Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2706 del 19/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2706 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: AIELLI LUCIA

Bulla Sebastiano nato a Cagliari il 28.1.1970;
avverso la sentenza n. 73/2014 della Corte d’Appello di Cagliari del 22/1/2014;
visti gli atti, la sentenza ed il ricorso;
udita in pubblica udienza del 19/11/2015 la relazione del Consigliere dott.ssa Lucia Aielli;
udito il Sostituto Procuratore generale dott. ssa Paola Filippi che ha concluso per
l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 22.1.2014 la Corte di appello di Cagliari confermava la sentenza del GUP
del Tribunale di Cagliari che condannava Bulla Stefano alla pena di anni due, mesi dieci e giorni
venti di reclusione, oltre alla multa per i reati di cui agli artt. 648 bis c.p., 334, 367 c.p.,
dichiarando prescritto il reato di cui al capo B) : art. 48/476 c.p..
Avvero tale pronuncia propone ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato il quale con un
unico motivo contesta la violazione dell’art. 648 bis c.p. ( art. 606 lett. b) c.p.p.), avendo la
Corte d’Appello ritenuto la responsabilità dell’imputato, senza che vi fossero elementi che

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Data Udienza: 19/11/2015

potessero ricondurre allo stesso, operazioni volte ad ostacolare l’identificazione della
provenienza delittuosa del mezzo, non potendo essere considerate tali l’apposizione del nastro
adesivo sulla targa del mezzo, la recisione dei fili elettrici e la manomissione del bloccasterzo; e
comunque quand’anche detti interventi fossero ritenuti idonei ad integrare il riciclaggio ed il
Bulla conoscesse la provenienza delittuosa della moto, mancherebbe la prova della
riconducibilità, allo stesso, delle operazioni di alterazione indicate .

Il ricorso è inammissibile in quanto fondato su motivi manifestamente infondati.
Esso riproduce pedissequamente gli argomenti prospettati nel gravame, ai quali la Corte
d’appello ha dato adeguate e argomentate risposte, esaustive in fatto e corrette in diritto, che il
ricorrente non considera né specificatamente censura. Il giudice di appello per affermare
l’infondatezza della tesi difensiva, in punto di insussistenza degli estremi dell’elemento
oggettivo del reato di riciclaggio, ha infatti, con argomentazioni ineccepibili sia logicamente che
giuridicamente, valorizzato gli accertamenti tecnici eseguiti dai Carabinieri, che attestavano
l’intervenuta alterazione del mezzo, consistita nell’apporre sul motociclo Ducati Monster
provento di furto in danno di Gionna Marco, gli elementi identificativi del proprio ciclomotore,
denunciato falsamente rubato e successivamente rinvenuto, nonché lo svolgimento, su
iniziativa del Bulla, della nuova pratica di immatricolazione presso la motorizzazione civile che
integrava senza dubbio il delitto di riciclaggio, “inequivocamente commesso dall’imputato”.
Le conclusioni alle quali sono pervenuti i giudici di merito in ordine alla sussistenza del reato,
con specifico riferimento alle doglianze sollevate con i motivi di ricorso, risultano conformi alla
costante giurisprudenza di questa Corte, condivisa dal Collegio; segnatamente, si ravvisa il
delitto di riciclaggio nel caso di condotta dissimulatoria volta a ad ostacolare l’accertamento
dell’ origine delittuosa di denaro, beni o altre utilità (Sez. 1, 11/1/2008, n. 1470M, Addante,
Rv.238840), laddove la condotta tenuta in concreto, dal Bulla, consistita nella manipolazione
del numero di telaio del mezzo, è stata posta in essere su un mezzo di provenienza delittuosa
al quale sono stati attribuiti numero di telaio e targhetta identificativa , appartenenti ad altro
mezzo già in possesso del Bulla e da questi asseritamente rinvenuto, dopo essergli stato
rubato, creando così una parvenza di provenienza legittima dell’intero motociclo, idonea ad
ostacolarne l’accertamento dell’effettiva provenienza da delitto. Sussiste, quindi, quel tipico
effetto dissimulatorio che caratterizza una fattispecie criminosa a forma libera, quale è quella
del riciclaggio che la Corte d’appello ha correttamente ricondotto al Bulla in considerazione della
specifica competenza in materia di riparazioni di moto (pag. 8 della sentenza).
Ed ancora anche da un punto di vista soggettivo risulta corretta la qualificazione giuridica del
fatto, caratterizzato, nel caso di specie, dal dolo generico, da individuarsi nella semplice volontà
di compiere attività volte ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di un bene

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CONSIDERATO IN DIRITTO


nella consapevolezza di tale origine, non occorrendo alcun riferimento a scopi di profitto o di
lucro, caratterizzanti il diverso delitto di ricettazione (sez. 2 n. 7/1/2011, Rv. 249445).
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma
che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in €
1000,00.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e
della somma di € 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 19.11.2015

P.Q.M.

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