Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2707 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2707 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

Cascione Giuseppe nato il 14/1/1969;
avverso la sentenza n. 873/13 della Corte d’Appello di Lecce del 26/4/2013;
visti gli atti , la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza del 19/11/2015 la relazione del Consigliere dott.ssa Lucia Aielli ;
udito il Sostituto Procuratore generale dott.ssa Paola Filippi che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso;

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 26.4.2013 la Corte di appello di Lecce in parziale riforma della
sentenza di primo grado del GUP di Brindisi, che aveva condannato Giuseppe Cascione per
il delitto di estorsione aggravata continuata, riteneva sussistente la causa di seminfermità
di cui all’art. 89 c.p. e riduceva la pena originariamente inflitta.

Data Udienza: 19/11/2015

Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il Cascione a mezzo del suo
difensore il quale con il primo motivo non contestava l’an della pronuncia, ma il quantum
della pena deducendo il vizio di cui all’art. 606 lett. b) c.p.p., in quanto la Corte d’Appello
avrebbe mal applicato l’aumento di pena per la continuazione tra i gli episodi di estorsione,
atteso che detto aumento avrebbe dovuto essere calcolato con riferimento alla pena base
e non con riferimento alla pena già ridotta per effetto delle circostanze attenuanti
generiche.
Con il secondo motivo di ricorso il difensore eccepiva la nullità della sentenza per

con riferimento al calcolo della pena atteso che il giudice di appello, pur riconoscendo la
diminuente di cui all’art. 89 c.p., avrebbe irrogato una pena più grave del giudice di primo
grado, così violando anche il divieto di refornnatio in peius in quanto la diminuente di cui
all’ art. 89 c.p. avrebbe dovuto operare ” direttamente ” sulla pena inflitta dal primo
giudice e non sulla pena già diminuita per effetto delle circostanze attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è inammissibile perchè fondato su motivi manifestamente infondati.
Ai fini della determinazione della pena, relativa a più fatti unificati sotto il vincolo della
continuazione, è necessario innanzitutto individuare la violazione più grave, desumibile dalla
pena da irrogare per i singoli reati, tenendo conto della eventuale applicazione di circostanze
aggravanti o attenuanti, dell’eventuale giudizio di comparazione tra circostanze di segno
opposto, e di ogni altro elemento di valutazione; una volta determinata la pena per il reato
base, la stessa deve essere poi aumentata per la continuazione ed infine ridotta, per la scelta
del rito ( Sez. 6 n. 44368/2014, rv. 260625).
Nel caso di specie il giudice di secondo grado nel calcolare la pena da irrogare all’imputato per
più reati di estorsione, unificati sotto il vincolo della continuazione, ha correttamente valutato
l’aumento ai sensi dell’art. 81 cpv. c.p., dopo la diminuzione operata per effetto delle
circostanze attenuanti generiche, dando atto della pena base, della riduzione ex art. 62 bis
c.p., e della ulteriore riduzione dell’art. 89 c.p. che attiene anch’essa all’alveo delle circostanze
soggettive e dunque è suscettibile di valutazione unitamente all’art. 62 bis c.p., e comunque
prima dell’applicazione della continuazione.
In proposito deve osservarsi che le circostanze attenuanti generiche e la stessa diminuente di
cui all’art. 89 c.p., rispondono a finalità diverse da quelle cui si ispira l’istituto della
continuazione. Il vizio parziale di mente, attenendo alla sfera dell’imputabilità è una
circostanza inerente alla persona del colpevole in quanto comprende anomalie psichiche che
influiscono sul motivo e sulla decisione a delinquere e si riflettono sulla capacità del soggetto,
di comprendere il disvalore sociale del fatto, con la conseguenza che esso rileva ai fini della
determinazione della pena; le circostanze attenuanti generiche al pari di quelle comuni,

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violazione dell’art. 606 c. 1 lett. e) c.p.p., per carenza contraddittorietà della motivazione

svolgono la funzione di allargare la possibilità di adeguamento della pena al caso concreto,
considerato nella globalità degli elementi soggettivi ed oggettivi (Sez. 5, n. 1863 del
26.11.1998, rv.212520).
Questa Corte ha più volte affermato che sussiste autonomia concettuale tra diminuente per
vizio parziale di mente (che inerisce strettamente alla persona ed alla sua imputabilità) e
gravità del reato, fondata sui criteri oggettivi e soggettivi dettati dall’art. 133 cod. pen.
nessuno dei quali interessa la sfera della funzione mentale se non, indirettamente, per ciò che
attiene alla intensità del dolo. Trattasi, perciò, di concetti diversi e separati, che attengono ad

compreso), e la cui valutazione, ancorché naturalmente contestuale, non implica necessità
alcuna di interdipendenza o di reciproca influenza. Talché nulla vieta di ritenere e valutare il
fatto-reato in conformità dei criteri surricordati (adeguando concretamente la sanzione a livello
di gravità ritenuta) e, nel contempo, di ravvisare la diminuente “de qua”, con la riduzione di
pena che consegue ai sensi della legge, e che riconnprende ogni risvolto legato all’accertata
compromissione della facoltà di intendere o di volere ( Sez.1, 33268/2013,rv.256993; Sez.
1,6934/1992 rv.190506).
L’istituto della continuazione si pone su un piano diverso rispetto agli elementi circostanziali
sopra indicati, ed ha la funzione di introdurre un trattamento penale più mite in ragione del
fatto che nel reato continuato la riprovevolezza complessiva dell’agente, viene ritenuta minore
che nei casi normali di concorso, per la unitarietà del coefficiente psicologico che lega e
cementa i singoli episodi criminosi. Esso costituisce dunque una finzione giuridica determinata
dal favor rei , per la quale più reati concorrenti vengono considerati come unico allo scopo di
attenuare il rigore del cumulo materiale; pertanto il giudice nell’applicare l’aumento della pena
base per la continuazione, deve tener contro di tutti gli elementi nessuno escluso, che rendono
una violazione più grave dell’altra tenuto conto del reato nella sua esplicitazione in termini di
reato tentato o consumato, semplice o circostanziato ( Sez. 2, 17 maggio 207 , n. 19156, Sez.
3 9 maggio 2010 , 9261;; Sez. 3 12 maggio 2009, n. 19978; Sez. 5 1 aprile 2010,12765 , rv.
207433).
A tali principi si è conformato il giudice d’appello che, nel determinare la pena base, ha
considerato la pena edittale prevista per il delitto di estorsione, ed ha effettuato le progressive
riduzioni per le circostanze attenuanti generiche e per la diminuente di cui all’art. 89 c.p., per
adeguare la pena al fatto, salvo poi operare l’aumento per la continuazione valutando i diversi
reati come reato unico, al fine di garantire all’imputato un trattamento privilegiato per la
minore riprovevolezza della condotta complessivamente considerata .
Né il giudice di secondo grado avrebbe potuto operare la riduzione per la diminuente in parola,
“direttamente” sulla pena finale inflitta dal giudice di primo grado, in quanto, come sopra
affermato, la circostanza di cui all’art. 89 c.p., rileva, in via preliminare, ai fini della
determinazione della pena in concreto e deve necessariamente precedere l’applicazione
dell’istituto della continuazione. Tanto più come nel caso di specie, che tale valutazione ha

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aspetti differenziati ed autonomi del rapporto agente-reato (e del fatto materiale in questo

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determinato, nel suo complesso, la determinazione di una pena inferiore a quelIai ca dal
giudice di primo grado, con trattamento sanzionatorio finale, più mite.
Alla pronuncia di inammissibilità del ricorso segue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la
condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore
della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal
ricorso, si determina equitativamente in C 1000,00.
P.Q.M.

della somma di C 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19.11.2015

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e

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