Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2698 del 12/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2698 Anno 2016
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI
ROMA
nei confronti di:
DE MATTEO RAFFAELE N. IL 10/10/1980
avverso la sentenza n. 12563/2013 CORTE APPELLO di ROMA, del
04/07/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. FABRIZIO DI MARZIO
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
L4
e
che ha concluso per
QL

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/11/2015

RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 18.6.2013 il tribunale di Cassino ha dichiarato De
Matteo Raffaele colpevole dei reati ascrittigli ai capi dell’imputazione: a) (ai
sensi dell’art. 628 comma 3 cod. pen.); c) (ai sensi dell’art. 628 comma 3
cod. pen.); d) (ai sensi degli artt. 582, 585, 576 cod. pen; e) ai sensi dell’art.
337 cod. pen..

gravame proposto dall’imputato ha riformato la sentenza del tribunale, ha
assolto il De Matteo dai reati ascrittigli per non avere commesso il fatto.
Contro detta pronunzia ricorre il Procuratore generale presso la corte di
appello di Roma contestando violazione di legge, travisamento del fatto e vizio
di motivazione.
Nel ricorso è sinteticamente ricostruito il compendio probatorio a carico
dell’imputato; è poi esaminata la motivazione assolutoria resa dalla corte di
appello, denunciando travisamento del fatto e manifesta illogicità della
motivazione sui punti che seguono.
In premessa il ricorrente osserva che, con riguardo all’imputazione di cui al
capo e) due appartenenti delle forze dell’ordine avevano riconosciuto l’odierno
imputato nell’immediatezza del fatto, riconoscimento ribadito in sede di
ricognizione personale da un carabiniere; che, con riguardo all’imputazione di
cui al capo a), una persona offesa aveva riconosciuto il De Matteo come
autore della rapina subita, sia in fotografia che tramite ricognizione formale;
che lo stesso aveva fatto una testimone, gestrice di un bar sito nelle vicinanze
del luogo del fatto, riconoscendo nell’imputato la persona che aveva chiesto di
fruire della toilette appena prima della commissione del delitto; che, con
riguardo all’imputazione del capo c) la persona offesa aveva riconosciuto sia in
foto che tramite ricognizione formale l’odierno imputato come uno degli autori
del delitto.
Ciò posto il ricorrente lamenta travisamento del fatto laddove la corte di
appello lamenta che le citate parti offese avrebbero riconosciuto persone
travisate mentre di tale circostanza non vi sarebbe traccia in atti.
Lamenta, inoltre, che la corte di appello abbia illogicamente sopravvalutato
l’alibi fornito dall’imputato circa la presenza dello stesso in una città lontana
dai luoghi dei fatti (Arce, Isola Del Liri e Castelliri), ossia Bolzano. Come,
infatti, sottolineato dalla sentenza del tribunale il presunto datore di lavoro,
testimone a discarico, è persona amica dell’imputato; né potrebbero assumere

/

Con la sentenza impugnata la corte di appello di Roma, in accoglimento del

valore decisivo i rapporti sulla presenza al lavoro dello stesso redatti dal
testimone. Osserva, inoltre, il ricorrente che anche l’argomentazione della
corte di appello fondata sulla non riferibilità della persona dell’imputato al
soggetto fotografato sul luogo dei fatti riferiti con riguardo alla rapina in Arce,
di cui al capo a) dell’imputazione, per come è emerso dalla disposta perizia
antropometrica è del tutto errata giacchè tale perizia avrebbe riguardato
persone ignote e diverse dagli autori della rapina fotografate, peraltro, in un

diverso luogo (Fontana Liri), teatro della rapina contestata al capo c),
avvenuta in periodo diverso.
Con memoria di replica depositata in data 30.10.2015 l’imputato, assistito dal
difensore, ha chiesto di dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, o comunque di
rigettare lo stesso, premettendo che l’obbligo della cosiddetta motivazione
“rafforzata” sussiste solo in caso di riforma di una sentenza assolutoria,
evidenziando come il ricorrente abbia svolto esclusivamente critiche nel
merito, di inammissibile valutazione in sede di legittimità, peraltro
tralasciando di considerare che le descrizioni del rapinatore effettuate dalle
persone offese e dai testimoni escussi sono tra di loro differenti; che
all’udienza del 29.1.2013 la persona offesa Polselli Filomena non ha
riconosciuto l’imputato; che le due utenze cellulari all’epoca intestate
all’imputato nei giorni delle rapine non avevano agganciato le celle dei luoghi
ove erano ubicate le gioiellerie rapinate; che la corte di appello avrebbe
correttamente valutato l’alibi prospettato dall’imputato; che correttamente la
corte di appello ha riconosciuto importanza ai risultati della perizia
antropometrica giacchè relativa a soggetti che avevano in uso l’automobile
utilizzata per la rapina nella gioielleria di Fontana Liri.

CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato.
Giova premettere che questa Corte ha ripetutamente affermato che ricorre il
vizio di motivazione illogica o contraddittoria solo quando emergono elementi
di illogicità o contraddizioni di tale macroscopica evidenza da rivelare una
totale estraneità fra le argomentazioni adottate e la soluzione decisionale
(Cass. 25 maggio 1995, n. 3262). In altri termini, occorre che sia mancata del
tutto, da parte del giudice, la presa in considerazione del punto sottoposto alla
sua analisi, talché la motivazione adottata non risponda ai requisiti minimi di
esistenza, completezza e logicità del discorso argomentativo su cui la
decisione è fondata e non contenga gli specifici elementi esplicativi delle

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ragioni che possono aver indotto a disattendere le critiche pertinenti dedotte
dalle parti (Cass. 15 novembre 1996, n. 10456).
Queste conclusioni restano ferme pur dopo la legge n. 46 del 2000 che,
innovando sul punto l’art. 606 lett. e) c.p.c., consente di denunciare i vizi di
motivazione con riferimento ad “altri atti del processo”: alla Corte di
cassazione resta comunque preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a
fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o

diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, ritenuti
maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa,
dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia
intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico
seguito, (ex plurimis: Cass. 1° ottobre 2008 n. 38803). Quindi, pur dopo la
novella, non hanno rilevanza le censure che si limitano ad offrire una lettura
alternativa delle risultanze probatorie, dal momento che il sindacato della
Corte di cassazione si risolve pur sempre in un giudizio di legittimità e la
verifica sulla correttezza e completezza della motivazione non può essere
confusa con una nuova valutazione delle risultanze acquisite. La Corte, infatti,
deve limitarsi a verificare se la giustificazione del giudice di merito sia
compatibile con il senso comune e con i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento (v. Cass. 3 ottobre 2006, n. 36546; Cass. 10 luglio 2007, n.
35683; Cass. 11 gennaio 2007, n. 7380) e tale da superare il limite del
ragionevole dubbio. La condanna al là di ogni ragionevole dubbio implica,
infatti, in caso di prospettazione di un’alternativa ricostruzione dei fatti, che
siano individuati gli elementi di conferma dell’ipotesi ricostruttiva accolta, in
modo da far risultare la non razionalità del dubbio derivante dalla stessa
ipotesi alternativa, con la precisazione che il dubbio ragionevole non può
fondarsi su un’ipotesi alternativa del tutto congetturale seppure plausibile (v.
Cass. sez. IV, 17.6.2011, n. 30862; sentenza Sezione 1^, 21 maggio 2008,
Franzoni, rv. 240673; anche Sezione 4^, 12 novembre 2009, Durante, rv.
245879).
La corte territoriale ha fondato la decisione assolutoria sull’esistenza di un
ragionevole dubbio circa la commissione dei fatti delittuosi imputati da parte
di De Matteo Raffaele.
Tuttavia, nella dimostrazione circa la esistenza di tale ragionevole dubbio ha
svolto una motivazione sganciata dalle articolate ragioni esposte nella
sentenza del tribunale a sostegno della opposta conclusione di condanna. In
tal modo l’argomentazione della corte d’appello si mostra logicamente viziata:

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perché di natura ampiamente congetturale da un lato, e, compromessa,
dall’altro, da un rilevante grado di genericità nella ricostruzione fattuale;
nonché, infine, ma non per ultimo, da una ingiustificata mancanza di
approfondimento, anche rninimale, circa le contrarie osservazioni logicamente
prospettate dal tribunale nella sentenza di condanna.
Si consideri, in tale prospettiva, quanto segue.
La corte territoriale prende atto delle ricognizioni fotografiche e dei

riconoscimenti personali effettuati dalle persone offese e dei testimoni in
occasione delle rapine e dagli agenti di pubblica sicurezza in occasione dei
fatti contestati dai capi d) ed e) dell’imputazione. Dichiara che tali elementi di
prova avrebbero natura indiziaria, benchè si tratterebbe, ad avviso della
stessa corte, di indizi gravi e concordanti.
Nonostante tale affermazione, e in senso contrario alla stessa, nel prosieguo
della motivazione di afferma però che i riconoscimenti riguardavano persone
travisate, che le descrizioni effettuate dai testi prima delle ricognizioni
fotografiche erano tra loro differenti, e la teste Polselli non riconobbe in aula
l’imputato, pur confermando la precedente ricognizione fotografica; che
l’imputato è un “soggetto normotipo del meridione”, come tale facilmente
scambiabile con altri, che i riconoscimenti effettuati dalle forze dell’ordine non
sarebbero del tutto convincenti attesa la brevità del tempo in cui si sarebbe
svolta l’osservazione e considerato che gli stessi testi non riuscirono a leggere
il numero di targa dell’autovettura in cui si trovava la persona riconosciuta.
Osserva, inoltre, la corte territoriale, che i risultati della disposta perizia
antropometrica hanno determinato un esito di “compatibilità parziale” tra il
soggetto fotografato e la persona dell’imputato.
A fronte di tali elementi, comunque a carico dell’imputato, evidenzia la corte
che ve ne sarebbero di altri di segno opposto.
Innanzitutto, l’alibi, definito “preciso”, che attesterebbe la presenza
dell’imputato nei giorni dei fatti contestati, nella lontana città di Bolzano.
Inoltre, il dato oggettivo che le utenze cellulari, in uso all’imputato, non
avevano agganciato le celle telefoniche dei luoghi in cui erano avvenute le
rapine.
Tale motivazione non considera in alcun modo gli importanti argomento forniti
in senso contrario dal tribunale.
In primo luogo, a pag. 8 della sentenza di primo grado, è precisato che i
testimoni avevano proceduto al riconoscimento fotografico e per ricognizione
formale dell’imputato. In nessun modo è indicato che lo stesso fosse travisato.

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Tale elemento, notevolmente valorizzato dalla corte di appello ai fini della
propria decisione, è semplicemente affermato senza ulteriori precisazioni, in
particolare senza alcuna indicazione circa le fonti testimoniali o documentali a
prova di tale fatto, e ciò benchè lo stesso non risulti dalla sentenza di primo
grado.
Dalla lettura delle due sentenze non è possibile, pertanto, desumere
l’esistenza di un effettivo travisamento del fatto e della prova, per come

denunciato nel ricorso; resta, tuttavia, che la motivazione della corte di
appello si mostra sul punto apodittica in quanto autoreferenziale e sganciata
da qualsiasi dato della realtà: infatti, non menzionato.
Inoltre, quanto ai risultati della perizia antropometrica, rileva il tribunale come
non vi sia certezza che la persona che entrò nella gioielleria venendo
fotografata fosse proprio l’odierno imputato e non altro soggetto e che i
riconoscimenti fotografici effettuati dalle persone offese sono avvenuti su
immagini diverse da quelle utilizzate per detta perizia, i cui risultati vengono
logicamente considerati a tal punto inetti ad inficiare i numerosi
riconoscimenti fotografici effettuati dalle persone offese e dai testimoni.
Circa l’alibi fornito dall’imputato, il tribunale argomenta a pag. 9 che lo stesso
appare inattendibile giacchè in primo luogo in aperto contrasto con plurimi
riconoscimenti fotografici e personali di cui si è detto, i quali fanno
logicamente apparire al tribunale estremamente improbabile che tutti i
testimoni si siano sbagliati. A tale logica argomentazione si aggiunge che i
documenti forniti a prova dell’alibi sono costituiti da semplici scritture private
prive di data certa e redatte dallo stesso teste a discarico, asseritamente
formate nei giorni di presenza dell’imputato sul luogo di lavoro ma prodotti
soltanto all’udienza del 9.4.20213.
Circa l’argomento sul mancato aggancio delle celle telefoniche relative ai
luoghi delle rapine da parte delle utenze in epoca in uso all’imputato, del tutto
logicamente il tribunale osserva che lo stesso avrebbe potuto servirsi di altre
utenze oppure avrebbe potuto agire senza recare cellulari indosso, tanto più
che nessun teste ha riferito della presenza di cellulari nella disponibilità del
rapinatore.
A fronte delle considerazioni del tribunale ora sinteticamente riportate, la
corte di appello si è limitata a ribadire, in estrema sintesi, nella propria
motivazione gli argomenti difensivi esposti dall’imputato senza correlarsi in
alcun modo con le valutazioni del tribunale e, dunque, affermando
apoditticamente la gravità e l’importanza del compendio probatorio e

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indiziario a discarico.
Così operando la corte di appello è giunta in maniera illogica alla conclusione
circa l’esistenza di un ragionevole dubbio sulla colpevolezza dell’imputato.
Tale conclusione potrebbe raggiungersi solo all’esito di una valutazione
adeguata alla completezza della motivazione resa dal tribunale e all’esito di
una considerazione del materiale istruttorio in atti scevra da qualsivoglia
carattere di apoditticità.

rinvio ad altra sezione della corte di appello di Roma per nuovo giudizio.

PQM
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della corte di
appello di Roma per nuovo giudizio.
Roma, 12.11.2015
Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

Il Presidente
Mario Gentile

Si impone, per queste ragioni, l’annullamento della sentenza impugnata con

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