Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 27090 del 12/05/2015


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Penale Sent. Sez. 6 Num. 27090 Anno 2015
Presidente: MILO NICOLA
Relatore: BASSI ALESSANDRA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
ERAMO CARMINE N. IL 13/06/1983
avverso l’ordinanza n. 841/2014 TRIB. LIBERTA’ di LECCE, del
04/11/2014
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALESSANDRA BASSI;
lette/sentite le conclusioni del PG Dott.
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Data Udienza: 12/05/2015

RITENUTO IN FATTO
1. Con provvedimento del 4 novembre 2014, depositato il 23 dicembre
2014, il Tribunale del riesame di Lecce ha confermato l’ordinanza del 22
settembre 2014, con la quale il Gip dello stesso Tribunale ha applicato nei
confronti di Eranno Carmine la misura della custodia in carcere in relazione al
reato previsto dall’art. 10 L. n. 497/1974, per avere detenuto illecitamente una
pistola di calibro non determinato, in data anteriore prossima al 17 gennaio
2012.

l’annullamento per violazione di legge processuale, in relazione all’art. 292,
comma 2 lett. c), cod. proc. pen., e vizio di motivazione, in relazione all’art. 274,
comma 1 lett. c), cod. proc. pen., evidenziando come i fatti oggetto di
contestazione cautelare risalgano all’agosto 2012 e come dalle risultanze delle
indagini, in particolare dalle intercettazioni telefoniche, si evinca che la presunta
condotta illecita dal medesimo posta in essere sia del tutto episodica ed avulsa
dal contesto associativo.
3.

Il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato

inammissibile.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è fondato
2.

Il ricorrente incentra le proprie doglianze sulla contestazione delle

esigenze cautelari e sulla misura applicata per farvi fronte.

2.1. Nell’argomentare la sussistenza dell’esigenza cautelare di natura special
preventiva contemplata dall’art. 274, comma 1 lett. c), cod. proc. pen., il
Tribunale del riesame ha valorizzato le modalità e le circostanze dell’azione
criminosa — ritenute indicative dell’inserimento del prevenuto in ambienti di
criminalità organizzata – e la personalità dell’indagato come lumeggiata dai
precedenti penali per violazione degli artt. 74 e 75 della legge sugli stupefacenti
e per evasione; ha quindi argomentato che, tenuto congy dei legami con
personaggi posti ai vertici del sodalizio criminoso, il decorso di circa due anni dai
fatti oggetto di contestazione non possa ritenersi avere di per sé comportato
l’allontanamento dell’indagato dall’ambiente criminale.

2.2. Come questa Corte ha avuto modo di affermare in tema di misure
cautelari, lo specifico riferimento dell’art. 292, comma secondo, lett. c), cod.
proc. pen. alla valutazione del “tempo trascorso dalla commissione del reato”,
implica che la pregnanza del pericolo di recidiva si “attualizza” in proporzione

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2. Ricorre avverso l’ordinanza personalmente Eramo Carmine e ne chiede

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diretta con il “tempus connmissi delicti”, in quanto alla maggior distanza
temporale dai fatti corrisponde, di regola, un proporzionale affievolimento delle
esigenze di cautela. (Fattispecie in cui i fatti contestati, integranti reati contro la
P.A., erano anteriori di circa tre anni rispetto all’adozione della misura degli
arresti domiciliari). (Cass. Sez. 6, n. 20112 del 26/02/2013, P.M. in proc.
Strassil e altro, Rv. 255725).
2.3. Ora, non è revocabile in dubbio che il mero decorso del tempo dalla

commissione del reato non possa escludere automaticamente l’attualità e la

dare adeguata motivazione delle ragioni per le quali, stante lo iato temporale, sia
possibile ritenere sussistente nell’attualità la pericolosità sociale dell’indagato,
alla luce degli elementi contemplati dall’art. 133 cod. pen., in particolare delle
modalità e della gravità del fatto, ovvero di altri elementi sintomatici.
Soprattutto, deve esplicitare i motivi in forza dei quali abbia ritenuto che,
nonostante la distanza temporale dai fatti, i pericula libertatis connessi al rischio
di recidivanza impongano, per essere adeguatamente arginati, l’applicazione
della misura di maggiore rigore.
2.4. Su tale aspetto l’ordinanza impugnata si appalesa totalmente carente,

laddove il Tribunale ha completamente pretermesso qualunque valutazione in
ordine alla idoneità di una misura più gradata di quella di maggior rigore a
fronteggiare le esigenze cautelari ritenute sussistenti nella specie.
Al riguardo, mette conto porre in evidenza come, in ossequio ai principi di
adeguatezza e di proporzionalità fissati nell’art. 275 del codice di rito, il giudice
sia tenuto ad applicare un trattamento cautelare improntato ai principi del minor
sacrificio alla libertà personale in relazione alle esigenze cautelari da
salvaguardare nel caso di specie e dell’extrema ratio della custodia cautelare in
carcere.
Tale impostazione risulta viepiù rafforzata alla luce delle recenti modifiche
operate al codice di rito con la legge del 16 aprile 2015, n. 47, con la quale si è
previsto, a modifica del primo periodo del comma 3 dell’art. 275, che

“la

custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto quando le altre misure
coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino
inadeguate” e, nel nuovo comma 3-bis nella medesima disposizione, che “nel
disporre la custodia cautelare in carcere il giudice deve indicare le specifiche
ragioni per cui ritiene inidonea, nel caso concreto, la misura degli arresti
domiciliari con le procedure di controllo di cui all’articolo 275 bis, comma 1″.
2.5. E’ pacifico che dette norme, in quanto non vigenti all’epoca, non

potessero essere tenute in considerazione nell’ordinanza impugnata né possono
essere direttamente fatte valere in questa fase: in materia processuale opera

concretezza del pericolo di reiterazione criminosa. Nondimeno, il giudice deve

infatti il principio tempus regit actum”, alla stregua del quale la validità di un
provvedimento deve essere riguardata alla luce delle norme operanti all’epoca in
cui esso è stato emesso, di tal che lo ius superveniens non può determinare la
caducazione, la decadenza o la declaratoria di inefficacia dell’atto pregresso i cui
effetti perdurino nel tempo. In assenza di disposizioni transitorie, non si può
pertanto invocare la nullità o l’annullabilità dei provvedimenti emessi prima
dell’entrata in vigore di una nuova normativa per contrasto con questa, ma si
può ricorrere, eventualmente, al rimedio della revoca del provvedimento, la
quale, tuttavia, non può trovare ingresso nel giudizio di legittimità, spettando la
sua adozione esclusivamente al giudice competente per il merito delle misure
stesse (Cass. Sez. 2, n. 4939 del 17/11/1995, Di Paola, Rv. 204276).
Nondimeno, le disposizioni processuali di nuovo conio potranno essere
valutate dal giudice di rinvio ai fini della valutazione in punto di adeguatezza e
proporzionalità della misura in relazione alle esigenze cautelari ravvisate nella
specie.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle ritenute esigenze cautelari e
rinvia per nuovo esame sul punto al Tribunale di Lecce.
Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma
att. cod. proc. pen.

Così deciso in Roma il 12 maggio 2015

Il consigliere estensore

1-ter, disp.

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