Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27110 del 13/01/2015


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Penale Sent. Sez. 3 Num. 27110 Anno 2015
Presidente: FIALE ALDO
Relatore: GRILLO RENATO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
LAMACCHIA CHIARA N. IL 07/02/1957
avverso la sentenza n. 1083/2013 CORTE APPELLO di LECCE, del
25/11/2013
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 13/01/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. RENATO GRILLO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. —eche ha concluso per c_A fkA,

Udito, per la parte civile, l’Avv
Uditi difensor Avv.

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Data Udienza: 13/01/2015

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza del 25 novembre 2013 la Corte di Appello di Lecce confermava la
sentenza del Tribunale monocratico di Brindisi del 21 novembre 2012 con la quale LAMACCHIA
Chiara, imputata del reato di cui all’art. 2 della L. 638/83 (omesso versamento di ritenute
previdenziali quale legale rappresentante pro tempore della DELA s.r.l. relativamente ai periodi
compresi tra febbraio e settembre 2008; marzo 2009 e della CLARIHOTEL s.r.I., relativamente

meglio specificati ai capi A), C) e D) della rubrica e condannata, previo riconoscimento delle
circostanze attenuanti generiche e ritenuta la continuazione alla complessiva pena di mesi tre
di reclusione ed € 300,00 di multa.
1.2 Per l’annullamento della detta sentenza propone ricorso l’imputata a mezzo del proprio
difensore di fiducia deducendo tre distinti motivi: a) inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale e carenza assoluta di motivazione per contraddittorietà e/o manifesta illogicità in
ordine alla prova – non fornita dall’Accusa e ritenuta, tuttavia, sussistente dalla Corte
distrettuale – riguardante la preventiva notifica della comunicazione amministrativa contenente
l’avvenuto accertamento della violazione al fine del pagamento delle somme dovute all’INPS
nel termine di mesi tre da tale comunicazione; b) inosservanza ed erronea applicazione della
legge penale in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto, da inquadrarsi nella
previsione di cui all’art. 37 della L. 689/81 e non già in quella dell’art. 2 della L. 638/83 come
ritenuto dalla Corte territoriale; c) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale
(art. 2 comma 1 bis della L. 638/83) e manifesta illogicità e/o contraddittorietà della
motivazione in punto di sussistenza dell’eleménto psicologico del reato, asseritannente da
escludere a causa della grave malattia che affliggeva l’imputata nel periodo in contestazione.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso, generico nei termini in appresso specificato, oltre che manifestamente
infondato, è per le dette ragioni inammissibile.
1.1 Quanto al primo motivo, lo stesso, oltre che inammissibile per la sua manifesta
infondatezza avendo la Corte distrettuale evidenziato sia la regolarità delle comunicazioni
preventive dell’INPS attestanti le violazioni previdenziali, sia soprattutto, il tardivo versamento
– rispetto al termine di mesi tre previsto dall’art. 2 comma 1 bis della L. 638/83 – delle somme
dovute in riferimento alle società DELA s.r.l. e CLARIHOTEL s.r.l. per i periodi in contestazione
che costituisce riscontro implicito dell’avvenuta comunicazione preventiva delle violazioni da
1

al periodo compreso tra luglio 2008 e marzo 2009), era stata ritenuta colpevole dei detti reati

parte dell’Istituto Previdenziale, lo è anche in quanto la dedotta violazione di legge non era
stata proposta con l’atto di appello con il quale l’imputata lamentava la mancata applicazione
della causa di non punibilità prevista nel caso di tempestivo versamento delle somme nel
periodo di mesi tre decorrenti dalla comunicazione amministrativa.
1.2 Anche il secondo motivo è inammissibile per identica ragione (art. 606 comma 3 u.p.
cod. proc. pen.) in quanto nessuna specifica doglianza era stata formulata dalla difesa
dell’appellante in ordine alla corretta, o meno, qualificazione giuridica della condotta. In ogni

l’ipotesi disciplinata dall’art. 2 della L. 638/83 da quella regolamentata dall’art. 37 della L.
689/81: mentre, infatti, quest’ultima, contenente la cd. “clausola di riserva”, sanziona la
condotta del datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi e premi
previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, ometta una o più registrazioni o
denunce obbligatorie, ovvero esegua una o più denunce obbligatorie in tutto o, in, parte, non
conformi al vero, laddove venga superata la cd. “soglia di punibilità” prevista dalla seconda
parte del menzionato art. 37, la norma di cui all’art. 2 L. 638/83 punisce la condotta di omesso
versamento di ritenute previdenziali e assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori
dipendenti. Si tratta, come ricordato dalla giurisprudenza di questa Corte Suprema, di due
ipotesi differenti sia dal punto di vista materiale che strutturale, così come è del tutto evidente
che le citate soglie di punibilità, previste per il primo reato possano riguardare anche quello
contestato all’imputata. Ciò comporta l’impossibilità che la fattispecie di cui all’art. 37 L.
689/81 come modificata dall’art. 116 comma 19 della L. 388/00, possa essere assorbita in
quella regolata dall’art. 2 della L. 689/81 (in termini Sez. 3^ 25.5.2004 n. 28705, P.G. in proc.
Ingrassia, Rv. 229433).
1.3 Ulteriore riprova della profonda differenza tra le due fattispecie la si evince
implicitamente dalla manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
sollevata in riferimento all’art. 2 della L. 638/83 per asserita violazione dell’art. 3 Cost., nella
parte in cui non prevede, a differenza dell’art. 37 I. n. 689 del 1981, alcuna soglia di punibilità
ai fini dell’applicazione della sanzione penale, avuto riguardo all’eterogeneità delle norme in
comparazione, segno evidente di autonome scelte del legislatore effettuate in considerazione
della natura e dell’intensità degli interessi protetti, cui corrisponde la modulazione di interventi
sanzionatori ispirati a scelte punitive differenziate (così Sez. 3^ 1.10.2014 n. 45460, Artuso,
Rv. 260966).
2. Anche l’ultimo motivo, afferente alla inconfigurabilità sia della causa di forza maggiore
che dell’elemento psicologico del reato, è inammissibile per assoluta genericità dei motivi,
ricordandosi che con tale espressione non si intende soltanto la indeterminatezza in termini di
mancanza di correlazione tra le ragioni argomentative della decisione impugnata e quelle poste
2

caso, poi si tratta di deduzione palesemente priva di fondamento essendo del tutto diversa

a fondamento dell’impugnazione (in termini Sez. 1^ Ord. 20.1.2005 n. 4521, Orrù, Rv.
230751), ma anche la loro “aspecificità” nel senso di riproposizione integrale di argomentazioni
già esposte con l’atto di appello e disattese in quella sede le quali si risolvono, pertanto, in un
a vera e propria apparenza argomentativa perché omettono di assolvere la tipica funzione di
una critica argomentata avverso la sentenza che forma oggetto di ricorso (in termini Sez. 6″
1.3.2009 n. 20377, Arnone e altri, Rv. 243838).
2.1 Nel ribadire tali concetti più volte questa Corte ha sottolineato che “È inammissibile il

ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La
mancanza di specificità del motivo, invero, dev’essere apprezzata non solo per la sua
genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni
argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione, questa
non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di
aspecificità conducente, a mente dell’art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c), all’inammissibilità” (in
termini tra le più recenti Sez. 2″ 15.5.2008 n. 19951, Lo Piccolo, Rv. 240109; Sez. 4^
9.2.2012 n. 18826, Pezzo, Rv. 253849).
2.2 Nel caso in esame la Corte distrettuale ha reso una motivazione esaustiva e del tutto
conforme alla giurisprudenza di questa Suprema Corte sviluppatasi in tema di esclusione della
punibilità per la cd. “forza maggiore” dovuta ad una situazione di grave difficoltà dell’autore
dell’illecito (nel caso in esame legata a ragioni di malattia), in quanto il reato in esame richiede
il dolo generico costituito dalla consapevole scelta di omettere i versamenti dovuti, con
conseguente irrilevanza sotto il profilo del dolo della circostanza che il datore di lavoro
attraversi una fase di criticità e destini le risorse finanziarie per debiti ritenuti più urgenti.
2.3 Mutatis mutandis, tale regola interpretativa vale, a maggior ragione, nel caso di grave
malattia del datore di lavoro posto che questi può ben delegare a terzi, vigilandone l’operato, il
versamento delle ritenuta: la nozione di forza maggiore postula – come esattamente ritenuto
dalla S.C. – l’esistenza di un fatto o di una circostanza impoderabile, imprevista ed
imprevedibile cui non può essere posto alcun rimedio (la Corte distrettuale ha, sul punto,
sottolineato come l’odierna ricorrente, una volta scoperta la grave malattia, avrebbe potuto
dimettersi dalla carica di amministratore, ovvero delegare a terzi l’assolvimento dell’onere su
di essa gravante – v. pag. 2 della sentenza impugnata).
2.4 Le censure sollevate sul punto dalla ricorrente non apportano alcun elemento nuovo
rispetto a quelle prospettate con l’atto di appello, prese in esame dalla Corte distrettuale e
valutate con motivazione che si sottrae a qualsivoglia censura di illogicità o incompletezza
3. Per le ragioni dianzi esposte il ricorso va dichiarato inammissibile: segue la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al pagamento della somma di €

3

ricorso per Cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e

1.000,00 – reputata congrua – da versarsi alla Cassa delle Ammende, trovandosi in colpa la

ricorrente nell’avere dato causa all’inammissibilità.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente la pagamento delle spese

Così deciso in Roma il 13 gennaio 2015
Il Presidente

processuali e della somma di C 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

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