Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27120 del 05/03/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27120 Anno 2015
Presidente: TERESI ALFREDO
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto di
Ottonello Pasquale, nato a Masone il 21-07-1949
Guida Giuseppe, nato a San Pietro di Caridà il 09-11-1951
avverso la sentenza del 18-04-2014 della corte di appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele
Mazzotta che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio per l’Ottonello e
rigetto per il Guida;
udito per il ricorrente

Data Udienza: 05/03/2015

RITENUTO IN FATTO

1. Pasquale Ottonello e Giuseppe Guida ricorrono, personalmente e con
separati atti, per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la
quale la corte di appello di Torino, in sede di giudizio di rinvio ed in parziale
riforma della sentenza emessa dal tribunale di Alessandria — sezione distaccata
di Novi Ligure, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di entrambi i
ricorrenti per essere il reato loro ascritto estinto per intervenuta prescrizione,

Ai ricorrenti è contestato il delitto previsto dagli articoli 113 e 590, commi
1, 2, 3, codice penale perché, nel corso dei lavori di manutenzione all’interno
dello stabilimento “Ilva” di Novi ligure, agendo l’Ottonello quale amministratore
unico della società “Mosis” ed il Guida quale responsabile del servizio
prevenzione e protezione della società predetta (nominato con nomina generica,
senza esplicita indicazione dei poteri e della necessaria autonomia tecnica e
finanziaria), per colpa, consistite in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché
nella violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni, segnatamente
dell’articolo 4, comma 5, lettera e), decreto legislativo 19 settembre 1994, n.
626 perché omettevano di prendere misure appropriate di guisa che solo i
lavoratori che avessero ricevuto una adeguata istruzione (e non, quindi, la parte
offesa, assunta da meno di un mese presso la società “Mosis” e priva di
adeguata esperienza e di adeguate informazioni in merito all’attività da svolgere)
potessero accedere alle zone che li esponevano ad un rischio grave e specifico,
cagionava alla lesioni personali gravi (frattura composta del 3 0 medio della
gamba destra, lesione del corno posteriore del menisco mediale di destra,
comportanti una malattia ed una inabilità al lavoro dalla data dell’infortunio fino
all’agosto del 2001) dell’operaio Carlo Carvelli (nella fattispecie l’operaio, mentre
lavorava presso il reparto zincatura dello stabilimento “Ilva” di Novi Ligure,
veniva richiesto da un collega di recarsi a prendere un martinetto che si trovava
in altro locale; l’operaio privo di idonea esperienza ed adeguata istruzione circa
le modalità e procedure per la rimozione del martinetto, azionava
l’apparecchiatura – estrattore – alla quale era collegato, veniva violentemente
colpito dal martinetto e si procurava le lesioni predette). In Novi Ligure il 9
gennaio 2001.

2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza i ricorrenti hanno articolato due
identici motivi di gravame, enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disposizioni di
attuazione al codice di procedura penale, nei limiti strettamente necessari per la
motivazione.

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confermando le statuizioni civili della sentenza appellata.

Con essi hanno dedotto la manifesta illogicità e contraddittorietà della
sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 606, comma 1, lettera e), codice di
procedura penale in relazione agli articoli 40,113, 590 codice penale (primo
motivo).
Sostengono che con il nuovo pronunciamento la Corte di rinvio ha ancora
una volta omesso di valutare un dato decisivo per il giudizio circa la posizione
processuale dei ricorrenti in relazione ai compiti istituzionali che essi svolgevano
all’epoca dei fatti (amministratore unico della “Mosis”l’Ottonello e mansioni di

maniera approfondita circa l’esistenza di un piano di antinfortunistico e
soprattutto sulla natura dell’infortunio stesso posto che i ricorrenti, per la
funzione rispettivamente ricoperta, avevano adempiuto ai propri oneri
antinfortunistici.
Con il secondo motivo di gravame lamentano come ancora una volta la
Corte territoriale non abbia analizzato l’incidenza del comportamento
ampiamente negligente tenuto nella circostanza dal lavoratore.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. I ricorsi sono inammissibili.

2. Nella sentenza rescindente si afferma che nessun dubbio sussiste in
ordine alla ricostruzione della vicenda: un collega di lavoro aveva chiesto al
Carvelli di prendere un martinetto; l’operaio lo aveva fatto, ma, nel rimuoverlo,
una parte dell’attrezzo gli aveva colpito la gamba. Il perito incaricato di
ricostruire la dinamica dell’accaduto aveva concluso che l’attività richiesta al
Carvelli era “semplice, facile ed esplicabile in assenza di rischio”.
Ciò nondimeno, i giudici di merito avevano ritenuto responsabili entrambi gli
imputati, addebitando loro di avere omesso di fornire adeguate informazioni
sull’uso dell’attrezzo “anche soltanto fornendo la documentazione di corredo
rilasciata dal costruttore”.
Tuttavia, la Corte di appello, nel condividere la valutazione del perito in
ordine alla semplicità e non rischiosità dell’attività richiesta al Carvelli, aveva
mostrato di ritenere insussistente il profilo di colpa specifica contestato agli
imputati.
Il citato articolo 4, comma 5, lett. e), del d.lgs. n. 626 del 1994 – la cui
violazione era stata addebitata agli imputati – implicava, invero, che il lavoratore
(che non avesse ricevuto adeguate istruzioni) accedesse a “zone” che lo
esponevano “ad un rischio grave e specifico”.

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capo cantiere della “Mosis”il Guida). La Corte avrebbe infatti dovuto indagare in

Se anche poi la Corte distrettuale avesse escluso che gli imputati avessero
violato detta regola, non avrebbe potuto comunque esimersi dall’effettuare in
concreto il giudizio di prevedibilità dell’evento, dovendo comunque escludersi
una prevedibilità in re ipsa del medesimo sicché, ritenuta insussistente la
contestata violazione della regola cautelare scritta, la Corte territoriale avrebbe
dovuto comunque approfondire il tema della colpa, segnatamente il tema della
regola cautelare non scritta asseritamente violata dagli imputati, nelle rispettive
posizioni.

rimproveri a titolo di colpa.
Occorreva perciò verificare, con un’indagine adeguata, se residuassero spazi
per la configurabilità di una colpa generica. Ma questa indagine era del tutto
mancante nel caso di specie.

3. Sulla base dei principi commessi con la sentenza di annullamento, la
Corte territoriale, in sede di giudizio di rinvio, ha affermato come nel caso in
esame fosse prevedibile che, se anche il lavoratore avesse espletato una
mansione non specificamente rischiosa, egli, non essendo stato reso edotto in
maniera sufficiente sia sotto il profilo concettuale e sia con una esemplificazione
pratica (istruzioni ritenute necessarie dal CTU: pagina 7 udienza 21 marzo
2006), avrebbe potuto infortunarsi anche compiendo condotte maldestre. Invero
il macchinario, che doveva essere azionato attraverso il martinetto, aveva una
configurazione particolare (la macchina era definita non innocua dall’ispettore
Bisio) e, conseguentemente, il lavoratore doveva posizionarsi dietro la macchina
e non lateralmente ad essa, cosicché era possibile riconoscere il pericolo che ad
una data condotta potesse conseguire la realizzazione di un fatto dannoso.
Invece il lavoratore, nelle operazioni di estrazione del martinetto, introdusse la
gamba nella fessura laterale della macchina in quanto non sapeva, perché
nessuno glielo aveva detto, che per operare in sicurezza avrebbe dovuto
posizionarsi dietro alla stessa. La manovra effettuata dal lavoratore, pur se
connotata da una qualche imprudenza, non poteva allora essere ricondotta ad un
comportamento abnorme tale da interrompere il nesso di causalità. Invero il
comportamento alternativo corretto quale l’istruzione esaustiva o un
affiancamento da parte di una persona esperta sarebbero stati idonei ad evitare
l’evento dannoso.
Da ciò la logica conclusione che il profilo di colpa era ascrivibile ad entrambi
gli imputati perché la regola cautelare era gestibile sia dal Guida, responsabile
della sicurezza nel cantiere, sia dall’Ottonello, datore di lavoro, che non aveva
predisposto alcuna delega in materia di prevenzione antinfortunistica e che,
dunque, rivestiva una posizione di controllo su tutta l’azienda.
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L’esclusione della colpa specifica non li rendeva, infatti, immuni da possibili

4. Il giudice di rinvio ha pertanto pienamente osservato i principi commessi
con la sentenza rescindente e non ha ripetuto gli errori che erano stati addebitati
alla sentenza cassata sicché i motivi di ricorso, da un lato, non si fanno carico di
destrutturare la ratio decidendi della sentenza impugnata e, dall’altro, sollevano,
rispetto alla ricostruzione operata, censure fattuali, come tali insuscettibili di
fondare il controllo di legittimità, o manifestamente infondate, laddove la Corte
di appello ha formulato, con adeguata motivazione priva di vizi logici, sia il

fatto (ossia sulla prevedibilità dell’evento, da intendersi nella colpa come la
possibilità, espressamente enunciata nella sentenza impugnata, di riconoscere il
pericolo che ad una data condotta possa conseguire la realizzazione di un fatto

non iure) e sia quello sulla addebitabilità di esso ai ricorrenti in considerazione
della specifica posizione dagli stessi rivestita.

5. Quanto al secondo motivo, il giudice di rinvio non doveva pronunciarsi sul
concorso di colpa del lavoratore, come si dolgono erroneamente i ricorrenti.
Mentre infatti nel giudizio di primo grado la questione del concorso di colpa
della vittima deve essere esaminata di ufficio, rilevando ai fini del trattamento
sanzionatorio, in grado di appello il punto rientra nella cognizione del giudice solo
se è oggetto del gravame, dovendo la questione essere specificamente devoluta
al giudice dell’impugnazione direttamente ovvero attraverso la deduzione di un
motivo riguardante la determinazione della pena e, se anche il motivo venga
devoluto al giudice dì appello e non accolto, la questione deve formare oggetto di
gravame nel giudizio di legittimità, in quanto la mancata devoluzione impedisce
alla Corte di cassazione di occuparsene cosicché, nel conseguente giudizio di
rinvio, si forma una preclusione al suo esame.
Nel caso di specie, la questione circa il concorso di colpa del lavoratore
esulava del tutto dal perimetro cognitivo del Giudice di rinvio non essendo stato
il punto devoluto alla Corte di cassazione con l’impugnazione della prima
sentenza emessa in grado di appello.

6. Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto
che i ricorsi debbano essere dichiarati inammissibili, con conseguente onere per i
ricorrenti, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., dì sostenere le spese del
procedimento.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data del 13
giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che i ricorsi
siano stati presentati senza “versare in colpa nella determinazione della causa di

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giudizio sulla configurazione della colpa, sia quello sulla rappresentabilità del

inammissibilità”, si dispone che ciascun ricorrente versi la somma, determinata
in via equitativa, di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento
delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa
delle Ammende.

Così deciso il 05/03/2015

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