Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27131 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27131 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Lubrano Lavadera Salvatore, nato il 29 agosto 1970
avverso la sentenza della Corte d’appello di Napoli del 3 aprile 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito il difensore, avv. Vincenzo Emilio.

Data Udienza: 26/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — Con sentenza del 3 aprile 2014, la Corte d’appello di Napoli ha confermato
— quanto alla responsabilità penale — la sentenza del Gup del Tribunale di Napoli del 9
ottobre 2013, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputato era stato
condannato, concesse le attenuanti generiche e ritenuta la continuazione, alla pena di
anni 3 di reclusione ed euro 16.000,00 di multa, per i reati di cui agli artt. 81, secondo
comma, cod. pen., 9, 10 della legge n. 497 del 1974, 73, comma 4, del d.P.R. n. 309

fabbricato e detenuto materiali esplosivi, no4thé illecitamente detenuto quantitativi di
hashish e marijuana, dai quali erano rispettivamente ricavabili 477,5 e 741,4 dosi
medie singole, nonché alcuni semi di canapa indiana. La Corte d’appello, in parziale
accoglimento dell’impugnazione dell’imputato, ha ridotto la pena ad anni 2, mesi 6,
giorni 20 di reclusione ed euro 10.000,00 di multa.
2. — Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, deducendo, con unico motivo di doglianza, la manifesta illogicità e la
contraddittorietà della motivazione, nonché il travisamento della prova. Non si
sarebbe considerato, in particolare, che lo stesso imputato era un soggetto
incensurato, assuntore di sostanza stupefacente da oltre quindici anni, come sarebbe
dimostrato dalla documentazione di iscrizione al Sert. Il sequestro dei semi di canapa
indiana sarebbe, inoltre, elemento indicativo di un’attività di coltivazione diretta e
personale della sostanza, mentre le bilance sequestrate non potrebbero essere
considerate come bilancini di precisione, perché utilizzate esclusivamente per la
pesatura di prodotti agricoli. Né vi era stato l’accertamento di uno scambio di
stupefacente con qualche soggetto, ma solo dell’interlocuzione con un soggetto non
identificato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile, per genericità.
Esso contiene, infatti, mere indimostrate asserzioni circa la pretesa destinazione
dello stupefacente sequestrato al consumo personale, del tutto sganciate dal
compendio istruttorio e da un’analisi critica del contenuto della sentenza impugnata,
quali quelle relative allo stato di tossicodipendenza, alla destinazione delle bilance
dell’imputato alla sola pesatura di prodotti agricoli, alla coltivazione in proprio dello
stupefacente.
Si tratta, in ogni caso, di affermazioni puntualmente smentite dai giudici di
primo e secondo grado, i quali hanno evidenziato che l’imputato era stato arrestato in
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del 1990, per avere, in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, illegalmente

flagranza dopo la perquisizione effettuata nella sua abitazione e che egli era in
possesso di circa 1200 dosi medie oltre, che di materiale idoneo al confezionamento;
elementi che sono stati correttamente considerati quale univoca dimostrazione della
destinazione della sostanza alla cessione a terzi, non avendo il prevenuto né indicato
le fonti con cui avrebbe acquistato la scorta, del tutto ingiustificata, visto il
deterioramento della qualità della stessa con il decorso del tempo, né dimostrato
l’abitualità dell’assunzione. E correttamente i giudici di primo e secondo grado hanno

organizzativa dimostrata dall’imputato, evidenziando l’irrilevanza, a fronte della
chiarezza e dell’univocità del quadro probatorio, del mancato riscontro di singoli
episodi di spaccio.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2015.

escluso la lieve entità dei fatti, in considerazione del dato ponderale e della capacità

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