Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2713 del 06/12/2013


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Penale Ord. Sez. 7 Num. 2713 Anno 2014
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: AMORESANO SILVIO

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:
SORRENTINO ANTONIO N. IL 20/07/1978
SPERANZA SIMONA N. IL 27/02/1982
avverso la sentenza n. 1778/2011 TRIBUNALE di RAVENNA, del
04/06/2012
dato avviso alle parti;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. SILVIO AMORESANO;

Data Udienza: 06/12/2013

1) Con sentenza del 4.6.2012 il Tribunale di Ravenna, in composizione monocratica,
condannava Sorrentino Antonio e Speranza Simona, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche, alla pena di euro 2.000,00 di ammenda ciascuno
per il reato di cui all’art.44 lett.a) DPR 380/2001.
Ricorrono per cassazione gli imputati, a mezzo del difensore, denunciando la violazione
degli artt.192 co.2 c.p.p., 157 c.p. in relazione all’art.44 DPR 380/2001, nonché la
mancanza e/o manifesta illogicità della motivazione sia in ordine all’affermazione di
responsabilità che in riferimento all’omessa declaratoria di prescrizione del reato.
2) I ricorsi sono manifestamente infondati.
3) E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che in materia edilizia può essere
attribuita al proprietario non formalmente committente dell’opera la responsabilità
per la violazione dell’art.20 L.47/85 (sostituito dall’art.44 bPR 380/01) sulla base di
valutazioni fattuali, quali l’accertamento che questi abiti nello stesso territorio
comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo,
che sia destinatario finale dell’opera, che abbia presentato richieste di provvedimenti
abilitativi anche in sanatoria (cfr. ex multis cass.pen.sez.3 n.9536 del 20.1.2004;
Cass.sez.3 , 14.2.2005 -Di Marino; Cass.sez.3 n.32856 del 13.7.2005-Farzone).
Il Tribunale ha affermato la penale responsabilità degli imputati in ordine al reato
ascritto, oltre che per essere comproprietari dell’immobile, perché entrambi
risiedevano nell’abitazione dove erano stati eseguiti i lavori (la Speranza era anche
presente al momento del sopralluogo).
4) Quanto all’eccepita prescrizione, a prescindere dalle informazioni assunte dai
verbalizzanti presso i vicini, il Tribunale ha evidenziato che le opere, come emergeva
dai rilievi fotografici), erano ancora “al grezzo e non ultimate” (pag.1).
Ed è pacifico che in materia edilizia la cessazione della permanenza e quindi la
consumazione del reato si abbia solo con il completamento dell’opera comprese le
rifiniture; altra cosa è, invece, la nozione di ultimazione contenuta nell’art.31 L.47 del
1985 (che anticipa tale momento a quello della ultimazione della struttura) che è
applicabile solo in materia di condono edilizio (cfr. ex multis Cass.pen.sez.3 n.33013
del 3.6.2003; sez. 3 n.8172 del 27.1.2010; Cass.sez.un. n.17178 del 24.10.2002).
Più di recente, dopo il richiamo dell’orientamento di questa Corte sul concetto di
ultimazione dell’immobile abusivo, si è specificato che deve trattarsi di “…un edificio
concretamente funzionale che possegga tutti i requisiti di agibilità o abitabilità, come
si ricava dal disposto dell’art. 25, comma 1, del T.U., che fissa, entro quindici giorni
dall’ultimazione dei lavori di finitura dell’intervento, il termine per la presentazione
allo sportello unico della domanda di rilascio del certificato di agibilità. (Sez. 3^ n.
8172, 2 marzo 2010).
In ogni caso, in tema di prescrizione, grava sull’imputato, che voglia giovarsi di tale
causa estintiva del reato, l’onere di allegare gli elementi in suo possesso dai quali

1

OSSERVA

4

desumere la data di inizio del decorso del termine, diversa da quella risultante dagli
atti” (Cass.pen.sez.3 n.19082 del 24.3.2009).
5) Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la
colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma
che pare congruo determinare in euro 1.000,00 ciascuno ai sensi dell’art.616 c.p.p.
5.1) Va solo aggiunto che l’inammissibilità del ricorso preclude la possibilità di rilevare
cause di non punibilità maturate dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Questa Corte si è pronunciata più volte sul tema anche a sezioni unite (per ultimo
sent.n.23428/2005-Bracale). Tale pronuncia, operando una sintesi delle precedenti
decisioni, ha enunciato il condivisibile principio che l’intervenuta formazione del
giudicato sostanziale derivante dalla proposizione di un atto di impugnazione invalido
perché contrassegnato da uno dei vizi indicati dalla legge (art.591 comma 1, con
eccezione della rinuncia ad un valido atto di impugnazione, e art.606 comma 3),
precluda ogni possibilità sia di far valere una causa di non punibilità precedentemente
maturata sia di rilevarla d’ufficio. L’intrinseca incapacità dell’atto invalido di accedere
davanti al giudice dell’impugnazione viene a tradursi in una vera e propria absolutio ab
instantia, derivante da precise sequenze procedimentali, che siano in grado di
assegnare alle cause estintive già maturate una loro effettività sul piano giuridico,
divenendo altrimenti fatti storicamente verificatisi, ma giuridicamente indifferenti
per essersi già formato il giudicato sostanziale”.
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese
processuali, nonché al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro
1.000,00 ciascuno.
Così deciso in Roma il 6.12.2013

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