Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26894 del 11/06/2015


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Penale Sent. Sez. 1 Num. 26894 Anno 2015
Presidente: GIORDANO UMBERTO
Relatore: CENTONZE ALESSANDRO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da:
1) Attanasio Mario, nato il 21/05/1972;

Avverso il decreto n. 66/2012 emesso il 14/02/2014 dalla Corte di appello di
Catanzaro;

Data Udienza: 11/06/2015

Sentita la relazione svolta dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;

Lette le conclusioni del Procuratore generale, in persona del dott. Pietro
Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

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RILEVATO IN FATTO

1. Con decreto emesso il 14/02/2014, la Corte di appello di Catanzaro
confermava il decreto emesso dal Tribunale di Cosenza con il quale era stata
applicata a Mario Attanasio la misura di prevenzione della sorveglianza speciale
di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno nel comune di residenza per la
durata di tre anni.
Questo provvedimento confermativo si fondava sulla valutazione della

dell’Attanasio a esponenti della criminalità organizzata di matrice

‘ndranghetista

dell’area cosentina, nonché alle risultanze di due procedimenti penali, uno
conclusosi con la sua condanna irrevocabile per una tentata estorsione
commessa fino al settembre del 2009, l’altro con la sua assoluzione dal reato
ascrittogl i.

2. Avverso tale decreto Mario Attanasio, a mezzo dell’avv. Giuseppe Bruno,
ricorreva per cassazione, deducendo vizio di motivazione in relazione a due
distinti profili valutativi del provvedimento impugnato.
Si deduceva, innanzitutto, l’incongruità motivazionale del provvedimento
impugnato sotto il profilo dell’insussistenza del requisito della pericolosità sociale
dell’Attanasio, che non era evincibile dagli elementi processuali richiamati dalla
Corte territoriale, stante l’assenza di una verifica concreta su tale requisito.
Si deduceva, inoltre, analoga incongruità motivazionale in ordine alla
particolare durata della misura applicata al prevenuto e alla necessità di
applicare l’ulteriore sanzione dell’obbligo di soggiorno nel Comune di Paola,
tenuto anche conto del fatto che le emergenze processuali richiamate nel
provvedimento in esame lasciavano propendere per una scarsa pericolosità
sociale dell’imputato.
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento del decreto
impugnato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso è inammissibile.
In via preliminare, deve rilevarsi che nel procedimento di prevenzione il
ricorso per cassazione, secondo quanto previsto dall’art. 4, comma 2, legge 27
dicembre 1956, n. 1423, così come richiamato dall’art. 3 ter, comma 2, legge 31
maggio 1965, n. 575, è ammesso soltanto per violazione di legge. Ne consegue
che devono escludersi dall’ambito dei vizi deducibili in sede di legittimità le
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posizione anagrafica giudiziaria del prevenuto, che veniva correlata alla vicinanza

ipotesi previste dall’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., potendosi
soltanto denunciare, ai sensi della lett. c) della stessa disposizione, la
motivazione inesistente o meramente apparente, integrante la violazione
dell’obbligo di provvedere con decreto motivato.
In sede di legittimità, dunque, non è deducibile il vizio di motivazione, a
meno che questa non sia del tutto carente, presentando difetti tali da renderla
meramente apparente e in realtà inesistente ossia priva dei requisiti minimi di
coerenza, completezza e logicità; ovvero quando la motivazione stessa si ponga

dal giudice di merito; ovvero, ancora, quando le linee argomentative del
provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici
da fare risultare oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione adottata
(cfr. Sez. 6, n. 20816 del 28/02/2013, dep. 14/05/2013, Buonocore e altri, Rv.
257007).
Questo orientamento ermeneutico ha ricevuto l’ulteriore suggello,avallato
anche dalla Corte costituzionale, delle Sezioni unite che hanno affermato il
seguente principio di diritto: «Nel procedimento di prevenzione il ricorso per
cassazione è ammesso soltanto per violazione di legge, secondo il disposto
dell’art. 4 legge 27 dicembre 1956, n. 1423, richiamato dall’art. 3 ter, secondo
comma, legge 31 maggio 1965, n. 575; ne consegue che, in tema di sindacato
sulla motivazione, è esclusa dal novero dei vizi deducibili in sede di legittimità
l’ipotesi dell’illogicità manifesta di cui all’art. 606, lett. e), cod. proc. pen.,
potendosi esclusivamente denunciare con il ricorso, poiché qualificabile come
violazione dell’obbligo di provvedere con decreto motivato imposto al giudice
d’appello dal nono comma del predetto art. 4 legge n. 1423 del 56, il caso di
motivazione inesistente o meramente apparente» (cfr. Sez. un., n. 33451 del
29/05/2014, dep. 29/07/2014, Repaci e altri, Rv. 260246).
In questa cornice sistematica, occorre considerare i singoli passaggi del
decreto oggetto delle doglianze del ricorrente, allo scopo di verificarne l’effettiva
congruità.

2. Quanto al primo motivo di ricorso, se ne deve rilevare l’inammissibilità,
atteso che, al contrario di quanto dedotto dalla difesa del ricorrente, la Corte di
appello di Torino formulava un giudizio di pericolosità sociale dell’Attanasio non
facendo esclusivamente riferimento alla sua condizione anagrafica giudiziaria e ai
suoi precedenti penali, ma effettuando una valutazione più ampia della sua
personalità e correlando ulteriormente tali elementi alla sentenza di condanna
per il reato di tentata estorsione, commessa nel settembre del 2009, divenuta
irrevocabile il 18/04/2013.
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come assolutamente inidonea a rendere comprensibile il percorso logico seguito

Attraverso tale percorso argomentativo, che risulta esente da discrasie
motivazionali, si riteneva che il reato per il quale l’Attanasio aveva riportato
condanna definitiva rivelasse, per tipologia e modalità di esecuzione, il
persistente collegamento funzionale con il sodalizio ‘ndranghetista di riferimento,
di cui mutuava le modalità operative tipicamente intimidatorie, costituite, nel
caso di specie, dal tentativo di imporre l’assunzione di un soggetto a un’impresa
operante nel settore dello smaltimento dei rifiuti.
Quanto alla rilevanza della sentenza di assoluzione, la corte territoriale

processuale unicamente allo scopo di valorizzare i rapporti tra l’Attanasio ed
esponenti del gruppo Bruni di Cosenza, richiamando in proposito le propalazioni
del collaborante Ulisse Serpa.
Ricostruito in questi termini, il giudizio di pericolosità compiuto nel
provvedimento impugnato nei confronti dell’Attanasio appare immune da
censure e conforme alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui: «Nel
giudizio di prevenzione vige la regola della piena utilizzazione di qualsiasi
elemento indiziario desumibile anche da procedimenti penali in corso e, persino,
definiti con sentenza irrevocabile di assoluzione, purché certo ed idoneo per il
suo valore sintomatico a giustificare il convincimento del giudice che è
ampiamente discrezionale in ordine alla pericolosità sociale del proposto. Tali
elementi indiziari possono essere desunti dai provvedimenti giudiziari anche
indipendentemente dall’acquisizione dei verbali, delle trascrizioni, o, per quanto
attiene alle intercettazioni, dai provvedimenti autorizzativi esistenti nel diverso
procedimento» (cfr. Sez. 2, n. 25919 del 28/05/2008, dep. 26/06/2008, Rosaniti
e altro, Rv. 240629).
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il primo motivo di
ricorso.

3. Parimenti inammissibile deve ritenersi il secondo motivo, riguardante
l’incongruità motivazionale del decreto impugnato, sotto il duplice profilo della
durata e della tipologia della misura di prevenzione della sorveglianza speciale
applicata all’Attanasio.
Deve, innanzitutto, rilevarsi che la manifesta infondatezza della doglianza
difensiva proposta discende dalla circostanza che il ricorrente si limitava a
censurare la natura meramente apparente della motivazione del provvedimento
impugnato con la generica affermazione di una scarsa pericolosità sociale del
prevenuto.
A questo deve aggiungersi che l’esame del provvedimento impugnato
smentisce l’assunto difensivo, laddove si fa espressamente riferimento alla
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riteneva correttamente di valutare gli elementi emergenti da tale ambito

presenza di elementi sintomatici di una personalità proclive a delinquere e di
un’abitualità nella dedizione a traffici delittuosi, tipica dei contesti delinquenziali
propri della criminalità organizzata – in questo caso di matrice ‘ndranghetista che imponevano di ricondurre l’Attanasio alle categorie soggettive previste
dall’art. 4 del d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159.
La genericità delle censure difensive, in ogni caso, inficia il percorso
deduttivo sotteso alla doglianza difensiva in esame, a fronte del fatto che, nel
caso in esame, come evidenziato nella requisitoria del procuratore generale, a

sociale ampiamente evidenziati nel provvedimento impugnato e che impingono la
loro rilevanza proprio nella lumeggiata contiguità del proposto agli ambienti
cosentini della criminalità organizzata».
Queste ragioni impongono di ritenere inammissibile il secondo motivo di
ricorso.

4. Per queste ragioni, il ricorso proposto da Mario Attanasio deve essere
dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al
versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in 1.000,00
euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di 1.000,00 euro alla Cassa delle
Ammende.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio dell’Il giugno 2015.

pagina 4, durata e obbligo di soggiorno «discendono da tratti di pericolosità

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