Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26897 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 26897 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Bossi Felice, nato il 26/01/1946;

Avverso l’ordinanza n. 74/2014 emessa il 02/07/2014 dal Tribunale di
Livorno;

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Oscar
Cedrangolo, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

Data Udienza: 11/06/2015

RILEVATO IN FATTO

1. Con ordinanza emessa il 05/07/2014, il Tribunale di Livorno revocava
l’indulto concesso a Felice Bossi con la sentenza emessa dallo stesso Tribunale il
14/03/2007, applicandogli contestualmente l’indulto nella misura di anni uno e
mesi sei dì reclusione, in relazione alla sentenza emessa dal Tribunale medesimo
il 13/07/2011 che veniva confermata dalla Corte di appello di Firenze il
06/11/2008.

giudice dell’esecuzione con riferimento agli incidenti di esecuzione pronunciati su
richiesta del pubblico ministero che aveva chiesto la revoca dell’indulto, e del
difensore di fiducia dell’esecutato che aveva proposto istanza, respinta dal
Tribunale, ai sensi degli artt. 670 e 175 cod. proc. pen.

2. Avverso tale ordinanza Felice Bossi, a mezzo dell’avv. Giovanni Galeota,
ricorreva per cassazione, deducendo due motivi di ricorso.
Con il primo motivo di ricorso, si deducevano violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione all’omessa notificazione dell’avviso di deposito della
sentenza di appello nei confronti del difensore di fiducia, incolpevolmente
assente al dibattimento, con conseguente violazione del diritto alla difesa del
condannato.
Con il secondo motivo di ricorso, si deduceva violazione di legge e vizio di
motivazione, in relazione all’art. 175 cod. proc. pen., disattendo le ragioni poste
a fondamento della richiesta di restituzione in termini pure presentata
nell’interesse del Bossi.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento del decreto
impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
Quanto al primo motivo di ricorso deve rilevarsi che, nel caso di specie,
l’avviso di deposito della sentenza di appello non era dovuto, per effetto della
disposizione dell’art. 548, comma 2, cod. proc. pen.
Infatti, la motivazione della sentenza di appello veniva depositata nel
termine di quindici giorni, con la conseguenza che non doveva essere eseguita
alcuna notifica nei confronti del difensore dell’imputato, secondo quanto previsto
dall’art. 548, comma 2, cod. proc. pen. Secondo tale disposizione, quando la
sentenza non è depositata entro il trentesimo giorno ovvero entro il diverso
2

Tale provvedimento veniva adottato a seguito della riunione disposta dal

termine indicato dal giudice a norma dell’art. 544, comma 3, cod. proc. pen.,
l’avviso di deposito è comunicato al pubblico ministero e notificato alle parti
private cui spetta il diritto di impugnazione e a chi risulta difensore dell’imputato
al momento del deposito della sentenza.
Nessuna comunicazione, inoltre, doveva essere eseguita nei confronti del
Bossi, il quale, all’udienza del 06/09/2013, a seguito dell’ordine di traduzione
ritualmente emesso nei suoi confronti, rendeva dichiarazioni ai sensi dell’art. 123
cod. proc. pen., con cui esprimeva rinunzia a comparire, in conseguenza della

Risulta, in ogni caso, che l’estratto contumaciale della sentenza veniva
notificato all’imputato il 22/11/2013, con la conseguenza che, a partire da tale
data, il Bossi si trovava nelle condizioni di conoscenza materiale della sentenza di
secondo grado con cui era stata confermata la decisione emessa dal Tribunale di
Livorno il 13/07/2011, della cui esecutività si controverte.
Tali ragioni processuali impongono di ritenere inammissibile il primo motivo
di ricorso.

2. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo di ricorso con il
quale veniva richiesta la restituzione del termine, ai sensi dell’art. 175, commi 1
e 2, cod. proc. pen.
Deve, in proposito, rilevarsi che la scansione processuale che si è descritta,
con riferimento alla fase successiva all’emissione della sentenza di appello della
cui esecutività si discute, rende incontestabile che, nel caso di specie, non sono
riscontrabili le condizioni di caso fortuito o della forza maggiore invocati dal
difensore di fiducia dell’imputato, per configurare i quali è necessaria la
ricorrenza di condizioni tali da potere escludere ogni addebito, diretto o indiretto,
al difensore che li invoca ex art. 175, comma 1, cod. proc. pen. (cfr. Sez. 1, n.
16763 del 07/04/2010, dep. 03/05/2010, Incarnato, Rv. 249627).
Infine, le ragioni che si sono esplicitate con riferimento alla doglianza
esaminata nel paragrafo precedente impediscono di ritenere sussistenti i
presupposti per la restituzione del termine di cui all’art. 175, comma 2, cod.
proc. pen., essendo stata fornita dal giudice dell’esecuzione la prova dell’effettiva
conoscenza dell’atto irrevocabile rispetto al quale si invoca la declaratoria di non
esecutività, conformemente al seguente principio di diritto che occorre ribadire:
«La effettiva conoscenza del procedimento è preclusiva della restituzione nel
termine per impugnare la sentenza contumaciale, ex art. 175, comma secondo
cod. proc. pen., come novellato dal D.L. 21 febbraio 2005, n. 17, conv. con
modd. nella L. 22 aprile 2005, n. 60» (cfr. Sez. 2, n. 43452 del 03/07/2013,
dep. 24/10/2013, Baloc, Rv. 256822).
3

quale doveva ritenersi assente.

3. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Felice Bossi deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’Il giugno 2015.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle

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