Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27111 del 03/02/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27111 Anno 2015
Presidente: MANNINO SAVERIO FELICE
Relatore: MULLIRI GUICLA

SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
Minniti Domenica Maria, nata a Reggio Calabria il 4.4.45
Cardillo Paolo, nato a Villa San Giovanni il 10.5.50
Latella Guglielmo, nato a Reggio Calabria 1’11.1.55
imputati art. 589 c.p.

avverso la sentenza della Corte d’Appello di Messina del 18.12.13

Data Udienza: 03/02/2015

Sentita, in pubblica udienza, la relazione del cons. Guida Mùlliri;
Sentito il P.M., nella persona del P.G. dr. Fulvio Baldi, che ha chiesto il rigetto del
ricorso;
Sentiti i difensori degli imputati avv. Carlo Morace, per Minniti e Cardillo, e avv. Clara
Veneto, in sostituzione dell’avv. Armando Veneto, per Latella, che hanno insistito per
l’accoglimento dei rispettivi ricorsi;
Sentito il difensore della P.C., avv. Annamaria Tripepi, che ha insistito per il rigetto dei
ricorsi;

RITENUTO IN FATTO

1. Vicenda processuale e provvedimento impugnato – Gli odierni ricorrenti sono
stati accusati di avere, la Minníti, quale a.u. della casa di cura Caminiti S.r.l., Cardillo, direttore
sanitario e, Latella, medico di turno del PS della predetta clinica – cooperato colposamente a

P

2. Motivi del ricorso – Avverso tale decisione, gli imputati hanno proposto ricorso,
tramite i rispettivi difensori deducendo:
Latella
1) violazione di legge perché la Corte si è uniformata solo apparentemente ai dettami
della sentenza di rinvio pronunciata dalla S.C.. In realtà, essa si è ispirata al criterio della
“possibilità” laddove parla (f. s) di “elevato grado di credibilità razionale” e di “possibilità di
sopravvivenza”.
In realtà, le difficoltà espresse dalla stessa perizia d’ufficio esprimono solo la
impossibilità di dare, al quesito posto dalla Corte di Cassazione, una risposta scientifica in
termini di elevata credibilità razionale. La qual cosa avrebbe dovuto tradursi in un’assoluzione.
Il ricorrente critica, quindi, quella parte della sentenza (f. 13) nella quale, a suo dire, si
confondono l’aspetto scientifico con la regola probatoria, in tal modo, stravolgendo la regola di
giudizio di cui all’art. 533 c.p.p..
Anche per quel che attiene la contestazione relativa alla mancata richiesta di intervento
di un rianimatore, secondo il ricorrente, si incorre nella medesima incertezza non essendosi
parametri per stabilire il grado di efficacia salvifica del suo ipotizzato intervento;
2) violazione di legge. Per quanto attiene alla contestata imperizia nel tentativo
di “intubazione”, si fa notare che la stessa sentenza ha riconosciuto che le cure ed i farmaci
somministrati dal dott. Latella rispondono alla corretta lex artis e che le difficoltà incontrate

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causare la morte di una donna al settimo mese di gravidanza e del feto che ella portava in
grembo.
In particolare, detto in estrema sintesi, le rispettive colpe si sarebbero radicate quando
la p.o. Tiziana Ottanà, di 29 anni, al settimo mese di gravidanza, colta da una crisi asmatica, si
presentò con il marito al P.S. della clinica privata “Casa di Cura Caminiti” gestita da una
società a r.l. della quale la Minniti era amministratore unico e, Cardillo, era il direttore
sanitario.
Presso il Pronto Soccorso, (che era chiuso e che fu aperto dopo che era stato suonato il campanello)
la donna fu visitata dal dott. Latella il quale le praticò le prime cure (intubazione) ma che, visto il
peggiorare delle condizioni, chiese al personale infermieristico di predisporre
l’accompagnamento della donna. Siccome la casa di cura non disponeva di ambulanza, fu
richiesto un mezzo a terzi. Il trasferimento avvenne circa un’ora dopo il primo ricovero verso
gli ospedali riuniti di Reggio Calabria dove però la signora Ottanà ed il feto non giunsero vivi.
Al dott. Latella è stato ascritto di non avere eseguito correttamente il tentativo di
intubazione della donna causandole, anzi, per l’imperizia con la quale aveva compiuto la
manovra, un aggravamento dello spasmo faringeo con conseguente edema seguito da arresto
cardiaco. Inoltre gli si ascrive anche la colpa di non aver richiesto l’intervento di un anestesista
che, sebbene non in servizio in quel momento, era reperibile presso la propria abitazione
distante 500 mt. dal nosocomio.
Alla Minniti ed al Cardillo si ascrive la mancata predisposizione di un servizio di “pronto
ed assistito trasferimento” dei malati verso strutture ospedaliere maggiormente attrezzate. In
particolare, di non avere avuto a disposizione un’ambulanza (tanto da doverla richiedere ad un terzo)
e comunque, la vetustà del veicolo usato nella specie privo delle attrezzature per la
rianimazione (che dovevano essere caricate di volta in volta con conseguente perdita di tempo).
Una precedente sentenza della Corte d’appello aveva dichiarato la estinzione per
prescrizione del reato e condannato gli imputati al risarcimento di danni, da liquidarsi in
separata sede, in favore delle parti civili.
La Corte di Cassazione, sez. IV, investita dell’impugnazione di tale decisione, in
accoglimento dei ricorsi degli imputati, aveva annullato con rinvio muovendo delle censure in
punto di motivazione circa il nesso causale.
Con la sentenza qui impugnata, la Corte d’appello, dopo avere espletato nuova perizia,
ha dichiarato n.d.p. nei confronti degli imputati per essere il reato loro ascritto estinto per
prescrizione.

nell’esecuzione della manovra discendono dalle peculiarità del caso sì che, al massimo, è
ravvisabile una colpa lieve.

1) violazione di legge perché i giudici di secondo grado avrebbero dovuto
applicare la regola di giudizio dettata dalle S.U. Franzese, anziché richiamare il criterio della
“possibilità” o delraumento del rischio” su cui si era fondata la sentenza in precedenza
annullata.
Si sottolinea come, nel caso di specie, i periti di ufficio e quelli di parte civile abbiano
individuato nell’insorgenza dell’edema polmonare l’evento terminale della crisi con il risultato
della impossibilità di una prognosi in termini di “elevata probabilità”.
A dimostrazione di ciò, si ricorda che la stessa sentenza, a f. 5. parla solo di “possibilità”
di sopravvivenza ed, a f. 10. ha escluso che la condotta del dott. Latella sia stata influenzata
dall’assenza dell’ambulanza ed, infine, a f. 12, nuovamente confonde gli addebiti visto che
afferma la responsabilità dei ricorrenti sulla base di una circostanza, mai verificatasi, della
chiamata del rianimatore da parte del medico. In pratica, da un lato, si addebita al sanitario di
non aver chiamato un rianinnatore e, dall’altro, si attribuisce la responsabilità dell’evento agli
organi amministrativi della clinica sul rilievo che, se il medico avesse chiamato il rianimatore e
la clinica avesse avuto un’ambulanza, vi sarebbero state maggiori possibilità di sopravvivenza.
I ricorrenti ricordano, altresì come l’assenza di nesso causale si evinca anche da quel
passaggio motivazionale (f. 12) nel quale si evidenzia che l’edema polmonare, già intervenuto
quando è stata chiamata l’ambulanza, ha determinato l’aggravamento in termini tali da
rendere improbabile l’evento salvifico e si conclude, in buona sostanza, evidenziando come gli
stessi periti abbiano escluso che la presenza di un’ambulanza avrebbe potuto impedire
l’evento.

I ricorrenti concludono invocando l’annullamento della sentenza impugnata.

La difesa di p.c. ha depositato successivamente una memoria nella quale insiste per il
rigetto dei ricorsi.

CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Motivi della decisione –

I ricorsi sono infondati e devono essere respinti.

3.1. Per comprendere l’argomentare che segue, è bene premettere il richiamo al
quesito che questa S.C., IV sezione, aveva posto ai giudici di appello nel rinviare loro gli atti
dopo la prima sentenza di appello.
Esso era stato chiaramente puntualizzato nei seguenti termini: quanto al dott. Latella,
«se, con una tempestiva e corretta (anche da parte di un medico rianimatore prontamente
intervenuto) manovra di intubazione, Ottanà Cristiana si sarebbe salvata in termini di elevata
credibilità razionale e non solo in termini di probabilità»; quanto agli imputati Minniti e
Cardillo, «se la predisposizione di strutture idonee ad evitare il ritardo nell’accoglienza della
paziente, nell’arrivo dell’ambulanza presso il pronto soccorso e quello derivante dalla necessità
di caricare la strumentazione, avrebbe consentito nei medesimi termini di elevata credibilità
razionale di far pervenire la paziente all’ospedale di Reggio Calabria in tempo per salvarle la
vita, praticandole le manovre non riuscite presso il pronto soccorso di Villa San Giovanni» (f.
31).

Avendo ciò presente, può subito affermarsi che la sentenza impugnata si è allineata
perfettamente ai dettami della decisione di rinvio acquisendo, tramite perizia, ulteriori elementi
di valutazione ed interpretandoli in modo tale da dare risposta compiuta ai quesiti in
allineamento anche con i dettami della nota “sentenza Franzese” (su. 10.7.02, Franzese, Rv. 222139)
secondo cui, nel reato colposo omissivo improprio, il rapporto di causalità tra omissione ed
evento non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma
«deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica, sicché esso è

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Minniti e Cardillo

paziente).

Nello specifico, si è, appunto, assistito ad una serie impressionante di mancanze che
hanno inizio sin dal sopraggiungere della p.o. al pronto soccorso il cui servizio era tanto poco
attivo da risultare chiuso ( i’. 3 sent. Cass. IV sez.) e richiedere che fosse suonato il campanello, con
conseguente attesa.
Subentra, quindi, la posizione del dott. Latella la cui imperizia è risultata conclamata
anche dai periti nominati nel secondo grado di giudizio i quali hanno evidenziato la mancata
somministrazione di sedativi, l’errata manovra di intubazione ed il mancato ricorso ad un
esperto (l’anestesista rianimatore) pure agevolmente rintracciabile. Infine, il ricorso del dott. Latella
alla scelta di trasferire la paziente in altro nosocomio più attrezzato è stata frustrata dal
concorso di altre manchevolezze ascrivibili, questa volta, alla struttura nella quale egli
operava: assenza di un’ambulanza, necessità di acquisirne una, con ulteriore decorso di tempo
ed ottenimento, comunque, solo di un veicolo vetusto e male equipaggiato (vista la presenza di
strumenti per la rianimazione necessitanti di tempi di ricarica). Il tutto, ha ovviamente comportato
altra perdita di tempo risultata esiziale.
Sintetizzata la vicenda in questi termini, appare di una chiarezza estrema la esistenza
del concorso di corresponsabilità colpose di più e diversi soggetti sì che l’evento morte è
ricollegabile, in termini prossimi alla certezza, alle manchevolezze di tutti gli odierni ricorrenti,
ciascuno dei quali, in rapporto alle rispettive competenze, ha dato un significativo contributo
causale.
3.2. Venendo, infatti, ad esaminare più in dettaglio la posizione del ricorrente Latella,

giova rammentare che i giudici di secondo grado hanno – grazie alle indicazioni avute dai periti innanzitutto puntualizzato la situazione di fatto precisando che la signora Ottanà sopraggiunse
al P.S. (f. 7) in modo autonomo «cosciente, con eloquio razionale, con una respirazione
spontanea difficoltosa ma ancora valida e pertanto con un rischio di morte molto remoto».
Replicando a specifici rilievi difensivi, i periti nominati in appello hanno, quindi, concluso che, di
fronte alla paziente in quelle condizioni generali (e valutato anche il suo stato di gravidanza), le
strategie di intervento «con elevata e razionale probabilità salvifica» erano plurime ma esse
erano state tutte colpevolmente omesse.
Il primo rilievo che la Corte muove al dott. Latella (tramite le parole dei periti- f. 8) è quello di
non avere richiesto l’intervento di uno specialista anestesista, tanto più se si considera che lo
stesso dott Latella ha ammesso che non aveva mai, in precedenza, praticato una
tracheotomia.
L’omissione contestabile al dott. Latella è anche quella di non avere sedato la paziente
posto che, al contrario, una sedazione profonda «non solo non è controindicata ma essa
diviene assolutamente necessaria, sia preliminarmente all’esecuzione dell’intervento, si
durante la successiva ventilazione meccanica». Nel dire ciò, è stato anche sottolineato che è
irrilevante l’obiezione difensiva secondo cui la sedazione avrebbe potuto essere rischiosa per la
possibile insorgenza di secrezioni che avrebbero reso difficile l’intervento del rianimatore posto
che siffatta eventualità, nell’ottica di uno specialista rianimatore, è, invece, di routine.
Piuttosto, la Corte ha ricordato come, per quanto grave la si volesse descrivere, la situazione
peculiare della signora Ottanà, nella scala dei disturbi asmatici, era connotata da «un’alta
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configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata
doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento, con elevato grado di
credibilità razionale, non avrebbe avuto luogo ovvero avrebbe avuto luogo in epoca
significativamente posteriore o con minore intensità lesiva».
Come si avrà modo di puntualizzare meglio in prosieguo, la corte territoriale,
segnatamente nei ff. 7/13, ha affrontato correttamente i quesiti ed è pervenuta alla propria
decisione in modo esente da vizi logici ed, anzi, delineando – anche grazie alle ulteriori indicazioni dei
periti — il quadro corretto di una realtà nella quale è chiaro che il decesso della signora Ottanà e
del suo feto sono stati la conseguenza di una concatenazione di condotte omissive.
Trattandosi, infatti, di reato omissivo improprio, l’evento va ascritto per il semplice fatto
di accertare che non sono stati messi in opera gli strumenti concretamente esistenti per quella
situazione. Non a caso, del resto, la stessa sentenza delle sezioni unite riguarda una fattispecie
nella quale è stata ritenuta legittimamente affermata la responsabilità di un sanitario per
omicidio colposo dipendente dall’omissione di una corretta diagnosi (dovuta a negligenza e imperizia)
e del conseguente intervento (che, se effettuato tempestivamente, avrebbe potuto salvare la vita del

probabilità di evoluzione positiva a seguito di adeguato trattamento, con risoluzione della
sintomatologia clinica fino al completo recupero dello stato di benessere».
Tale essendo la situazione, il fatto che il dott. Latella abbia, invece, deciso di procedere
ugualmente da solo non riuscendo
per una imperizia ormai accertata anche dalla decisione di
questa Corte di cassazione
a praticare l’intubazione, delinea icasticamente i profili della sua
colpa omissiva e l’innesto di una delle prime cause che hanno concorso a determinare l’evento.
Come giustamente commentano, poi, i giudici della Corte territoriale, il nesso causale non è
interrotto dalla situazione logistica manifestatasi nel prosieguo quando, alla richiesta di
un’ambulanza (a dispetto del fatto che ci si trovasse in un “Pronto Soccorso”), se ne accertò
l’assenza e la conseguente necessità di farne sopraggiungere una dall’esterno (che impiegò 20

La chiarezza e linearità del discorso della Corte nel descrivere fin qui le responsabilità
del dott. Latella non vengono scalfite dalle generiche doglianze odierne, sostanzialmente
reiterative di quelle svolte già dinanzi alla corte d’appello che vi ha più che congruamente
replicato.
L’accusa rivolta nel presente ricorso ai giudici di non essersi attenutzií ai dettami della
sentenza di rinvio è destituita di fondamento per quanto appena riportato. Al contrario, è
evidente nei giudici lo sforzo di delineare – separatamente, rispetto a quelle dei coimputati
i profili
di colpevole contributo causale del dott. Latella, descrivendo la sua determinazione di agire da
solo (pur potendo avere l’ausilio di un esperto) e di tentare vanamente una intubazione (sebbene mai

praticata in precedenza).

In tal modo, egli ha messo le premesse per il venir meno di una serie di interventi
sicuramente validi (nell’ottica degli esperti) sul piano scientifico quali: una intubazione adeguata,
una sedazione profonda, una ventilazione a pressione positiva «tutti funzionali a quel minimo
di ossigenazione che avrebbe salvato la vita della donna» ed ha decisamente aggravato una
situazione che, come già detto sopra, inizialmente, non era critica ma tale era divenuta nel
momento in cui egli decise di richiedere un’ambulanza ed un trasporto ad altro nosocomio.
Le sue omissioni pur non essendo cause esclusive, come si avrà modo di delineare
meglio in prosieguo, hanno significativamente predisposto le condizioni per l’hexitus in una
logica causale indiscutibile che si innesta correttamente anche nei dettami giurisprudenziali in
parte evocati anche dalla sentenza impugnata.
Ed invero, è stato più volte affermato (Sez. IV, 5.4.13, De Florentis, Rv. 257073; Sez. IV, 31.1.13, Giusti,
Rv. 256941) che è configurabile la sussistenza del nesso di causalità tra condotta ed evento,
qualora esso sia stato accertato con giudizio controfattuale che (sebbene non fondato su una
legge scientifica di spiegazione di natura universale o meramente statistica – per l’assenza di una
rilevazione di frequenza dei casi esaminati – ma su generalizzate massime di esperienza e del senso
comune) sia stato comunque ritenuto attendibile secondo criteri di elevata credibilità razionale,
in quanto fondato sulla verifica, anche empirica, ma scientificamente condotta, di tutti gli
elementi di giudizio disponibili, criticamente esaminati.
Sulla scorta di tali principi, il caso in esame è del tutto assimilabile a quelli giudicati da
questa S.C. nei precedenti citati quando, in essi, è stata ritenuta la responsabilità di un
sanitario del pronto soccorso per il decesso di un paziente, al quale non era stato diagnosticato
un infarto acuto del miocardio (ragion per cui, era stato omesso il trasferimento presso un’unità
coronarica per l’esecuzione di un intervento chirurgico che avrebbe avuto un’elevata probabilità
risolutiva) ovvero è stata esclusa la responsabilità di un medico – per avere, sulla base di

un’errata interpretazione del tracciato cardiografico del feto, ritardato il parto con taglio
cesareo, causandone il decesso -. In tale occasione, infatti, questa corte aveva ritenuto non
provato il momento di insorgenza della sofferenza fetale (e, quindi, la circostanza che il feto potesse
essere salvato nel momento in cui gli esami vennero sottoposti all’attenzione del medico, se quest’ultimo fosse
tempestivamente intervenuto).

Mutatis mutandis, è, invece, chiaro che la tempistica della presente vicenda non offre il
fianco a dubbi e che non coglie nel segno la critica del ricorrente tesa a circoscrivere la propria
responsabilità alla sola mancata richiesta di intervento di un anestesista perché, al contrario,
questa è solo una delle omissioni a lui ascrivibili. La sua imperizia nell’operare la – non riuscita
intubazione – è, infatti, data per certa dalla stessa sentenza di questa S.C. che, infatti, discute
solo il nesso causale.
Né vale la tesi secondo cui, non potendosi affermare la “certezza” della efficacia
salvifica della condotta omessa, di dovrebbe propendere per un assoluzione. Come già detto,
infatti, ci si muove su un terreno complesso ma non privo di riferimenti di “certezza”. Nella
5

minuti ad arrivare).

specie, essi sono rappresentati dal fatto che, al suo arrivo, le condizioni della signora Ottanà si
presentavano tali da permettere ai periti di affermare che i giusti interventi avrebbero avuto
una «elevata e razionale probabilità salvifica» che, invece, è andata certamente scemando, via
via, di fronte alle chiare omissioni del dott. Latella fin qui commentate e, quindi, a quelle degli
altri due imputati Minniti e Cardillo.

3.3.
Venendo, quindi ai ricorsi di Minniti e Cardillo, come anticipato, risulta del tutto
valido e scevro da censure sul piano logico l’argomentare della Corte laddove respinge
l’auspicio difensivo – qui rinnovato
di escludere le responsabilità di tali imputati dovendosi
ritenere assorbenti le manchevolezze ascrivibili al dott. Latella.
Lungi dal sovrapporsi tra loro, i profili di colpa di quest’ultimo si sommano a quelli dei
responsabili della clinica visto che i periti hanno evidenziato come il quadro che caratterizzava
la paziente al momento del trasporto in ambulanza fosse “assai pregiudicato” ma non tale da
impedire l’infausto esito finale se gli imputati avessero tenuto «in termini “contro fattuali”» «la
condotta doverosa da essi negligentemente omessa (mantenimento di livelli di
equipaggiamento del servizio di pronto soccorso minimamente adeguati)».
Ditalché – si
sottolinea da parte dei periti – quanto accaduto è da ascrivere «”anche” al gravissimo ritardo
legato alla circostanza della indisponibilità diretta di un’ambulanza». Va da sé, poi, l’ulteriore
incidenza, in tale realtà, della vetustà degli strumenti presenti sull’ambulanza.
In altri termini, se il servizio di ambulanza fosse scattato prontamente quando il dott.
Latella si era arreso di fronte alla propria incapacità di intubare, non si sarebbero dovuti
perdere altri (almeno venti) minuti preziosi per ottenere un’ambulanza e – soggiunge bene la corte sarebbe stato possibile, in termini certi, «prolungare sensibilmente la vita della madre (per
quanto grave potesse essere divenuto il quadro clinico) ed a mantenere vitale il feto (così
espressamente pag. 6 perizia» (f. ii).
Vano è, quindi, lo sforzo dei ricorrenti di spostare l’attenzione sull’insorgenza
dell’edema. Non si deve, cioè, confondere la fase culminante dell’epilogo trascurando ciò che è
accaduto a monte.
Se la si esamina in questo modo, infatti, la presente vicenda risulta del tutto lineare
nella sua concatenazione di cause ove le carenze strutturali si sommano alla imperizia del dott.
Latella.
Del resto, sono gli stessi periti a sottolineare come un corretto servizio di trasporto
“assistito e tempestivo” avrebbe, in termini di certezza, garantito la continuità delle cure ed
assicurato, con “elevata credibilità razionale”, la sopravvivenza della madre e del feto.
E’ la logica stessa convincere della correttezza di una simile conclusione visto che si era
al cospetto di una situazione conclamata di crisi asmatica del tutto incontrollata laddove,
perciò, un adeguato pronto intervento in termini di intubazione e sedazione, prima e, quindi, di
trasporto – con mezzi adeguati
verso una struttura specializzata non avrebbe potuto, in un
giudizio “contro fattuale”, che condurre, secondo ragione, ad una conclusione ben diversa da
quella cui qui si è assistito.
A tale stregua, anche le scarne e sommarie censure svolte dai ricorrenti sono da
disattendere perché inidonee a mettere in discussione la completezza e consequenzialità della
decisione impugnata.

Nel respingere i ricorsi, seguono, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento
delle spese processuali nonché al rimborso delle spese del grado in favore delle parti civili
Cotroneo Antonio e Cotroneo Devin liquidate in complessivi C 3500 oltre agli accessori di legge
ed alle spese generali

6

,9

Prima di concludere sulla posizione di Latella giova solo ricordare che il secondo motivo
di tale imputato, per le ragioni fin qui esposte, è persino manifestamente infondato per la sua
genericità e mera assertività tesa a porre in discussione una ricostruzione fattuale che qui
non compete ma che, come visto, è stata correttamente operata dai giudici di merito.

P.Q.M.
Visti gli artt. 615 e ss. c.p.p.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali nonché al
rimborso delle spese del grado in favore delle parti civili Cotroneo Antonio e Cotroneo Devin
liquidate in complessivi € 3500 oltre agli accessori di legge ed alle spese generali
Così deciso il 3 febbraio 2015

Il Presidente

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