Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2711 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2711 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

La Rosa Antonino nato a Palermo il 11.4.1985;
avverso la sentenza n. 3437/2014 della Corte d’Appello di Palermo del 28/10/2013;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza del 19/11/2015 la relazione del Consigliere dott.ssa Lucia Aielli ;
udito il Sostituto Procuratore generale dott. ssa Paola Filippi che ha concluso per il rigetto del
ricorso;
udito il difensore avv. Cinzia Pecoraro che si è riportata ai motivi;

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 28.10.2013, la Corte di appello di Palermo confermava la sentenza
del Tribunale di Agrigento del 20.11.2012 che aveva condannato Antonino La Rosa
Antonino, unitamente ad altri complici, per il delitto di rapina aggravata.

Data Udienza: 19/11/2015

..

Avverso tale pronuncia proponeva appello l’imputato La Rosa, per mezzo del suo difensore,
il quale denunciava la violazione e falsa applicazione dell’art. 192 c.p.p., in riferimento
all’art. 606 lett. b) c.p.p., in quanto la Corte d’Appello aveva posto a base della sentenza di
condanna, le dichiarazioni accusatorie del coimputato Gebbia Mario, senza effettuare
alcuna verifica circa la credibilità e attendibilità del chiamante in correità; questi a parere
della difesa, avrebbe riferito circostanze incongrue e insoddisfacenti relativamente
all’incontro dei complici, compreso il ricorrente La Rosa presso il bar di Falsomiele, inoltre il
suo racconto giudicato per altro verso non credibile, aveva portato all’assoluzione di altro

erano fuggiti gli autori della rapina, si poneva in contrasto con quanto riferito da un teste
oculare: Meli Giuseppina che parlava di una Lancia Y ultimo modello, mentre il Gebbia
parlava dell’autovettura di una Lancia Y 10, e l’autovettura di cui era effettivamente
proprietario Antonino La Rosa, è una Lancia Y primo modello, per cui ad avviso della
difesa, non vi era certezza circa l’individuazione del La Rosa, quale autore della rapina .
Con una memoria difensiva depositata il 9.11.2015, l’imputato soggiungeva che la
sentenza di secondo grado era carente di motivazione in quanto, proprio con riferimento
alle dichiarazioni etero accusatorie del propalante Gebbia, la Corte avrebbe omesso di
verificarne la attendibilità intrinseca ed estrinseca, limitandosi a richiamare il principio
della ” frazionabilità della dichiarazione”, senza tener conto della ” genesi della confessione
del chiamante” , e senza considerare che per altro correo ( assolto), la dichiarazione del
Gebbia era risultata insufficiente in quanto non riscontrata.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su un motivi manifestamente infondati. Difatti
tutte le questioni proposte attengono a valutazioni di merito che sono insindacabili nel
giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi
giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Sez. U. n.
24 del 24/11/1999, Rv. 214794; Sez. U. n. 12 del 31.5.2000, Rv. 216260; Sez. U. n.
47289 del 24.9.2003, Rv. 226074).
Ed inoltre, nel caso di specie, ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè doppia
pronuncia di eguale segno, per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato
in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione)
che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto
come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado.
Invero, sebbene in tema di giudizio di Cassazione, in forza della novella dell’art. 606
c.p.p., comma 1, lett. e), introdotta dalla legge n. 46 del 2006, è ora sindacabile il vizio di
travisamento della prova, che si ha quando nella motivazione si fa uso di un’informazione
rilevante che non esiste nel processo, o quando si omette la valutazione di una prova

imputato; infine il dato fornito dal Gebbia, relativo all’autovettura a bordo della quale

decisiva, esso può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia
riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi
il limite del “devolutum” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice
d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a
contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (sez. 2 n. 5223 del 24/1/2007, Rv.
236130). Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso
materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure
degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione in ordine alla responsabilità

Orbene, fatta questa doverosa premessa e sviluppando coerentemente i principi
suesposti, deve ritenersi che la sentenza impugnata regga al vaglio di legittimità, non
palesandosi assenza, contraddittorietà od illogicità della motivazione, ovvero
travisamento del fatto o della prova. In particolare la Corte territoriale ha valorizzato ai
fini della conferma del giudizio di responsabilità di Antonino La Rosa, le dichiarazioni del
coimputato Gebbia Mario, accertandone la credibilità soggettiva e l’attendibilità oggettiva
delle sue dichiarazioni, attraverso plurimi riscontri esterni ( in particolare l’intervenuto
riconoscimento, da parte di Meli Giuseppa , dell’automobile a bordo della quale fuggiva il
correo e della quale il La Rosa, proprietario del mezzo, dopo la rapina denunciava il
furto, come riferito dal Gebbia), a nulla rilevando le apparenti discrasìe riguardanti il
nome del mezzo, riferite dalla teste Meli e dal Gebbia, rispetto all’autovettura del La
Rosa, poiché, come correttamente osservato dalla Corte, le diverse sigle “Lancia Y” ,
“Y10” o “Lancia Y 10”, in realtà stanno ad indicare la stessa automobile.
Il fatto poi che con riferimento all’imputato Bruno Salvatore, le dichiarazioni del Gebbia
non abbiano portato alla sua dichiarazione di responsabilità, non costituisce, a detta
della Corte, argomento per minare complessivamente l’attendibilità del dichiarante,
poiché con riferimento a tale imputato le dichiarazioni del propalante, sono rimaste
semplicemente prive di riscontro oggettivo e non sono risultate false. E’ orientamento
costante di questa Corte, ritenere legittima la valutazione frazionata della dichiarazione
del collaborante che può portare ad esiti differenziati, purchè la riconosciuta
inattendibilità di alcune di esse , non dipenda dall’accertata falsità delle medesime ( Sez.
5, 37327/2008, rv. 241638).
Per le considerazioni sopra esposte il ricorso va dichiarato inammissibile.
Alla dichiarazione di inammissibilità consegue, ai sensi dell’articolo 616 cod proc. pen.,
la condanna dell’imputato che lo ha proposto al pagamento delle spese del
procedimento, nonché – ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che,
alla luce del

dictum

della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000,

sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in € 1.000,00 .

dell’imputato per i fatti allo stesso ascritti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di € 1.000,00~Ia Cassa delle ammende.

Così deciso il 19.11.2015

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