Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27122 del 18/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27122 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: ANDRONIO ALESSANDRO MARIA

SENTENZA
sul ricorso proposto da
Vassallo Giovanni, nato il 31 maggio 1960
avverso la sentenza del Tribunale di Rovereto del 9 gennaio 2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessandro M. Andronio;
udito il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale Aldo
Policastro, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito, per l’imputato, l’avv. Francesco Mocellin.

Data Udienza: 18/03/2015

RITENUTO IN FATTO
1. — Con sentenza del 9 gennaio 2014, il Tribunale di Rovereto ha condannato
l’imputato alla pena dell’ammenda, per il reato di cui all’art. 6, comma 1, della legge
n. 150 del 1992, per avere detenuto un esemplare vivo di bisonte americano
proveniente da riproduzione in cattività, che costituisce pericolo per la salute e
l’incolumità pubblica; specie ricompresa nell’elenco predisposto dal Ministro
dell’ambiente con decreto ministeriale 19 aprile 1996 (il 25 luglio 2012, in Rovereto).

cassazione, lamentando, in primo luogo, la mancata lettura della motivazione in
udienza, contestualmente al dispositivo, e la non immediata disponibilità della
sentenza da impugna, con conseguente compromissione del diritto di difesa.
Con un secondo motivo di doglianza, si eccepisce la litispendenza ex art. 28,
comma 1, lettera a), cod. proc. pen., in relazione ad un giudizio pendente davanti al
Tribunale di Macerata. La difesa, premesso che il reato per il quale si procede è un
reato omissivo a carattere permanente, sostiene che la detenzione del bisonte in
mancanza di autorizzazione prefettizia era già stata contestata dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Macerata nel 2011 e che si tratta della stessa vicenda
per la quale qui si procede.
In terzo luogo, si chiede l’annullamento della sentenza impugnata con
riferimento alla motivazione relativa all’elemento soggettivo. Non si sarebbe
considerato, in particolare, che l’autorizzazione prefettizia non era stata rilasciata, pur
in presenza di regolare domanda proposta dall’interessato, per sostanziale inerzia
della pubblica amministrazione. Si ricorda in particolare che: vi era stato un
accertamento della polizia giudiziaria in data 7 maggio 2011, nel corso del quale era
stata contestata l’illegittima detenzione del bisonte; in data 4 agosto 2011 era stato
disposto il sequestro preventivo del bisonte stesso, affidato alla custodia
dell’imputato; dopo l’esecuzione del sequestro preventivo, in data 16 settembre 2011,
l’imputato aveva presentato una serie di istanze volte rilascio di autorizzazioni
integrative alle prefetture competenti. Da ciò conseguirebbe — secondo la difesa che, a partire dal 4 agosto 2011, data del sequestro, l’imputato non deteneva il
bisonte per una scelta propria, ma solo in virtù del decreto di sequestro che affidava
allo stesso la custodia dell’animale.
Con motivi aggiunti presentati in prossimità dell’udienza davanti a questa Corte,
la difesa rileva, in relazione alla litispendenza eccepita con il secondo motivo di
ricorso, che il Tribunale di Macerata ha pronunciato in data 26 gennaio 2015 sentenza

2. – Avverso la sentenza l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per

di assoluzione con la formula «perché il fatto non costituisce reato», e ribadisce che
l’imputato si era comunque adoperato più volte per richiedere il rilascio del titolo
a utorizzatorio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. – Il ricorso è inammissibile.
Deve premettersi che l’art. 6, comma 1, della legge n. 150 del 1992 vieta in
generale di detenere esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica ed

costituiscano pericolo per la salute e per l’incolumità pubblica e che il bisonte
americano è una delle specie cui la disposizione si riferisce, in quanto inclusa nel
decreto di attuazione del Ministro dell’Ambiente 19 aprile 1996. Il successivo comma 3
prevede che, «Fermo restando quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 5, coloro che
alla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del decreto di cui al comma 2
detengono esemplari vivi di mammiferi o rettili di specie selvatica ed esemplari vivi di
mammiferi o rettili provenienti da riproduzioni in cattività compresi nell’elenco stesso,
sono tenuti a farne denuncia alla prefettura territorialmente competente entro
novanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma 2». Prevede
altresì che «il prefetto, d’intesa con le autorità sanitarie competenti, può autorizzare la
detenzione dei suddetti esemplari previa verifica della idoneità delle relative strutture
di custodia, in funzione della corretta sopravvivenza degli stessi, della salute e
dell’incolumità pubblica». Il comma 6 dello stesso articolo, prevede, alla lettera b) ,
che l’obbligo di autorizzazione non trova applicazione «nei confronti dei circhi e delle
mostre faunistiche permanenti o viaggianti, dichiarati idonei dalle autorità competenti
in materia di salute e incolumità pubblica, sulla base dei criteri generali fissati
previamente […]».
Quanto al caso di specie, deve precisarsi che dagli atti di causa emerge che il
bisonte oggetto dell’imputazione era detenuto in mancanza dell’autorizzazione
prefettizia di cui sopra; autorizzazione che — contrariamente a quanto sostenuto dalla
difesa — deve necessariamente precedere l’inizio della detenzione dell’animale. La
disposizione transitoria del primo periodo del richiamato comma 3 riguarda, infatti,
l’ipotesi, diversa da quella in esame, della detenzione che sia iniziata prima
dell’entrata in vigore della legge numero 150 del 1992. Né emerge, in mancanza di
specifici rilievi difensivi sul punto, che l’animale fosse detenuto nell’ambito dì un circo
o mostra faunistica dichiarati idonei dalle autorità competenti sulla base dei criteri
generali previamente fissati, ai sensi del richiamato comma 6, lettera b): ne deriva
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esemplari vivi di mammiferì e rettili provenienti da riproduzioni in cattività che

che non può trovare applicazione la deroga ivi prevista quanto all’obbligo di
autorizzazione, perché tale deroga ha come indefettibile presupposto la dichiarazione
di idoneità (Cass. pen., sez. 3, 18 luglio 2014, n. 45448, rv. 260758). E, anzi, dalla
documentazione prodotta con i motivi nuovi di ricorso in prossimità dell’udienza di
fronte a questa Corte, risulta che la dichiarazione di idoneità del complesso circense
gestito dall’imputato è intervenuta solo in data 15 settembre 2014, ovvero ben dopo
la commissione del reato per il quale si procede.

relativo alla mancata lettura in udienza della motivazione contestualmente al
dispositivo e alla non immediata disponibilità per il difensore della sentenza da
impugnare – è formulato in modo non specifico.
Il ricorrente non richiama, infatti, gli atti del procedimento dai quali
emergerebbe che la motivazione contestuale non è stata letta in udienza e che la
sentenza non è stata messa a disposizione del difensore nella sua interezza,
limitandosi a produrre un’istanza la sua firma, che nulla prova quanto tali circostanze.
Per contro, dall’intestazione della sentenza impugnata emerge che la stessa, completa
di dispositivo e motivazione contestuale è stata letta in udienza. E ciò, a prescindere
dall’ulteriore considerazione che l’impugnazione avverso la sentenza è stata comunque
regolarmente proposta.
3.2. — Del pari generici sono il secondo motivo di doglianza e il motivo
aggiunto, relativi alla pretesa sussistenza di una litispendenza in relazione ad un
giudizio pendente davanti al Tribunale di Macerata.
La difesa non indica infatti gli atti di causa dai quali si possa desumere che le
condizioni di detenzione del bisonte oggetto del procedimento di fronte al Tribunale di
Macerata siano le stesse oggetto del presente procedimento, limitandosi a richiamare
non meglio precisati «documenti prodotti in atti del procedimento avanti il Tribunale di
Rovereto». Tale omessa prospettazione assume rilievo al fine di escludere la ritenuta
permanenza del reato, perché la variazione delle condizioni di custodia degli animali
richiede, in ogni caso, una nuova dichiarazione di idoneità da richiedersi al prefetto
territorialmente competente. E la motivazione della sentenza impugnata sul punto
risulta, in ogni caso, sostanzialmente corretta, laddove evidenzia che il reato per il
quale si procede di fronte all’altra autorità giudiziaria è stato commesso il 7 maggio
2011, ovvero più di un anno prima rispetto quello per il quale qui si procede.

3.1. – Fatta questa premessa, va rilevato che il primo motivo di doglianza —

3.3. — Inammissibile, in parte per genericità e in parte per manifesta
infondatezza, è il terzo motivo di ricorso, con cui si chiede l’annullamento della
sentenza impugnata con riferimento alla motivazione relativa all’elemento soggettivo.
Sotto il primo profilo, deve evidenziarsi che la difesa non ha richiamato in modo
sufficientemente specifico atti di causa nei quali possa trovare conferma la
prospettazione secondo cui il bisonte oggetto del presente procedimento era detenuto
dall’imputato in data 25 luglio 2012 non per sua volontà ma esclusivamente in forza di

nominato custode; cosicché tale prospettazione risulta basata su mere indimostrate
asserzioni. Sotto il secondo profilo, deve rilevarsi che la presentazione di istanze volte
al rilascio dell’autorizzazione integrativa non esclude la sussistenza del reato, perché
l’animale pericoloso non può comunque essere legittimamente detenuto prima che
l’autorizzazione sia emanata (come sopra evidenziato sub 3.).
4. – Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale
e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte
abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità», alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma
dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del
versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente
fissata in C 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 marzo 2015.

un precedente provvedimento di sequestro con il quale l’imputato stesso era stato

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