenenza del
singolo in posizione di vertice.

8.1. Ancora una volta, dunque, a fronte di un tale congruo e logico apparato
argomentativo, le difese dei ricorrenti oppongono censure che, oltre ad essere
già state debitamente confutate dai giudici del merito, si risolvono in tentativi di
ottenere da questa Corte un terzo grado di giudizio di merito, operazione, lo si
ribadisce nuovamente, non è consentita in sede di legittimità. Sul tema della
configurabilità del reato associativo e dei reati — fine, la motivazione della
sentenza impugnata mostra di criticare analiticamente le censure difensive,
riproposte inutilmente in sede di legittimità (donde anche la loro genericità,
atteso che è pacifico che l’impugnazione è inammissibile per genericità dei motivi
se manca ogni indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto di impugnazione, che
non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato, senza cadere nel
vizio di aspecificità: v., tra le tante: Sez. 4, n. 34270 del 03/07/2007 – dep.

24

con fornitori, in particolare l’Agostin, sodali tra loro; b) il loro attivarsi nella

10/09/2007, Scicchitano, Rv. 236945), con argomentazioni adeguata, congrua e
priva di salti logici, sicchè, come detto, le censure difensive si prospettano anche
manifestamente infondate, in quanto si risolvono in manifestazioni di dissenso,
puramente contestative, rispetto ai risultati della ricostruzione dei fatti e alla
valutazione del compendio probatorio operata dalla Corte d’appello. Ancora una

proc. pen., è valutabile in Cassazione solo se consista in una mancanza o in una
manifesta illogicità della motivazione stessa, purché il vizio risulti dal testo del
provvedimento impugnato, il che significa che deve “mancare” del tutto la presa
in considerazione del punto sottoposto all’analisi del giudice e che non può
costituire vizio, comportante controllo di legittimità, la mera prospettazione di
una diversa, e per il ricorrente più favorevole, valutazione delle risultanze
processuali. Esula dai poteri della Cassazione quello di una “rilettura” degli
elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via
esclusiva, riservata al giudice del merito, potendo e dovendo invece la Corte
accertare se quest’ultimo abbia dato adeguatamente conto, attraverso l’iter
argonnentativo seguito, delle ragioni che lo hanno condotto ad emettere la
decisione (v., tra le tante: Sez. 3, n. 1709 del 28/07/1993 – dep. 13/08/1993,
Settineri, Rv. 194649).

9. Deve, infine, essere esaminato il terzo motivo, anch’esso comune a tutti e tre
i ricorrenti, con cui vengono svolte censure motivazionali quanto alla mancata
distinzione degli aumenti a titolo di continuazione, cui si aggiunge la censura di
illogica motivazione quanto all’irrogazione di un’unica pena (anni 15 di
reclusione) a tutti i ricorrenti, nonostante la differente posizione processuale dei
singoli ricorrenti, oltre ad una censura motivazionale quanto alla posizione
ARBEN per aver i giudici di merito applicato l’aumento per la recidiva, pur in
difetto di certezza dell’identità.
La Corte d’appello, sulle singole questioni, anzitutto, da puntualmente atto che
solo per la posizione del ricorrente EDMOND Dodaj era stata sollevata la
questione del trattamento sanzíonatorio in relazione al diverso numero di reatifine al medesimo ascritti, tenuto conto dell’incensuratezza e del ruolo dal

25

volta, va ribadito che il difetto di motivazione, a norma dell’art. 606 lett. E) cod.

medesimo rivestito; la Corte d’appello, sul punto, esclude (v. pag. 30) che
Edmond abbia avuto un ruolo marginale nella vicenda, evidenziandone invece il
ruolo di “vertice” all’interno del sodalizio (in particolare, ricordando come fosse
stato proprio Edmond nell’agosto 2007 ad informare Arben in Albania di aver

poi dell’organizzazione del viaggio del corriere in Olanda, o, ancora, che
nell’occasione dell’ulteriore importazione avvenuta ad agosto dello stesso anno,
lo aveva rassicurato sul fatto di aver già ultimato la raccolta del denaro
necessario o, ancora, che nel novembre 2007 veniva contattato dal corriere, poi
arrestato, per la consegna del quantitativo importato dall’Olanda; inoltre,
aggiungono i giudici di appello, se anche questi si occupava prevalentemente
della cessione di droga ai clienti abituali del sodalizio, è indubbio che tale ruolo
fosse essenziale per le finalità dell’associazione, di cui curava gli interessi sul
territorio in assenza di Agostin).

9.1. Osserva il Collegio come, sul punto, non possa ritenersi ravvisabile un
difetto di motivazione, atteso che l’attribuzione di un ruolo di vertice al ricorrente
Ednnond, giustificava la mancata attenuazione del trattamento sanzionatorio nei
suoi confronti, in quanto il rigetto dell’eccezione difensiva era evidentemente
implicito in quanto incompatibile con le argomentazioni svolte. Ed è pacifico nella
giurisprudenza di questa Corte che nella motivazione della sentenza il giudice di
merito non è tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle
parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali,
essendo invece sufficiente che, anche attraverso una valutazione globale di
quelle deduzioni e risultanze, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni che
hanno determinato il suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente
ogni fatto decisivo, nel qual caso debbono considerarsi implicitamente disattese
le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano
logicamente incompatibili con la decisione adottata (tra le tante: Sez. 5, n. 8411
del 21/05/1992 – dep. 28/07/1992, Chirico ed altri, Rv. 191488).
Quanto, poi, alle residue eccezioni motivazionali, deve, anzitutto, essere
evidenziato che non risulta fosse stata sollevata questione sul trattamento
26

avuto la conferma da Agostin della prossima disponibilità di cocaina, occupandosi

sanzionatorio in relazione alla posizione degli altri due ricorrenti, in particolare,
nella specie, quanto all’omessa distinzione dei singoli aumenti di pena per la
continuazione e sulla questione della recidiva sollevata da Arben. Ed a tal
proposito, va ricordato che non possono essere dedotte con il ricorso per
cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso
di pronunciare perchè non devolute alla sua cognizione (v., ex multis: Sez. 5, n.

Ad ogni buon conto, osserva comunque il Collegio come nessuna nullità è
ravvisabile nel caso in cui il giudice non proceda ad un’autonoma valutazione
nell’applicazione degli aumenti di pena in sede di continuazione. Questa Corte
ha, infatti, chiarito, anche di recente, che nel reato continuato non dà luogo a
nullità l’aumento di pena per i reati satelliti determinato in termini unitari e
complessivi, e non distintamente, in relazione a ciascuna delle violazioni (Sez. 2,
n. 4984 del 21/01/2015 – dep. 03/02/2015, Giannone e altri, Rv. 262290).
Quanto, ancora, alla questione della recidiva considerata per l’ARBEN, la Corte
territoriale motiva (v. pag. 26) sulla questione della possibile omonimia in
maniera logica, richiamando la conversazione 1/07/2007 intervenuta sull’utenza
in uso ad Arben, da collegarsi a quella precedentemente registrata sull’utenza in
uso a tale “Lice”, da cui emergeva che “Beni” festeggiava il proprio compleanno il
9 ottobre (data della precedente conversazione) era fratello di “Gusti”: e, per la
Corte d’appello, che quel “Beni” nato lo stesso giorno di Arben, fosse altro e
diverso soggetto, appariva, tanto più nel contesto delle complessive evidenze
probatorie, coincidenza ben poco verosimile, trovando del resto il rapporto di
parentela logica conferma nella verificata sistematicità di contatti telefonici ei d
affari comuni tra i due.
Infine, quanto alla questione dell’omogeneità delle pene inflitte ai tre ricorrenti,
in ogni caso, osserva la Corte, non può ravvisarsi la denunciata illogicità della
motivazione sol perché il numero dei reati satelliti sia diverso per i tre ricorrenti,
in quanto trattasi di determinazione discrezionale del giudice di merito, fondata
(come si desume dalla stessa lettura della motivazione, a pag. 39) sulla gravità
27

28514 del 23/04/2013 – dep. 02/07/2013, Grazioli Gauthier, Rv. 255577).

dei fatti, sulla reiterazione delle condotte, sui ruoli e sull’intensità del dolo
nell’agire illecito, tenuto conto della determinazione della pena base nel minimo
edittale, ditalchè non appare censurabile l’aumento operato e la determinazione
paritaria delle pene per i tre ricorrenti. Del resto, non deve essere dimenticato
che la più recente giurisprudenza di questa Corte ritiene che in tema di

specifica motivazione per gli aumenti di pena relativi ai reati satellite, valendo a
questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (Sez. 2, n.
4707 del 21/11/2014 – dep. 02/02/2015, Di Palma e altro, Rv. 262313).

10. Può quindi procedersi all’esame dei motivi di ricorso KURRETA, per i quali
valgono sostanzialmente le medesime considerazioni già svolte per i precedenti
tre ricorrenti quanto alla manifesta infondatezza dei relativi motivi.

10.1. Con il primo motivo, come anticipato, vengono svolte censure di violazione
di legge e vizio di motivazione, per l’uso del c.d. copia-incolla, aggiungendosi che
solo due pagine sarebbero state dedicate alla motivazione dalla Corte d’appello,
peraltro riproponendo acriticamente i contenuti dell’ordinanza custodiale, con
conseguente censura di motivazione apparente.

10.2. Il motivo è inammissibile per genericità.
Sulla questione, come anticipato dal ricorrente, i giudici territoriali motivano alle
pagg. 37/39 dell’impugnata sentenza. A fronte, tuttavia, del percorso logico —
argomentativo sviluppato dai giudici territoriali, il ricorrente si limita a proporre
non una critica argomentata sulla logicità della motivazione (piuttosto che
rilevare profili di contraddittorietà della stessa), ma svolge censure sulla
valutazione del compendio indiziario operato dalla Corte d’appello (che, sul
punto, mostra di condividere, criticamente, le argomentazioni del primo giudice).
Pacifico, quindi, è nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui è
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia
generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e

28

determinazione della pena nel reato continuato, non sussiste l’obbligo di

ritenute infondate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano
carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla
decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (tra le
tante: Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 – dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Non può quindi ritenersi che — anche per difetto di autosufficienza del motivo di
ricorso, non avendo il ricorrente nemmeno allegato il provvedimento applicativo

pagine o evidenziando i passaggi salienti della motivazione dei predetti
provvedimenti da cui potersi desumere la denunciata “pedissequa” riproposizione
degli argomenti logico — fattuali (Sez. 1, n. 25834 del 04/05/2012 – dep.
04/07/2012, P.G. in proc. Massaro, Rv. 253017), sì da potersi evincere l’uso
improprio della tecnica del c.d. copia — incolla.

10.3. Su tale questione, merita però svolgere comunque alcune considerazioni.
Ritiene, infatti, il Collegio destituito di fondamento l’assunto (apparentemente
condiviso dal ricorrente laddove lamenta la mancata esplicitazione in
motivazione delle ragioni della totale adesione del giudice alla motivazione di
primo grado, in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a eseguire un
copia ed incolla, intervallato da frasi incidentali ed osservazioni a sostegno della
condivisione di quanto affermato nella motivazione della prima sentenza),
secondo il quale, quando aderisce alle ricostruzioni, impostazioni,
argomentazioni poste dal primo giudice a sostegno del proprio

iter

motivazionale, il giudice di appello debba poi necessariamente motivare le
ragioni di tale adesione.
Il codice (art. 546, comma primo, lett. e), cod. proc. pen.) prevede infatti solo
che il giudice assuma una decisione ed esponga poi le ragioni di tale decisione
(coincidenti o meno che siano, in tutto o in parte, con quelle esposte dal primo
giudice a sostegno della motivazione di primo grado), ma non prevede altresì
che, in una sorta circolo vizioso, esponga anche analiticamente i motivi per i
quali abbia eventualmente condiviso le ragioni sostenute dal primo giudice, posto
che tali ragioni, se valide, sono idonee di per sé a sostenere la decisione assunta,
senza che sia necessaria una ulteriore motivazione riguardante (non già le
ragioni della decisione bensì) le ragioni per cui le suddette “ragioni della

29

della custodia cautelare né la precedente sentenza, quantomeno indicando le

%

decisione” corrispondono a quelle esposte dal primo giudice a sostegno dell’iter
motivazionale seguito.
Certo, è possibile che quanto affermato dal primo giudice sia “contrastato” (in
fatto e in diritto) dalle argomentazioni di una delle parti (imputato o PM), ed in
questo caso la sentenza nella quale il giudice si limitasse a riportare le ragioni
esposte da una delle parti senza prendere in considerazione quelle contrapposte

certo per la mancata esplicitazione dei motivi di adesione alle tesi di una delle
parti né tanto meno per il solo fatto che la relativa motivazione risulta costituita
dalla mera riproduzione di quanto affermato in un atto di parte (ad esempio,
come nel caso di specie, il contenuto di una richiesta applicativa della misura
cautelare). L’unico problema reale di una motivazione siffatta sorge infatti solo
se il contenuto dell’atto riportato a scopo motivazionale non è idoneo e
sufficiente a sostenere la decisione. Esclusivamente in questo caso quindi, e solo
per tale motivo, non per altri, la sentenza sarebbe censurabile.
Non va, conclusivamente, dimenticato che la chiarezza, inequivocità ed
esaustività della motivazione e, prima ancora, la chiara riferibilità di essa al
giudice che la sottoscrive costituiscono il presupposto della validità di qualunque
sentenza, quindi anche (e a maggior ragione, considerati i rischi ai quali espone
una tecnica redazionale “a collage”) di quella redatta attraverso la ricopiatura di
scritti altrui (atti processuali, compresi quelli di parte, o altri provvedimenti
giudiziari). Trattasi, del resto, di argomentazioni già recentemente esposte e
sviluppate autorevolmente in sede civile dalle Sezioni Unite, essendosi affermato
il principio — valevole nel processo civile ed in quello tributario, ma estensibile,
per analogia di ratio anche a quello penale – secondo cui non può ritenersi nulla
la sentenza che esponga le ragioni della decisione limitandosi a riprodurre il
contenuto di un atto di parte (ovvero di altri atti processuali o provvedimenti
giudiziari) eventualmente senza nulla aggiungere ad esso, sempre che in tal
modo risultino comunque attribuibili al giudicante ed esposte in maniera chiara,
univoca ed esaustiva, le ragioni sulle quali la decisione è fondata (v., Cass. civ.,
Sez. U, Sentenza n. 642 del 16/01/2015, Rv. 634091; la Corte ha, altresì,
precisato che è inoltre da escludere che, alla stregua delle disposizioni contenute

30

dall’altra sarebbe censurabile se ed in quanto oggettivamente incompleta, non

nel codice di rito civile e nella Costituzione, possa ritenersi sintomatico di un
difetto di imparzialità del giudice il fatto che la motivazione di un provvedimento
giurisdizionale sia, totalmente o parzialmente, costituita dalla copia dello scritto
difensivo di una delle parti).

11. Non miglior sorte meritano, infine, il secondo ed il terzo motivo di ricorso,
nei quali rispettivamente vengono svolte censure di violazione di legge e vizio
motivazionale in

relazione all’omessa

motivazione sia sul

mancato

riconoscimento delle attenuanti generiche che in ordine al trattamento
sanzionatorio.

11.1. In merito a detti motivi, rileva il Collegio come la Corte d’appello da atto
della richiesta delle attenuanti generiche (v. pag. 22), peraltro svalorizzando (v.
pag. 39) gli elementi invocati dalla difesa a sostegno dell’attenuazione del
trattamento sanzionatorio anche in relazione al diniego “cumulativo” per tutti ì
ricorrenti delle circostanze attenuanti generiche, basando il proprio giudizio sulla
“gravità” delle condotte contestate.

11.2. Ritiene il Collegio come non possa nel caso in esame denunciarsi la
sentenza impugnata per vizio di motivazione.
Ed infatti, quanto al trattamento sanzionatorio, è sufficiente qui rilevare come la
pena è stata determinata in misura prossima al minimo edittale per il KURRETA.
Trova dunque applicazione il principio, più volte affermato da questa Corte,
secondo cui nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti
eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo motivazionale
di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen., anche ove adoperi espressioni come
“pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero si richiami alla gravità
del reato o alla personalità del reo (V., tra le tante: Sez. 3, n. 33773 del
29/05/2007 – dep. 03/09/2007, Ruggieri, Rv. 237402).
Quanto, invece, alla doglianza relativa al mancato riconoscimento delle
attenuanti generiche, i giudici di appello mostrano di aver fatto buongoverno del
principio, anche questo consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo

31

t

cui ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche è
sufficiente che il giudice di merito prenda in esame quello, tra gli elementi
indicati dall’art. 133 cod. pen., che ritiene prevalente ed atto a determinare o
meno la concessione del beneficio; ed anche un solo elemento che attiene alla
personalità del colpevole o all’entità del reato ed alle modalità di esecuzione di

tra le tante: Sez. 2, n. 4790 del 16/01/1996 – dep. 10/05/1996, Romeo, Rv.
204768).

12. Passando ad esaminare il ricorso GOSTINI, con il medesimo viene dedotto
un unico motivo, come ampiamente già illustrato supra, con cui vengono svolte
censure di violazione di legge e vizio motivazionale per violazione dell’art. 192,
cod. proc. pen. nonché vizio di manifesta illogicità della motivazione quanto alla
valutazione della gravità indiziaria nonché sull’identificazione del ricorrente nel
soggetto individuato come “Bardhi”.
Anche tale motivo è inammissibile per manifesta infondatezza.

12.1. Ed invero, la Corte d’appello da atto dell’esistenza di tali questioni in
quanto già sollevate con l’atto di appello (v. pag. 23 della sentenza impugnata),
risolvendo il tema controverso della gravità indiziaria nelle successive pagine
36/37, respingendo – con una motivazione del tutto coerente con la ricostruzione
fattuale e con un percorso logico — argonnentativo ineccepibile — la tesi difensiva
per la quale non potesse revocarsi in dubbio che la persona identificata nel
“Bardhi” sia proprio il ricorrente Gostini.
Osservano, sul punto, i giudici di appello come, anche a prescindere dalla
circostanza che il ricorrente risiedeva a Carrara e che in quella città l’Edmond
Dodaj inviava i suoi corrieri (prova logica), gli elementi da cui desumere la certa
identificazione del ricorrente emergevano dall’annotazione di servizio 2/10/2008
e dall’ali. 11 dell’informativa riepilogativa; da tali atti, in particolare, evidenzia la
Corte territoriale, risulta (e segnatamente dalle telefonate intercettate il

32

esso può essere sufficiente per negare o concedere le attenuanti medesime (v.,

16/06/2007 sulle utenze in uso al Dodaj ed al Bledar Beleshi) che l’Agostin era
stato controllato a Carrara insieme a tali “Bardhi” “Leksi” e trattenuto in caserma
per accertamenti sui documenti dal medesimo esibiti; quella stessa sera,
utilizzando il cellulare di Agostin, il “Bardhi” aveva avvisato dell’accaduto il Bledar
ed aveva contatto un legale; nell’occasione i tre soggetti che si trovavano con il

Lleshi e nel Gostini; proprio la sostanziale contestualità storica e temporale tra
l’emergere, in quell’occasione, della presenza e dell’attivarsi, in quei termini, del
“Bardhi”, come tale appellato dai Dodaj e dal Bledar, e come tale qualificatosi in
quella telefonata, con cui avvertiva il Bledar dell’accaduto, unitamente alla certa
identificazione del Gostini del soggetto che si trovava in compagnia degli altri
due quella sera, non consentiva dubbi – per la Corte d’appello – in ordine alla
correttezza dell’identificazione, tanto più perché avvenuta in un contesto
soggettivo e territoriale, tra l’altro proprio del Gostini, inequivocabilmente
sintomatico e del tutto compatibile con i successivi accadimenti avvenuti qualche
mese dopo. A ciò si aggiunge, si legge in sentenza, la circostanza che gli
operanti avevano riconosciuto con certezza la voce del Bardhi in quella del
Gostini perché si trattava di un cliente abituale del “gruppo” Dodaj (circostanza,
quest’ultima, desumibile dal riferimento del corriere Afrim Bibaj in occasione di
un episodi avvenuto ad aprile, in cui si parla di prendere un caffè dove “l’abbiamo
sempre preso”, dandosi atto di un luogo d’incontro e di consegna ormai da tempo
collaudato, tant’è che on vi era alcuna necessità di specificarlo).
Nella stessa sentenza, peraltro, la Corte d’appello si prende anche carico di
confutare le argomentazioni difensive, riproposte anche in sede di ricorso per
cassazione, sotto il profilo dell’emergere di tali evidenziati contatti con il Bardhi
solo in epoca di fatto successiva a quel controllo, osservando tuttavia che,
proprio quel controllo, dava atto di consolidati e non altrimenti giustificabili
rapporti del Gostini quantomeno con l’Agostin, e che, per altro verso, l’attività
investigativa si era sviluppata a più ampio raggio, rivolgendosi anche a questioni

33

Dodaj Agostin erano stati identificati mediante i documenti in loro possesso, nel

di maggior spessore criminale, rispetto alle quali i singoli fati di cessione non
costituivano l’aspetto più eclatante e di maggior interesse investigativo circa
l’attività del “gruppo”, donde nulla smentirebbe l’affermazione dell’identità
soggettiva del Bardhí nella persona del ricorrente Gostini.

12.2. La motivazione, sul punto, come anticipato, apparente coerente con la

chiarendo convincentemente la Corte d’appello le ragioni dell’inesistenza del
dubbio sull’identificazione del Gostini, soprattutto laddove sottolinea il dato
oggettivo (non a caso non richiamato nel ricorso) costituito dal riferimento
all’episodio dell’aprile ed alla frase utilizzata dal corriere Bibaj Afrim.
Valgono, pertanto, onde evitare inutili ripetizioni, al fine di ritenere la
manifestazione infondatezza del motivo Gostini, le stesse argomentazioni svolte
da questa Corte con riferimento all’omologo motivo (il primo) svolto dai ricorrenti
Dodaj.

13. Può, infine, procedersi all’esame dei tre motivi di ricorso BELESHI ELSON, in
relazione ai quali, come si dirà amplius oltre, valgono le medesime considerazioni
svolte per gli altri ricorrenti quanto alla manifesta infondatezza.

13.1. Con il primo motivo, come già in precedenza illustrato, il ricorrente svolge
censure di violazione di legge (sostanziale e processuale) nonché di vizio
motivazionale per violazione degli artt. 43, comma secondo, cod. pen., 74,
comma secondo, T.U. Stup., nonché degli artt. 192, comma terzo e 125, comma
terzo, cod. proc. pen., in particolare in ordine alla ritenuta configurabilità del
sodalizio criminoso e, per quanto di interesse, alla partecipazione del ricorrente a
tale sodalizio.
Sul tema la Corte d’appello fornisce le ragioni poste a fondamento sia
dell’esistenza del sodalizio che della partecipazione al medesimo del Beleshi,
donde, con riferimento al profilo di doglianza in cui si contesta l’esistenza
dell’associazione, valgono le medesime argomentazioni (trattandosi di questioni

34

ricostruzione dei dati processuali e sorretta da argomenti privi di vizi logici,

sostanzialmente sovrapponibili) già svolte alle pagg. 20 e 21 dell’impugnata
sentenza e su cui, per evitare inutili ripetizioni, v. quanto già esposto supra a
proposito del secondo motivo Dodaj. Con particolare riferimento alla posizione
Beleshi, peraltro, vale quanto argomentato dalla Corte d’appello alle pag. 27/29
(in particolare, laddove, a pag. 28, osserva: a) che il contributo del singolo

sodalizio, in funzione del perseguimento delle sue finalità, potendo consistere in
qualsiasi apporto, di qualsiasi natura ed altresì sostituibile, alla realizzazione
degli scopi propri del sodalizio, ed in un qualsiasi ruolo, così confutando la
censura del Beleshi; b) che il Beleshi, unitamente ai tre Dodaj, non aveva
contestato la propria responsabilità in ordine ai plurimi fatti di gestione di droga
a ciascuno di essi contestati; c) che, infine, le argomentazioni della difesa
Beleshi andavano svalutate quanto alla discontinua operatività del medesimo od
alla rilevanza, anche sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato, della
piena conoscenza della dimensione operativa del gruppo), nonché, ancora,
quanto si legge alle pagg. 30/31 dell’impugnata sentenza in cui si offrono
ulteriori argomenti a confutazione delle censure difensive (in particolare,
precisano í giudici di appello come il ricorrente non era presenza attiva solo in
occasione dell’episodio di importazione del febbraio 2007, quando rimaneva a
casa del cugino Bledar, su disposizione di Agostin Dodaj, in attesa del corriere
Nemec, ma era organico al sodalizio ed vicino a vertici al punto da discutere con
il Dodaj del denaro mancante in occasione dell’importazione del mese di aprile
successivo, conclusasi con l’arresto del Nennec, o, nel successivo mese di luglio,
al punto da occuparsi a Milano della raccolta del denaro necessario per il nuovo
carico di droga e del suo successivo smercio ai clienti abituali, o, ancora, da
essere incaricato in via esclusiva della distribuzione del quantitativo di cocaina
importata nell’agosto; inoltre, si precisa in sentenza, era nei pressi
dell’abitazione che il Beleshi divideva con Arben ed Edmond Dodaj che, nel mese
di novembre successivo, venne tratto in arresto un altro corriere e sequestrato
un quantitativo di 5 kg. di cocaina, ed, inoltre, era sempre il Beleshi che nel

35

associato deve essere strumentale alla sopravvivenza ed all’operatività del

marzo e nel maggio 2008 veniva contattato dai clienti del sodalizio che
necessitavano di droga).
Orbene, concludono i giudici di appello, proprio la continuità del ruolo del
Beleshi, c.s. desunta, sulla base id un rapporto necessariamente fiduciario e con
apporto indubbiamente rilevante per l’operatività del sodalizio, convince della sua

13.2. Alla stregua degli argomenti fattuali e del percorso logico — argomentativo
seguito dai giudici territoriali, le censure difensive si appalesano, come detto,
manifestamente infondate.
Ancora una volta, infatti, come già avvenuto a proposito delle posizioni di altri
ricorrenti (su cui v. supra), le doglianze difensive si risolvono in manifestazioni di
critica e dissenso in ordine alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione delle
prove indiziarie operata dalla Corte d’appello; un tentativo di “rilettura”, dunque,
degli elementi indiziari oggetto di valutazione, inibito in questa sede di legittimità
come già chiarito in precedenza, valendo le argomentazioni già svolte a
proposito, ad esempio, delle censure Dodaj, onde evitare inutili e sovrabbondanti
ripetizioni da parte di questo Collegio.
La questione relativa, poi, all’assenza dell’elemento soggettivo, del resto, viene
affrontata traendone la prova dell’esistenza proprio dalla continuità del ruolo
svolto dal ricorrente, sulla base del rapporto fiduciario e dell’apporto
indubbiamente rilevante per l’operatività del sodalizio. A tal proposito, si osservi,
questa Corte ritiene possibile che si affermi la responsabilità per il delitto
associativo anche nella partecipazione ad un solo episodio di cessione (v., ad
es.: Sez. 6, n. 5970 del 23/01/1997 – dep. 19/06/1997, Ramirez R, Rv. 208306)
in presenza di prova della volontà di partecipare alla associazione deve essere
particolarmente puntuale e rigorosa. E sul punto, nel caso in esame, proprio la
continuità del ruolo svolto ed il suo protrarsi per un apprezzabile e congruo
periodo di tempo a vantaggio delle attività del sodalizio, concorrono a rafforzare
il convincimento dei giudici di merito in ordine alla consapevolezza del ricorrente
di prendervi parte, essendo evidente la stabilità dell’adesione al sodalizio, anche
36

appartenenza all’associazione criminale.

I

in considerazione del fato che i singoli reati . fine vedono come soggetti
concorrenti gli stessi membri del sodalizio, elemento, questo, rafforzativo della
consapevolezza e volontà del ricorrente di aderire all’associazione criminosa.
Del resto, ricorda il Collegio, in materia di associazione finalizzata al traffico di
stupefacenti, la partecipazione dell’imputato al sodalizio criminoso può essere

condotte, per le loro connotazioni, siano in grado di attestare, al di là di ogni
ragionevole dubbio e secondo massime di comune esperienza, un ruolo specifico
della persona, funzionale all’associazione e alle sue dinamiche operative e di
crescita criminale, e le stesse siano espressione non occasionale della adesione
al sodalizio criminoso e alle sue sorti, con l’immanente coscienza e volontà
dell’autore di farne parte e di contribuire al suo illecito sviluppo (v., tra le tante:
Sez. 6, n. 44102 del 21/10/2008 – dep. 26/11/2008, Cannizzo e altri, Rv.
242397; Sez. 6, n. 50133 del 21/11/2013 – dep. 12/12/2013, Casoria, Rv.
258645).
Perdono, dunque, di spessore argonnentativo le doglianze difensive sul punto.

14. Ad analogo approdo deve pervenirsi con riferimento al secondo motivo di
ricorso, con cui si svolgono analoghe censure a quelle già svolte in sede di primo
motivo, stavolta riferite alla ritenuta sussistenza dell’aggravante del numero
delle persone; in altri termini, si sostiene da parte del ricorrente che, pur
essendo un’aggravante oggettiva, la sua ascrivibilità al ricorrente
presupporrebbe pur sempre che la stessa debba essere investita dal dolo
(quantomeno debba essere colpevolmente ignorata), altrimenti determinandosi
la violazione dell’art. 27 Cost.
Sulla questione, la Corte territoriale da conto dell’esistenza di uno specifico
motivo di appello (pag. 20), affrontandola peraltro ex professo (pag. 30),
giungendo ad affermare che il numero delle persone era inevitabilmente
percepibile da chi (come il Beleshi), pur se con ruolo non apicale, operava in
stretto contatto con i protagonisti di vertice del sodalizio.

14.1. La censura dedotta non ha pregio.
Ed infatti, premesso che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ai fini della
ravvisabilità dell’aggravante di dieci o più partecipanti all’associazione, prevista

37

desunta anche dalla commissione di singoli episodi criminosi, purché siffatte

dall’art. 74, comma terzo, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, nel numero degli
associati possono essere inclusi anche i soggetti non ancora giudicati ma
coimputati in procedimenti separati, ben potendosi anticipatamente ed
autonomamente deliberare per la decisione del giudizio in corso, la posizione di
altri presenti associati, ovviamente senza influenza nei confronti di costoro e
salvo il rimedio della revisione in caso di successiva contraddittorietà di giudicati

199915), osserva il Collegio che l’aggravante

de qua

partecipa delle

caratteristiche dell’aggravante contemplata dall’art. 112, comma primo, n. 1,
cod. pen. che ha pacificamente natura oggettiva e si comunica a tutti coloro che
concorrono nel reato, non richiedendo alcun connotato soggettivo. E’ stato più
volte affermato, infatti, che ai fini della ravvisabilità dell’aggravante prevista
dall’art. 112, comma primo, n. 1, cod. pen., il numero delle persone deve essere
valutato oggettivamente sicché è irrilevante che i concorrenti sappiano dell’altrui
partecipazione in numero sufficiente ad integrare la detta circostanza (Sez. 2, n.
5378 del 30/11/1982 – dep. 06/06/1983, Licciardiello, Rv. 159403; Sez. 4, n.
3177 del 27/11/1992 – dep. 06/04/1993, Santus ed altri, Rv. 198436; Sez. 1, n.
48726 del 19/05/2011 – dep. 30/12/2011, Senneraro e altri, Rv. 252044).
Ne consegue, dunque, che anche l’aggravante del comma terzo dell’art. 74, t.u.
stup., concernendo le modalità dell’azione, ha natura oggettiva e,
conseguentemente, si comunica a tutti coloro che concorrono nel reato, non
essendo necessario che la stessa sia investita del corrispondente elemento
soggettivo (nello stesso senso, nel reato di estorsione, la circostanza aggravante
delle più persone riunite, si ritiene non richieda quale connotato soggettivo la
consapevolezza della partecipazione di altri concorrenti nel numero sufficiente ad
integrare l’aggravante stessa, poiché essa, concernendo le modalità dell’azione,
ha natura oggettiva e, conseguentemente, si comunica a tutti coloro che
concorrono nel reato: Sez. 2, n. 31199 del 19/06/2014 – dep. 16/07/2014,
Posteraro e altri, Rv. 259987).
Ciò escludendo, dunque, qualunque sospetto di contrarietà all’art. 27 Cost.

15. Resta, infine, da esaminare il terzo ed ultimo motivo di ricorso Beleshi, con
cui si svolgono analoghe censure di violazione di legge e vizio motivazionale

38

(Sez. 1, n. 9370 del 08/06/1994 – dep. 31/08/1994, Morabito ed altri, Rv.

quanto ai criteri impiegati dalla Corte territoriale per la determinazione della
pena ai sensi dell’art. 133 cod. pen.; in particolare, si sostiene, come già
illustrato supra, che la Corte d’appello avrebbe ritenuto erroneamente “congrua”
la pena inflitta sulla base del riferimento alla gravità dei fatti; non sarebbe stata

“cambiato vita”; infine, la pena base sarebbe stata fissata in misura di 5 anni
superiore a minimo e ciò sarebbe renderebbe illogica la motivazione.
La Corte d’appello, sul punto, evidenzia come il ricorrente avesse prospettato (v.
pag. 21 della sentenza impugnata), la questione inerente al trattamento
sanzionatorio. In merito alla determinazione del trattamento sanzionatorio, ed
alle modalità della sua individuazione, si sottolinea come le circostanze
attenuanti generiche siano state considerate prevalenti alle aggravanti
contestate (anche se erroneamente considerate come equivalenti); quanto alla
pena base, la stessa, si argomenta in sentenza, “di fatto” era stata determinata
nel minimo edittale.

15.1. L’impugnazione è, sul punto, infondata.
Dalla lettura della sentenza di primo grado, infatti, risulta che la pena base era
stata determinata in anni 15.
Secondo quanto chiarito autorevolmente dalle Sezioni Unite di questa Corte,
sebbene con riferimento alla questione della determinazione dei termini di durata
massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a
un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (art. 74
D.P.R. 9 ottobre 1990 n. 309), del quale è espressamente prevista dalla legge la
sola pena edittale minima e non quella massima, si è affermato che quest’ultima
va individuata in ventiquattro anni di reclusione, secondo la regola generale
dettata dall’art. 23, comma primo, cod. pen. (Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002 dep. 10/07/2002, Fiorenti, Rv. 221656). Premesso quanto sopra, la pena base
irrogata è inferiore al medio edittale (pari a 17 anni di reclusione), sicchè l’onere
motivazionale ben può considerarsi assolto con riferimento ad un concetto di
“gravità”, valorizzando dunque la gravità dei fatti e la reiterazione delle condotte,

39

valutata la discontinuità dei rapporti e la circostanza dell’aver il ricorrente

*o
:
come avvenuto nel caso di specie. Si è infatti, anche di recente, ribadito che solo
l’irrogazione di una pena base pari o superiore al medio edittale richiede una
specifica motivazione in ordine ai criteri soggettivi ed oggettivi elencati dall’art.
133 cod. pen., valutati ed apprezzati tenendo conto della funzione rieducativa,
retributiva e preventiva della pena (v., tra le tante: Sez. 3, n. 10095 del
10/01/2013 – dep. 04/03/2013, Monterosso, Rv. 255153), conseguendone,

criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena
equa” o “congruo aumento”, come pure il richiamo alla gravità del reato o alla
capacità a delinquere (v., tra le tante: Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009 – dep.
18/09/2009, Denaro, Rv. 245596).

16. I ricorsi devono essere, complessivamente, rigettati.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna di ciascun ricorrente al
pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso in Roma, nella sede della S.C. di Cassazione, il 27/03/2015

pertanto, che possono altrimenti essere sufficienti a dare conto dell’impiego dei

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