Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27112 del 19/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27112 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: DI NICOLA VITO

SENTENZA

sul ricorso proposto da
Forlani Liviano, nato a Ferrara il 15-09-1954
avverso la sentenza del 19-07-2013 della Corte di appello di Bologna;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Giulio Romano che ha concluso
per il rigetto del ricorso•
udito per il ricorrente
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<-49 Q Data Udienza: 19/02/2015 CORTE DI CASSAZIONE Scheda di spoglio preliminare per l'Ufficio del Massimario R.G.N. 25200/2014 Sent. n. M (massima): il provvedimento è da massimare: ---> FINANZE E TRIBUTI – IN GENERE – Reati tributari – Dichiarazione fraudolenta mediante
uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – Dolo specifico – Configurabilità in
presenza di finalità extraevasive – Ammissibilità – Condizioni.
Conformi: //
Difformi //
MC (massima conforme): il provvedimento va nnassimato ripetendo o riformulando una
massima precedente conforme (il provvedimento ribadisce un principio di diritto conforme nella
giurisprudenza, ma che è opportuno riaffermare)
– – SENTENZA – DELIBERAZIONE – IMMEDIATEZZA – Assoluta impossibilità – Sospensione Assunzione di nuove prove in appello – Possibilità — Rinnovazione dell’istruttoria – Ordinanza Legittimità. -Violazione del principio del contradditorio – insussistenza – ragioni
Vedi Rv. 252749

SN (servizio novità): il provvedimento è da inserire anche nel servizio novità perché:
– riguarda una questione nuova;
– applica novità normative;
– segna un mutamento di indirizzo giurisprudenziale;
– interviene su questioni interpretative particolarmente controverse;
– riguarda questioni di rilevante impatto sociale;
– attiene a fattispecie concrete di rilevante interesse;
– solleva questione di legittimità costituzionale.

Annotazioni:
I massima a pag. 10
II massima (eventuale) 7
III massima (eventuale)
Altro: nessun precedente in termini sulla prima massima.

Visto del Presidente

Sezione: III
Udienza: 19/02/2015
Presidente: Mannino
Estensore: Di Nicola
Ricorrente: Forlani

RITENUTO IN FATTO

1. E’ impugnata la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di
appello di Bologna, in parziale riforma della pronuncia emessa dal tribunale di
Ferrara, ha rideterminato la pena nei confronti di Liviano Forlani, ritenuta la
recidiva semplice, in anni tre e mesi due di reclusione.
Al ricorrente si rimprovera il reato previsto dall’art.2 d.lgs. 10 marzo 2000,
n. 74 e artt. 110 e 81, comma 2, cod. pen., perché, in esecuzione di un

separatamente giudicata nella qualità di amministratore di diritto dall’I_ ottobre
2006), quale amministratore di fatto della Forlani Montaggi s.r.I., al fine di
evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture
apparentemente emesse dalla B.G. Impianti e Manutenzioni di Giorgio Battaglia
e da Multiservizi di Vigilante Bianchi, indicava fatture per operazioni inesistenti
nelle dichiarazioni annuali di dette imposte relative agli anni 2004, 2005 e 2006
(Unico 2005 – 2006 e 2007, dichiarazioni presentate il 30 ottobre 2005, il 30
ottobre 2006 e il 1 ottobre 2007).

2. Per l’annullamento dell’impugnata sentenza ricorre personalmente per
cassazione Liviano Forlani con sette motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi
dell’articolo 173 disposizione di attuazione al codice di procedura penale, nei
limiti strettamente necessari per la motivazione, deducendo:
1) l’inosservanza di norma processuale stabilita a pena di nullità (art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen.) sul rilievo che la Corte di appello, dopo aver
dichiarato chiuso il dibattimento ed essersi ritirata in Camera di Consiglio per
deliberare, ha pronunciato l’ordinanza del 25 maggio 2012 (impugnata,
congiuntamente alla sentenza, per violazione dell’art. 603, comma 5, cod. proc.
pen.) ordinando la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale senza che, ai sensi
dell’art. 603, comma 5, cod. proc. pen., il suddetto provvedimento di
rinnovazione fosse emesso nel contraddittorio delle parti, conseguendo da ciò la
nullità dell’ordinanza denunciata, in relazione agli artt. 178, comma

1, lett. c) e

180, cod. proc. pen., nonché la nullità di tutti gli atti processuali successivi e
dipendenti;
2) la nullità della suddetta ordinanza pronunciata dalla Corte di appello
all’udienza del 25 maggio 2012, cod. proc. pen., e la conseguente nullità di tutti
gli atti processuali successivi e dipendenti (art. 606, comma 1, lett. c), cod. proc.
pen.) nonché l’inutilizzabilità della deposizione assunta in esecuzione
dell’impugnata ordinanza e delle relative produzioni documentali (art. 606,
comma 1, lett. c), cod. proc. pen.).

2

medesimo disegno criminoso ed in concorso con Federica Forlani (quest’ultima

Ribadisce il ricorrente che la Corte di appello, dopo le conclusioni delle parti
in ordine all’impugnazione della sentenza di primo grado, ha dichiarato chiuso il
dibattimento, si è ritirata in Camera di Consiglio per deliberare, è rientrata
nell’aula di udienza ed ha pronunciato l’ordinanza di rinnovazione dell’istruttoria
dibattimentale. L’art. 598 cod. proc. pen., estende l’applicabilità delle norme che
disciplinano il processo di primo grado al giudizio di appello, con la conseguenza
che, dovendosi applicare la disposizione prevista dall’art.525, comma 3, cod.
proc. pen., in base alla quale la deliberazione non può essere sospesa se non in

radicherebbe la sussistenza dei vizi denunciati;
3) la mancanza e la manifesta illogicità della motivazione dell’impugnata
ordinanza del 25 maggio 2012 (art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.),
laddove la Corte di appello di Bologna ha affermato di ritenere
rinnovare parzialmente l’istruttoria”

“necessario

attraverso l’escussione dell’agente p.g.,

Giacobbe, emettendo sostanzialmente una pronuncia priva di motivazione e
manifestamente illogica in quanto avrebbe dovuto spiegare i motivi per cui, in
relazione al materiale probatorio acquisito in primo grado, la Corte territoriale si
trovava nell’assoluta impossibilità di decidere allo stato degli atti e le ragioni per
cui la deposizione del citato agente di p.g. e le relative circostanze oggetto di
prova avrebbero consentito di superare tale impossibilità e, invece, si è limitata a
precisare di aver ritenuto necessario rinnovare parzialmente l’istruttoria,
redigendo, quindi, una motivazione apparente costituita dalla semplice
trascrizione del testo dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen., senza indicare le
ragioni sottese a tale decisione, rendendo, al tempo stesso, detta motivazione
anche manifestamente illogica, laddove non consente di comprenderne i relativi
passaggi logico-giuridici che l’hanno determinata;
4)

la mancanza, la manifesta illogicità e la contraddittorietà (art.606,

comma 1, lett. e), cod. proc. pen). della motivazione dell’impugnata sentenza in
ordine all’effettiva indicazione, nelle dichiarazioni fiscali, degli elementi passivi
fittizi corrispondenti alle contestate fatture per operazioni inesistenti.
Assume il ricorrente come, a pag. 9 della motivazione dell’impugnata
sentenza, la Corte di appello dia atto dell’eccezione formulata dalla difesa, in
sede di discussione, secondo la quale gli importi di cui al rigo RS35 per le
imposte dirette e VF9 per l’I.V.A., dei rispettivi anni, erano superiori
all’imponibile di cui alle contestate fatture per operazioni inesistenti e che,
pertanto, non vi era prova adeguata dell’inserimento, nelle dichiarazioni fiscali in
contestazione, di elementi passivi fittizi corrispondenti alle fatture di cui al capo
c) dell’imputazione, essendo necessaria a tal fine la controprova costituita dalla
somma totale delle fatture rappresentative dei costi e dalla coincidenza di detto
ammontare con i valori indicati nelle dichiarazioni fiscali. In risposta a queste

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caso di assoluta impossibilità, l’illegittima sospensione, nella specie disposta,

argomentazioni difensive, la Corte territoriale, a pag. 9 della motivazione
dell’impugnata sentenza, ha escluso la necessità di detta controprova ritenendo
dimostrato in modo idoneo e univoco l’inserimento delle fatture false nelle
dichiarazioni fiscali in questione ma non ha indicato le ragioni per cui ha
considerato univoci e convergenti gli elementi probatori enunciati; in particolare,
non avrebbe indicato la massima di esperienza in base alla quale la compilazione
di fatture false, la loro registrazione nelle scritture contabili aziendali ed il loro
pagamento con restituzione del denaro, comporti, secondo id quod plerumque

infatti, ha dedotto il supposto inserimento delle fatture nelle dichiarazioni fiscali
(fatto ignoto) dalla materiale compilazione di esse, dalla loro registrazione nelle
scritture contabili aziendali e dal loro pagamento con restituzione del denaro
(fatto noto), ma non ha indicato la massima di esperienza su cui si fonda tale
ragionamento logico-giuridico. Non ha indicato cioè il criterio di verosimiglianza
in base al quale è certo o altamente probabile, secondo la migliore scienza ed
esperienza umana, che un soggetto, che abbia compilato fatture ideologicamente
false, le registri nelle scritture contabili aziendali, le paghi con restituzione del
denaro e infine le indichi anche nelle relative dichiarazioni fiscali.
Inoltre, sotto questo profilo, la motivazione dell’impugnata sentenza si
presenterebbe anche manifestamente illogica poiché ritiene provato, in modo
univoco e convergente, l’inserimento delle fatture per operazioni inesistenti nelle
dichiarazioni fiscali in contestazione, omettendo ogni valutazione degli indizi
secondo criteri di verosimiglianza che consentano di giungere ad affermare detta
univocità e convergenza. Infine, sempre sotto questo profilo, la Corte bolognese
avrebbe affermato che la gestione in nero della retribuzione dei lavoratori
dipendenti avrebbe consentito una rilevante evasione contributiva, con
conseguente vantaggio economico personale per l’imprenditore.
Osserva allora il ricorrente come sarebbe del tutto contraddittorio sostenere
che gli elementi istruttori, inerenti le false fatturazioni ed il loro pagamento con
restituzione del denaro, portino a ritenere univocamente provato il loro
successivo inserimento nelle rispettive dichiarazioni fiscali e poi affermare che la
gestione in nero delle retribuzioni dei dipendenti consente una rilevante evasione
contributiva, con conseguente vantaggio economico personale dell’imprenditore,
poiché quest’ultima considerazione esclude che alla compilazione delle fatture
false, alla loro registrazione nelle scritture contabili aziendali e al loro pagamento
con restituzione, debba seguire univocamente il loro inserimento nelle rispettive
dichiarazioni fiscali, avendo la Corte stessa individuato un altro scopo – ossia
l’evasione contributiva ed il conseguente vantaggio economico per l’imprenditore
– che si realizza proprio mediante le false fatturazioni ed il loro pagamento con

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accidit, l’inserimento delle stesse nelle dichiarazioni fiscali. La Corte di appello,

restituzione del denaro, a prescindere perciò dal loro successivo inserimento
nelle dichiarazioni fiscali;
5) la manifesta illogicità e la contraddittorietà rispetto agli atti del processo
della motivazione dell’impugnata sentenza (art. 606, comma 1, lett. e), cod.
proc. pen.), in ordine all’accertamento dell’elemento soggettivo del reato
contestato al capo c) dell’imputazione, avendo la Corte di appello affermato che
la finalità perseguita dal ricorrente in relazione al fatto contestato fosse
principalmente quella di comprimere fittiziamente gli utili dell’impresa – cui si

per pagare, parzialmente, in nero i dipendenti che formalmente o materialmente
lavoravano per la società Forlani Montaggi s.r.l. — e, così sostenendo, non ha
escluso che fosse sussistente la prova che detti fondi venissero usati
esclusivamente per i pagamenti dei dipendenti (e non già per fini di evasione
fiscale);
6) l’erronea interpretazione ed applicazione della legge penale (art. 606,
comma 1, lett. b), cod. proc. pen., relativamente all’elemento soggettivo del
reato di cui all’art.2, d.lgs. n. 74 del 2000.
Secondo il ricorrente la Corte di appello ha erroneamente sostenuto che
l’elemento psicologico del reato di cui all’art. 2, d.lgs. n. 74 del 2000, ossia il fine
di evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, sussiste anche quando
detto scopo viene perseguito dal soggetto attivo unitamente ad altra finalità,
ritenendo perciò compatibile il dolo specifico di evasione con la presenza di altri
scopi perseguiti dall’autore del reato mediante la condotta incriminata, con la
conseguenza che la finalità “extra-evasiva” escluderebbe il dolo specifico di
evasione solo quando essa sia “esclusivamente extra-evasiva”, ossia l’unica
effettivamente perseguita dal soggetto attivo;
7) la motivazione contraddittoria dell’impugnata sentenza (art.606, comma
1, lett. e), cod. proc. pen.) in ordine alla mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche e alla quantificazione della pena base, avendo la Corte del
merito affermato che il ricorrente non meritasse la concessione delle circostanze
attenuanti generiche, attesa la gravità dei fatti ed il grado intenso del dolo
connaturato alla costruzione di un sistema illecito articolato e ben organizzato.
Per le stesse ragioni, la Corte di appello ha poi ritenuto la congruità della
quantificazione della pena base sul rilievo che il ricorrente, oltre alla finalità
primaria di abbattere fittiziamente gli utili d’impresa, avesse perseguito anche
quella di costituire fondi con cui pagare in nero i dipendenti ed apparendo
evidente la contraddittorietà della motivazione in ordine a tale aspetto, perché,
da una parte, si evidenzia la gravità dei fatti per cui si procede e, dall’altra, si
individua una finalità, effettivamente perseguita e realizzata dal ricorrente,
ulteriore e diversa rispetto a quella di evasione, ossia il pagamento in nero dei

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associava quella di costituire riserve occulte dalle quali veniva attinta la provvista

dipendenti, che va necessariamente a ridurre la gravità dei fatti in quanto
esclude, quanto meno in parte, il lucro personale.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è infondato nei limiti e sulla base delle considerazioni che

2. I primi tre motivi, siccome si rivolgono nei confronti dell’ordinanza del 25
maggio 2012 impugnata unitamente alla sentenza gravata, possono essere
congiuntamente esaminati in quanto tra loro strettamente connessi.
2.1. Essi sono infondati.
2.2. In via preliminare, va osservato come il potere di disporre – sia a
richiesta di parte (art. 603, comma 1, cod. proc. pen., potere subordinato alla
non decidibilità allo stato degli atti) che ex officio (art. 603, comma 3, cod. proc.
pen., potere subordinato al più rigoroso requisito dell’assoluta necessità) – la
rinnovazione istruttoria, in sede di giudizio di appello, si sottrae, in ragione della
sua natura discrezionale, al sindacato di legittimità, salvo l’obbligo del giudice di
argomentare le proprie decisioni, secondo i parametri normativi di riferimento,
con congrua motivazione (v. Sez. 4, n. 4981 del 05/12/2003,dep. 06/02/2004,
P.G. in proc. Ligresti ed altri, Rv. 229666).
Peraltro giova precisare come le Sezioni Unite abbiano da tempo chiarito che
il sindacato che la Corte di cassazione può esercitare in relazione alla correttezza
della motivazione di un’ordinanza di rinnovazione del dibattimento non può mai
essere esercitato sulla concreta rilevanza dell’atto o della testimonianza da
acquisire, ma deve esaurirsi nell’ambito del contenuto esplicativo del
provvedimento adottato (Sez. U, n. 2110 del 23/11/1995, dep. 23/02/1996, P.G.
in proc. Fachini, Fachini e altri, Rv. 203764).
Nel caso di specie, la Corte territoriale, esplicitando le ragioni dell’intervento
officíoso, ha motivatamente disposto la rinnovazione istruttoria — con ordinanza
del 25 maggio 2012 emessa ai sensi dell’articolo 603, comma 3, codice di
procedura penale — al fine di esaminare, nel contraddittorio delle parti, l’ufficiale
di polizia giudiziaria che aveva svolto le indagini in ordine all’utilizzo delle fatture
per operazioni inesistenti, di cui alle dichiarazioni d’imposta indicate nei capi di
imputazione, nonché sul tema dell’occultamento e la distruzione della
documentazione fiscale.
La disposizione ex articolo 603, comma 3, codice di procedura penale, pur
simmetrica rispetto a quella di cui all’articolo 507 stesso codice, non è affatto
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seguono.

subordinata a limiti cronologici, potendo intervenire in qualsiasi momento della
procedura e dunque sia prima che dopo la discussione, senza che ciò comporti,
qualora intervenga nel corso della deliberazione e all’esito della discussione
finale, la violazione dell’art. 525, comma 3, codice di procedura penale, avendo
questa Corte chiarito che la sospensione della deliberazione della sentenza per
assoluta impossibilità, prevista dall’art. 525, comma terzo, cod. proc. pen., non
esclude l’ipotesi che il giudice dopo la chiusura del dibattimento adotti un
provvedimento non definitorio, disponendo con ordinanza l’assunzione di nuove

10/01/2012, Marcoccio, Rv. 252749).
In siffatti casi, l’ordinanza istruttoria dà appunto conto dell’impossibilità della
definizione della causa e, allorquando l’ordinamento processuale abilita il giudice
a pronunciarla d’ufficio (art. 603, comma 3, cod. proc. pen.), la pubblica lettura
equivale alla sua emanazione nel contraddittorio delle parti (art. 603, comma 5,
cod. proc. pen.), non determinando in esse alcuna incertezza quanto al materiale
di discussione e facultando le stesse ad interloquire immediatamente sulla sua
legittimità, con la conseguenza che, in tal caso, non si crea alcuna situazione
contraria al sistema in relazione al rispetto del principio del contraddittorio.
Piuttosto la parte, che si ritenga lesa dal disposto “supplemento istruttorio”
per una ipotetica violazione del principio del contraddittorio deve, ricorrendone le
condizioni, eccepire illico et immediate la invalidità dell’atto, chiedendo la revoca
dell’ordinanza e dunque della prova ammessa nella postulata assenza di
contraddittorio, determinandosi in siffatti casi una nullità a regime intermedio da
dedursi quindi nel termine di cui all’art. 182, comma secondo, cod. proc. pen.,
con la conseguenza che, ove detta nullità si verifichi in presenza della parte che
aveva interesse a dedurla, il silenzio di quest’ultima equivale a rinuncia,
derivando da ciò la sanatoria della nullità ai sensi dell’art. 183, comma primo,
lett. a), cod. proc. pen. (v. Sez. 3, n. 24302 del 12/05/2010, L., Rv. 247878).
Invece, e conclusivamente, la prospettata nullità, come lo stesso ricorrente
ammette (pag. 5 del ricorso), è stata dedotta con il ricorso per cassazione e
dunque tardivamente perché già coperta da una intervenuta sanatoria.

3. Il quarto motivo è manifestamente infondato perché il ricorrente non si è
minimamente confrontato con la ratio decidendi della sentenza impugnata in
parte qua, limitandosi ad affermare, con asserzioni avulse dalle spiegazioni che
la Corte territoriale ha ampiamente fornito, come fosse insussistente la prova
penale circa l’inserimento delle fatture false nelle dichiarazioni dei redditi
presentate ai fini fiscali.
Va ribadito quanto già affermato da questa Corte nel senso che il reato di
dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per
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prove per l’insufficienza di quelle esistenti in atti (Sez. 3, n. 7886 del

operazioni inesistenti (art. 2 D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74) è integrato dalla
registrazione in contabilità delle false fatture o dalla loro conservazione ai fini di
prova, nonché dall’inserimento nella dichiarazione d’imposta dei corrispondenti
elementi fittizi, condotte queste ultime tutte congiuntamente necessarie ai fini
della punibilità (Sez. 3, n. 14855 del 19/12/2011, dep. 18/04/2012, Malagò, Rv.
252513).
Sul punto, la Corte di appello, con ineccepibile motivazione, ha ritenuto
come, sulla base delle dichiarazioni testimoniali dell’ufficiale di polizia giudiziaria

stato ampiamente dimostrato il fatto da provare ossia che, per ogni anno di
imposta, alla registrazione contabile, presupposta all’indicazione delle fatture
nelle dichiarazioni a fini fiscali (i dati sono riportati in sentenza alle pagine 9 e
10), corrispondesse l’inserimento dei dati fraudolenti nelle dichiarazioni fiscali
sulla base di una comparazione tra fatture fittizie, il loro importo e l’importo
indicato nelle dichiarazioni al rigo RS35 e al rigo VF9.
La Corte territoriale ha ritenuto come tali dati (riportati in sentenza) ed il
contesto, nel quale era maturata la frode e del tutto pretermessi dal ricorrente,
fossero già di per sé pienamente indicativi dell’insussistenza del dubbio
rappresentato circa il prospettato omesso inserimento delle fatture fittizie nelle
dichiarazioni fiscali.
La Corte felsinea ha spiegato che, a fronte di una massiccio e sistematico
ricorso all’utilizzo di fatture per operazioni inesistenti, le fatture stesse, con
riferimento in specie alla BG impianti, prima di essere utilizzate, venivano
addirittura stampate nello stabilimento della società di capitali facente capo al
Forlani; il denaro per i fittizi pagamenti delle stesse erano prelevati dai conti
della società di capitali e restituiti alla stessa. Infine era il Forlani (d’intesa con
Caselli quanto a BG impianti) a decidere se assumere formalmente i dipendenti
come Forlani Montaggi srl oppure come BG impianti o ancora come Multiservizi di
Bianchi Vigilante ovvero l’altra società cartiera. Circa le registrazioni contabili di
comodo (logicamente preliminari all’indicazione di costi fittizi nelle dichiarazioni)
l’impiegata amministrativa di Forlani Montaggi, Elena Fantini, ha riferito come
fosse appunto Liviano Forlani ad impartire precise direttive in tal senso.
E’ dunque dall’insieme di tali convergenti elementi di prova che la Corte
territoriale ha tratto la dimostrazione che gli importi formalmente indicati nelle
dichiarazioni presentate a fini fiscali includessero anche quelli delle fatture in
contestazione.
Nel pervenire a tale conclusione il Giudice di appello ha fatto buon governo
delle regole che disciplinano il procedimento probatorio, con la conseguenza che
la sentenza impugnata, per i rigorosi approdi cui è giunta ed in precedenza
riportati, non merita le cesure che le vengono mosse.
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(Ten. Giacobbe) e della documentazione acquisita al corredo processuale, fosse

4. Anche il quinto motivo è manifestamente infondato.
Il ricorrente assume come dall’istruttoria dibattimentale sia emerso che il
fine dell’impresa, e per essa dell’imputato, fosse quello di procurarsi la provvista
per pagare in nero i dipendenti: dunque non un dolo specifico diretto di evasione
di imposte, ma una “finalità extraevasiva” comprensiva dell’accettazione del
rischio di evasione ovvero di una forma di (insufficiente) dolo eventuale.
La Corte territoriale ha chiarito come siffatta premessa sia, in fatto,

dell’udienza di primo grado del 17 novembre 2010, ha riferito come la finalità
primaria, che si collegava all’illecita condotta sistematica realizzata, era quella di
compressione fittizia dell’utile di impresa, cui si associava quella di costituire
(consistenti) fondi in nero.
Da questi fondi in nero era anche attinta la provvista per pagare,
parzialmente, in nero, le competenze spettanti ai lavoratori che, formalmente o
materialmente, lavoravano per la società di capitali gestita dall’imputato (p. 8).
Secondo la Corte distrettuale non vi è alcuna prova che i fondi neri fossero
usati solo per i pagamenti ai dipendenti e da ciò ha tratto il logico convincimento
che la finalità primaria fosse quella di evasione, cui si collegava la costituzione di
fondi neri, la quale, come tale, si prestava a vari usi, compreso quello del
pagamento in nero di parte delle retribuzioni, sicché i pagamenti in nero con il
sistema suddetto non comportavano solo il rischio, ossia l’eventualità
dell’evasione, ma la necessità logica della stessa, sussistendo perciò la prova
della finalità di evasione fiscale di tutto I sistema fraudolento, di cui l’imputato
era, secondo i giudici del merito, il regista indiscusso.
Al cospetto di una siffatta motivazione, adeguata e priva di vizi di logicità,
non possono avere ingresso in sede di legittimità le formulate eccezioni
difensive, perché esse tendono sostanzialmente a prospettare una ricostruzione
del fatto antitetica a quella motivatamente accertata dai giudici di merito.
Invero, come questa Corte ha più volte affermato l’indagine di legittimità sul
discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il
sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa
volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato
argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di
verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è
avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle
acquisizioni processuali. Esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello
di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui
valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa
integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il

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completamente errata, nel senso che il teste Giacobbe, nel suo esame a p. 6

ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (ex multis, Sez.
Un. n. 6402 del 2.7.1997, Dessimone, Rv. 207944).

5. Il sesto motivo è infondato.
Quando lo specifico dolo di evasione della condotta tipica si coniuga con una
distinta e autonoma finalità extratributaria, sempre che quest’ultima non sia
perseguita dall’agente in via esclusiva, non vi sono serie ragioni giuridiche per
dubitare della compatibilità del dolo specifico di evasione fiscale rispetto ad una

la prospettazione del ricorrente, nell’esigenza di procurarsi, attraverso le false
fatturazioni, riserve occulte per pagare in nero le retribuzioni dei dipendenti).
L’apprezzamento fattuale della valenza di tale relazione resta peraltro
riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato
(come nella specie), non è censurabile dal giudice di legittimità.
La Corte territoriale ha infatti evidenziato, come nella specie, fossero del
tutto evidenti i vantaggi fiscali derivati dal sistema delittuoso posto in essere dal
ricorrente in piena comunione d’intenti con l’attività di altre cartiere.
Ne consegue che il dolo specifico (ossia il fine di evadere le imposte sui
redditi o sul valore aggiunto) richiesto per l’integrazione dalla figura di reato
prevista dall’art. 2 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 sussiste anche quando ad esso si
affianchi una distinta ed autonoma finalità extraevasiva non perseguita
dall’agente in via esclusiva, con la precisazione che il relativo accertamento è
riservato al giudice di merito e, se adeguatamente e logicamente motivato, è
incensurabile in sede di legittimità.

6. Il settimo motivo è palesemente inammissibile.
Con logica ed adeguata motivazione, insuscettibile pertanto essere
sottoposa a sindacato di legittimità, la Corte di appello ha spiegato come
l’argomento speso dal ricorrente per rivendicare la concessione delle attenuanti
generiche, sul rilievo cioè che egli agisse, in tal modo, per pagare le retribuzioni
ai dipendenti e non per un lucro personale, fosse del tutto inconsistente
sull’indiscutibile presupposto che gestire, almeno in parte, la retribuzione di
lavoratori dipendenti in nero consente anche una rilevante evasione contributiva,
abbatte i costi del lavoro in modo illegittimo, costituisce un indubbio vantaggio
economico personale per l’imprenditore.
Su queste basi – senza che rilevi, ai fini del ridimensionamento
dell’addebito, l’esistenza di una concorrente finalità extratributaria rispetto ad
una preponderante finalità evasiva – la Corte del merito ha correttamente
ritenuto il ricorrente immeritevole della concessione delle attenuanti generiche
attesa anche la gravità e la sistematicità dei fatti in contestazione e il grado

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concorrente finalità extraevasiva (che, nella specie, sarebbe consistita, secondo

intenso del dolo connaturato alla costruzione di un sistema, che richiedeva due
società cartiere e una ben organizzata attività di registrazione contabile di
copertura.

7. Il ricorso va pertanto rigettato con conseguente condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso il 10/02/2015

P.Q.M.

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