Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27128 del 26/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27128 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Korpivska Radoslava Georgieva, nata il 26 giugno 1983
avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma del 30 maggio 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito il difensore, avv. Fabio Spaziani.

Data Udienza: 26/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1.

— Con sentenza del 30 maggio 2014, la Corte d’appello di Roma ha

confermato — quanto alla responsabilità penale — la sentenza del Gup del Tribunale di
Rieti del 22 maggio 2013, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l’imputata
era stata condannata, riconosciuta la continuazione, per 34 fattispecie di cessione di
eroìna a diversi soggetti. La Corte d’appello ha riconosciuto il vincolo della
continuazione con i reati di cui ad altra sentenza definitiva di condanna e, ritenuto più

di cui al presente procedimento in anni due e mesi otto di reclusione ed euro
10.000,00 di multa, confermando la sentenza di primo grado quanto alla pena
accessoria.
2. — Avverso la sentenza l’imputata ha proposto, tramite il difensore, ricorso
per cassazione, deducendo, con un primo motivo di doglianza, l’erronea applicazione
dell’art. 81 cod. pen., per il mancato riconoscimento dell’unicità del reato di
detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti. La difesa osserva che nel caso in
esame non vi era stato sequestro della sostanza incriminata, ma si era risaliti
all’attività di spaccio sulla base delle dichiarazioni di ciascuno degli acquirenti e degli
indirizzari detenuti dall’imputata; ne consegue — per la stessa difesa — che la
detenzione e le cessioni erano avvenute in un medesimo contesto e avevano avuto ad
oggetto la stessa partita di droga.
In secondo luogo, si contesta l’erronea applicazione dell’art. 73, comma 5, del
d.P.R. n. 309 del 1990, per il mancato riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità ivi
prevista. Non si sarebbe considerato, in particolare, che l’unico sequestro effettuato
aveva avuto per oggetto dello stupefacente dotato di un principio attivo non superiore
al 10%.
Con una terza censura, si deduce la mancanza, contraddittorietà e manifesta
illogicità della motivazione quanto all’aumento di pena per la continuazione e quanto
alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte d’appello
non avrebbe individuato l’aumento applicato per ciascun reato contestato, giungendo
così a un computo finale viziato per eccesso; non avrebbe, inoltre, considerato il
comportamento processuale dell’imputata e il suo stato di tossicodipendenza, cui era
legata l’attività di spaccio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.

2

grave uno di tali ultimi reati, ha determinato l’aumento ex art. 81 cod. pen. per i reati

3.1. – Il primo motivo – con cui si sostiene che la Corte d’appello avrebbe
dovuto considerare i 34 episodi contestati come un’unica condotta di detenzione- è
formulato in modo non specifico. La difesa , ribadendo in questa sede una censura già
motivatamente disattesa in grado di appello, si limita a sostenere che l’imputata
avrebbe detenuto tutta la droga spacciata nello stesso momento, ma non fornisce
alcun elemento a supporto di tale affermazione. La stessa è, del resto, puntualmente
smentita dei giudici di merito, i quali evidenziano che si tratta di episodi di spaccio

ipotizzabile una detenzione unitaria dello stupefacente.
3.2. – In relazione al secondo motivo di doglianza, riferito al mancato
riconoscimento dell’ipotesi di minore gravità, deve preliminarmente ricordarsi che la
fattispecie di cui all’art 73, comma 5, del d.P.R. n. 309 del 1990 può essere
riconosciuta solo nell’ipotesi di minima offensività penale della condotta, deducibile sia
dal dato qualitativo e quantitativo, sia degli altri parametri espressamente richiamati
dalla disposizione (mezzi, modalità, circostanze dell’azione); con la conseguenza che,
ove uno di detti indici risulti negativamente assorbente, ogni altra considerazione
resta priva di incidenza sul giudizio

(ex plurimís, sez. 4, 22 dicembre 2011, n.

6732/2012; sez. un., 24 giugno 2010, n 35737).
Si tratta – è bene precisarlo – di principi che si attagliano sia alla formulazione
della disposizione conseguente della sentenza della Corte costituzionale n. 32 del
2014, precedente alla modifica introdotta dagli artt. 4-bis e 4-vicies ter, del decretolegge 30 dicembre 2005, n. 272, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1,
della legge 21 febbraio 2006, n. 49, dichiarati incostituzionali con detta sentenza, sia
alla formulazione successiva della disposizione, precedente al decreto-legge n. 146 del
2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 10 del 2014, sia alla formulazione
introdotta da tale ultimo decreto-legge, sia alla formulazione attualmente vigente,
introdotta dalla legge di conversione n. 79 del 2014 del decreto-legge n. 36 del 2014.
E ciò perché tutte tali disposizioni fanno riferimento, quali parametri per ritenere la
lieve entità dei fatti, ai mezzi, alle modalità, alle circostanze dell’azione, alla qualità e
quantità delle sostanze stupefacenti (ex multis, sez. 3, 19 marzo 2014, n. 27064, rv.
259664).
Quanto al caso in esame, nel richiamare tali principi, la Corte d’appello e il Gup
hanno correttamente valorizzato la professionalità dello smercio dello stupefacente
desunta dal fatto che le singole condotte sono state circa 2000 in un anno.

compiuti in un arco di tempo relativamente lungo, in relazione ai quali non è perciò

3.3. – Manifestamente infondati risultano, infine, i rilievi – formulati con il terzo
motivo di doglianza – relativi alla quantificazione degli aumenti di pena per la
continuazione in modo globale anziché per ogni singolo reato, nonché al diniego delle
circostanze attenuanti generiche.
In relazione al primo profilo, va ricordato che, in tema di reato continuato, ai
fini della determinazione della pena complessiva, l’aumento per continuazione operato
sul reato più grave (e quindi sulla pena-base) può essere determinato anche in termini

correlato a ciascun reato satellite, non previsto dalla vigente normativa (ex multis,
sez. 5, 13 gennaio 2011, n. 7164, rv. 249710; sez. 2, 21 gennaio 2015, n. 4984, rv.
262290).
In relazione circostanze attenuanti generiche, e qui sufficiente rilevare che, a
prescindere dall’assoluta genericità della prospettazione difensiva, basata sulla mera
affermazione della buona condotta processuale e dello stato di tossicodipendenza, il
loro diniego è stato adeguatamente argomentato sulla base della gravità e ripetitività
delle condotte di spaccio.
4. – Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 26 marzo 2015.

cumulativi, senza che sia necessario indicare specificamente l’aumento di pena

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