Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27100 del 26/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27100 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: DI SALVO EMANUELE

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
MUSUMECI GAETANO N. IL 03/09/1987
avverso l’ordinanza n. 2001/2014 TRIB. LIBERTA’ di CATANIA, del
04/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. EMANUELE DI
SALVO;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Uditi difensor Avv.;

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Data Udienza: 26/05/2015

RITENUTO IN FATTO
Musumeci Gaetano
ricorre per cassazione
avverso l’ordinanza del Tribunale del
riesame di Catania, in data 4-11-2014 , che ha confermato l’ordinanza applicativa della
misura intramurale, in ordine al delitto di cui all’art. 416 bis cod. pen. per avere
partecipato all’associazione di tipo mafioso, armata, operante in Biancavilla e
denominata “clan Mazzaglia- Toscano-Tomasello”, affiliata alla famiglia catanese di Cosa
Nostra Santapaola- Ercolano.
2. Il ricorrente deduce , con il primo e il terzo motivo , violazione di legge e vizio di
motivazione, in quanto il pubblico ministero, in relazione alle utenze telefoniche in uso
ai coimputati Maglia Roberto e Gioco Salvatore, ha disposto sia l’intercettazione
d’urgenza telematica ,tramite agente intrusore (virus informatico), di tutto il traffico
dati, in relazione agli apparecchi utilizzati dai predetti, sia di tutte le conversazioni tra
presenti, mediante l’attivazione, attraverso il predetto virus, del microfono e della
videocamera dei relativi Smartphone. Ciò ha comportato una invasiva e illegittima
apprensione dei contenuti della memoria dei predetti apparecchi cellulari, che ha
consentito, in violazione dell’art. 8 della Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la generale captazione di tutti i dati propri
della sfera privata dei rispettivi utilizzatori, operazione esulante dalla normativa prevista
in tema di intercettazioni. In secondo luogo, utilizzando il sistema del virus informatico
sul telefono cellulare, le intercettazioni effettuate non sono soggette ad alcuna
restrizione né temporale né spaziale. Il telefono cellulare è divenuto ormai oggetto che
accompagna ogni nostro movimento ed è in grado, se utilizzato con finalità captatorie,
di sottoporre l’individuo ad un indiscriminato controllo, non solo di tutta la sua vita
privata ma anche dei soggetti che gli stanno vicino. L’intercettazione potrà dunque
divenire ambientale e anche effettuarsi all’interno di un domicilio, poiché il telefono
cellulare diviene un microfono e la sua telecamera una spia video.D’altronde, nel
decreto del Gip non si fa riferimento alla possibilità che il detto strumento venga
utilizzato anche all’interno delle private dimore dei soggetti intercettati e,
comunque,non vi è alcuna indicazione dei luoghi e dei tempi della predetta captazione
2.1.Con il secondo motivo, si deduce carenza di gravi indizi in merito al delitto di cui
all’art. 416 bis cod. pen., in quanto il Tribunale fa riferimento a due conversazioni da cui
non emergono, in realtà, significativi elementi a carico del ricorrente. Nella prima,
infatti, non si comprende perché il “Tano” , di cui si parla, dovrebbe essere identificato
nel ricorrente. Nè vi è prova che quest’ultimo si sia recato sul luogo del presunto
agguato. Per quanto attiene alla seconda conversazione, non si comprende come essa
possa essere ricondotta al Musumeci. Non si può comunque affermare che l’odierno
imputato appartenga all’associazione indicata nell’imputazione solo perché alcuni dei
soggetti con lui tratti in arresto sono stati condannati con sentenze che dichiarano la
loro intraneità alla consorteria criminale Tomasello-Toscano- Mazzaglia. Non vi sono
nemmeno elementi a sostegno dell’ipotesi che quest’ultima esista ed operi ancora, non
essendovi alcun dato relativo a riunioni o a conversazioni tra gli odierni indagati, in cui
si discuta delle attività da compiere, dei ruoli all’interno dell’organizzazione o della
distribuzione del danaro provento delle attività criminosa. Nè vi sono elementi in merito
alla sussistenza del pactum sceleris e dell’affectio societatis.
Nemmeno vi sono indizi
circa il presunto coinvolgimento del ricorrente nel
programmato attentato in danno di Monforte Alfio. Non vi è infatti traccia del
fantomatico viaggio che il ricorrente avrebbe dovuto effettuare il 7 aprile 2014 nè vi
sono riscontri in merito alla circostanza che il Musumeci avesse, insieme al Maglia,
prenotato due posti su un pullmann di linea, per recarsi in Nord Italia, per finalità
delittuose.
Si chiede pertanto annullamento dell’ordinanza impugnata.

CONSIDERATO IN DIRITTO
1

1.

2. Nel caso di specie, la tecnica utilizzata consente, attraverso l’attivazione del microfono del
telefono cellulare, la captazione di comunicazioni in qualsiasi luogo si rechi il soggetto,
portando con sé l’apparecchio : ciò che , come poc’anzi evidenziato , non è giuridicamente
ammissibile. Non si tratta pertanto , come erroneamente ritenuto dal Tribunale , di una
semplice modalità attuativa del mezzo di ricerca della prova, costituito dalle intercettazioni. Si
tratta invece di una tecnica di captazione che presenta delle specifiche peculiarità e che
aggiunge un quid pluris, rispetto alle ordinarie potenzialità dell’intercettazione, costituito , per
l’appunto, dalla possibilità di captare conversazioni tra presenti non solo in una pluralità di
luoghi , a seconda degli spostamenti del soggetto , ma- ciò che costituisce il fulcro
problematico della questione- senza limitazione di luogo. Ciò è inibito, prima ancora che dalla
normativa codicistica , dal precetto costituzionale di cui all’art. 15 Cost.
2.1. Dalle considerazioni appena svolte deriva che il decreto autorizzativo deve individuare,
con precisione, i luoghi nei quali dovrà essere espletata l’intercettazione delle comunicazioni
tra presenti, non essendo ammissibile un’indicazione indeterminata o addirittura l’assenza di
ogni indicazione, al riguardo. E’ dunque necessario verificare, nel caso in disamina, che i
decreti autorizzativi contenessero una precisa individuazione dei luoghi in cui procedere ad
intercettazione ambientale e che non siano state effettuate captazioni in luoghi diversi da
2

1.11 primo e il terzo motivo di ricorso sono fondati. La tematica proposta si articola su due
versanti distinti, che si riconnettono alle due peculiarità tecniche che contraddistinguono le
intercettazioni in disamina: l’attivazione, da remoto, del microfono e l’attivazione, sempre da
remoto, della telecamera. Muovendo dalla prima, occorre osservare che l’attivazione del
microfono dà luogo ad un’intercettazione ambientale, onde occorre interrogarsi sulla legittimità
della stessa. Orbene, non sembra potersi dubitare che l’art. 266, comma 2, cod. proc. pen. ,
nel contemplare l’intercettazione di comunicazioni tra presenti, si riferisca alla captazione di
conversazioni che avvengano in un determinato luogo e non ovunque. Una corretta
ermeneutica della norma di cui all’art. 15 Cost. osta infatti all’attribuzione al disposto dell’art.
266, comma 2, cod. proc. pen. di una latitudine operativa così ampia da ricomprendere
intercettazioni ambientali effettuate in qualunque luogo. La norma costituzionale pone infatti il
fondamentale principio secondo il quale la libertà e la segretezza delle comunicazioni sono
inviolabili,ammettendo una limitazione soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria e con
le garanzie stabilite dalla legge. Ne deriva che le norme che prevedono la possibilità di
intercettare comunicazioni tra presenti sono di stretta interpretazione, ragion per cui non può
considerarsi giuridicamente corretto attribuire alla norma codicistica una portata applicativa
così ampia da includere la possibilità di una captazione esperibile ovunque il soggetto si sposti.
Viceversa, l’unica opzione interpretativa compatibile con il dettato costituzionale è quella
secondo la quale l’intercettazione ambientale deve avvenire in luoghi ben circoscritti e
individuati ah origine e non in qualunque luogo si trovi il soggetto. Tant’è che , in
giurisprudenza, si ammette la variazione dei luoghi in cui deve svolgersi la captazione solo se
rientrante nella specificità dell’ambiente oggetto dell’intercettazione autorizzata ( Cass. , Sez 6,
n. 15396 dell’11-12-2007, Rv. 239634, relativa ad una fattispecie in cui l’autorizzazione
dell’intercettazione ambientale aveva ad oggetto la sala colloqui della Casa circondariale in cui
era ristretto l’imputato e le operazioni di captazione erano proseguite presso la sala colloqui
della Casa circondariale in cui lo stesso era stato successivamente trasferito). Nella stessa
prospettiva, si ammette che, una volta autorizzata la captazione delle conversazioni in un
determinato luogo, l’attività deve ritenersi consentita anche nelle pertinenze, senza necessità
di ulteriore specifica autorizzazione: ma ciò proprio sulla base del presupposto che la
pertinenza non possa considerarsi luogo diverso dall’abitazione principale , all’interno del quale
l’intercettazione sia stata autorizzata (Cass. , Sez. 2 , n. 4178/11 del 15-12-2010, Rv.
249207).

3.La seconda problematica concerne l’attivazione, da remoto , della telecamera del telefono
cellulare e quindi l’effettuazione di videoriprese. Al riguardo, Sez. U. 28-3-2006, n. 26795,
Prisco (Rv. 234267) ha condivisibilmente stabilito che le videoregistrazioni in luoghi pubblici o
aperti o esposti al pubblico, non effettuate nell’ambito del procedimento penale , vanno
incluse nella categoria dei documenti , ex art. 234 cod. proc. pen. Le predette registrazioni,
se vengono invece effettuate dalla p.g., anche d’iniziativa, vanno incluse nella categoria delle
prove atipiche, soggette alla disciplina dettata dalli art. 189 cod. proc. pen. . Ma esse non
possono essere espletate ovunque, perché le videoregistrazioni effettuate in ambito domiciliare
, ai fini del procedimento penale, sono acquisite illecitamente e sono perciò inutilizzabili, anche
se la tutela costituzionale del domicilio va limitata ai luoghi con i quali la persona abbia un
rapporto stabile, sicchè, quando si tratta di tutelare solo la riservatezza, la prova atipica può
essere ammessa con provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria. Vanno dunque tutelate
dall’autorità giudiziaria ( p.m. o giudice ) le riprese visive che , pur non comportando
intrusione domiciliare, violino la riservatezza personale (come, ad esempio,le riprese effettuate
dalla polizia giudiziaria in un bagno pubblico).
3.1. Ne deriva, relativamente al caso di specie, che occorre verificare che, mediante
l’attivazione da remoto della telecamera inerente al telefono cellulare, non siano state
effettuate videoregistrazioni all’interno di luoghi di privata dimora o, comunque, tali da imporre
la necessità di tutelare la riservatezza personale. Nell’affermativa, anche queste risultanze
dovranno essere espunte dal compendio indiziario e il Tribunale dovrà effettuare la prova di
resistenza. Si tratta infatti di una questione non di legittimità della tecnica di acquisizione
probatoria, in sé considerata, ma di utilizzabilità delle relative risultanze.
4.Si impone pertanto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale di
Catania, per nuova deliberazione. Tale epilogo decisorio, comportando un pronunciamento di
natura rescindente, determina l’ultroneità della disamina degli ulteriori motivi di ricorso.

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Così deciso in Roma , all ‘udienza del 26-5-2015 .

quelli ai quali si riferiva l’autorizzazione. Nell’affermativa, occorre espungere dall’ orizzonte
cognitivo e valutativo le captazioni espletate in luoghi non autorizzati e verificare, mediante la
c.d. “prova di resistenza”, se le rimanenti risultanze siano o meno sufficienti a fondare la
gravità indiziaria. Se poi i decreti autorizzativi non contenevano alcuna specificazione dei
luoghi in cui effettuare l’intercettazione ambientale, le captazioni sono tutte illegittime e quindi
inutilizzabili , perchè non è consentita l’effettuazione di intercettazioni tra presenti ovunque. Il
Tribunale dovrà dunque, in tal caso, verificare se la gravità indiziaria possa prescindere dalle
risultanze delle intercettazioni e fondarsi esclusivamente su elementi acquisiti aliunde.

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