Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2689 del 10/11/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2689 Anno 2016
Presidente: FIANDANESE FRANCO
Relatore: VERGA GIOVANNA

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
PAPALE FRANCESCO N. IL 09/05/1959
avverso la sentenza n. 4585/2014 CORTE APPELLO di MILANO, del
26/02/2015
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 10/11/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. GIOVANNA VERGA
(41,, ‘’ Tra.L:t
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per ; e

Udito, per la parte civile, l’Avv Kwy) 1.31 (54-t-4
Uditi difensor Avv.

Data Udienza: 10/11/2015

CONSIDERATO IN FATTO
Con sentenza in data 20 febbraio 2015 la Corte d’appello di Milano confermava la sentenza del
locale Tribunale che in data 21 gennaio 2014 aveva condannato PAPALE Francesco per
circonvenzione di incapace in danno di Cocchetti Renato .
Avverso la sentenza il PAPALE presenta due ricorsi uno personale e uno a mezzo del proprio
difensore.
Con il ricorso presentato a mezzo del difensore deduce:

del capo di imputazione con riferimento alle condotte contestate ai punti 7), 9), 16) e
17). Sostiene che non vale ad elidere la eccepita nullità il richiamo alle plurime e
generiche dichiarazioni dell’imputato;
2. violazione degli articoli 603 e 495 codice di procedura penale per mancata assunzione di
prova decisiva. Lamenta che la corte d’appello ha stroncato la richiesta della difesa che
impugnando l’ordinanza 10 gennaio 2014 del tribunale di revoca dell’ordinanza
ammissiva dei testi della difesa aveva richiesto la rinnovazione anche parziale del
dibattimento per procedere all’escussione dei testi esclusi (in particolare Franca Mariani
compagna di Cocchetti Renato) e per espletare perizia sulla persona dell’imputato.
Rileva inoltre che vi è agli atti la prova dell’avvenuta citazione dei testi esclusi. Prova ne
è che il teste Podini aveva dichiarato al difensore la propria impossibilità a comparire
all’udienza e la sua disponibilità a presenziare all’udienza successiva.
3. Omessa motivazione con riguardo all’applicazione degli aumenti di pena per la ritenuta
continuazione
4. omessa motivazione con riguardo alla ritenuta applicazione della contestata recidiva
facoltativa;
5. vizio della motivazione in ordine alla ritenuta responsabilità per tutte le condotte
contestate con riguardo anche alla consapevolezza da parte dell’imputato della minorata
capacità intellettive della persona offesa considerato anche che dal processo emergeva
più di un segnale negativo in ordine allo stato di salute mentale dell’imputato

Con il ricorso personale, ricevuto dal direttore del carcere, in data 4 luglio 2015 deduce:
1. violazione di legge in relazione agli articoli 406 e 407 codice di procedura penale.
Sostiene che il pubblico ministero non ha chiesto al giudice per le indagini preliminari le
dovute proroghe;
2. vizio della motivazione in ordine alla valutazione delle prove. L’imputato, con dovizia di
particolari, ricostruisce i fatti processuali contestando le modalità di espletamento delle
indagini e la valutazione dei fatti in termini di responsabilità penale sostenendo che
l’intero procedimento si è svolto in palese violazioni di legge;

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1. violazione di legge per nullità del decreto di giudizio immediato per indeterminatezza

3. violazione di legge e vizio della motivazione con riguardo alla esclusione dei testi della
difesa;
4. violazione di legge per indeterminatezza del capo di imputazione
5. violazione di legge e vizio della motivazione in punto pena

Il PAPALE in data 28.7.2015 faceva pervenire alla Cancelleria di questa Sezione memoria in cui
ulteriormente illustrava i motivi di ricorso.

I ricorsi presentano sostanzialmente doglianze analoghe.
È opportuno esaminare i motivi di gravame secondo l’ordine derivante dalla pregiudizialità
delle relative questioni.
Viene reiterate in questa sede l’eccezione sollevata nei precedenti gradi di giudizio di nullità del
decreto di giudizio immediate per indeterminatezza del capo di imputazione.
In proposito va ricordato come, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, non vi è
incertezza sui fatti descritti nella imputazione quando questa contenga, con adeguata
specificità, i tratti essenziali del fatto di reato contestato, in modo da consentire all’imputato di
difendersi e che comunque non sussiste alcuna incertezza sull’imputazione, quando il fatto sia
contestato nei suoi elementi strutturali e sostanziali in modo da consentire un completo
contraddittorio ed il pieno esercizio del diritto di difesa ( Cass. N. 4342 del 1991 Rv.
186801; N. 16817 del 2008 Rv. 239758; n. 6335 del 2014 Rv. 25894). La contestazione,
inoltre, non va riferita soltanto al capo di imputazione in senso stretto, ma anche a tutti quegli
atti che, inseriti nel fascicolo processuale, pongono l’imputato in condizione di conoscere in
modo ampio l’addebito ( Cass N. 43481 del 2012 Rv. 253582; N. 6335 del 2014 Rv.
258948; N. 51248 del 2014 Rv. 261741)
Ciò detto deve rilevarsi che l’asserita genericità dell’imputazione formulata solo con riguardo ai
soli punti 7) 9) 16 e 17) è stato correttamente confutata dalla Corte territoriale la quale, con
motivazione perfettamente coerente agli atti processuali, in particolare allo stesso capo di
imputazione, ha rilevato come l’enunciazione dei fatti sub 7) 9) 16 e 17) fosse sufficientemente
circostanziata, rapportata alla vicenda in sé e ai frammenti che la compongono, e che nella
globale formulazione dell’imputazione la contestazione appariva nettamente delineata, di
talché non poteva dubitarsi che l’imputato fosse stato posto nelle condizioni di esercitare
compiutamente il diritto di difesa.
La doglianza in esame è pertanto inammissibile.
Con riferimento alla prova testimoniale richiesta dall’imputato ed ammessa dal giudice di primo
grado, ma poi non espletata, e riproposta al giudice di appello con richiesta di rinnovazione
della istruttoria dibattimentale va detto che ai sensi dell’art. 190 c.p.p., comma 3 e art. 495
c.p.p., comma 4, il giudice ha certamente il potere di revocare prove già ammesse quando le
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RITENUTO IN DIRITTO

ritenga superflue. Dall’esame degli atti – consentito e necessario in considerazione della natura
della censura – si evince che, all’udienza del 3.12.2013, il giudice autorizzò la citazione dei testi
della difesa, rinviando alla successiva udienza per la loro escussione. All’udienza del 10.1.2014
il Tribunale, preso atto che i testi non erano presenti, premesso che i poteri in ordine alla
valutazione della rilevanza delle prove richieste, riconosciute in questa fase al giudice, erano
più ampi di quelli disciplinati con riferimento alla fase prevista dall’articolo 493 codice di
procedura penale, e ritenuto che, alla luce della istruttoria dibattimentale fino a quel momento
compiuta, i testi indicati in lista, tenuto conto anche delle circostanze dedotte nella lista

ammissione dei testi della difesa e procedeva all’esame dell’imputato. La revoca è pertanto
avvenuta in ossequio al disposto dell’art. 495 co 4 c.p.p.
In sede di appello il ricorrente chiedeva la riapertura dell’istruttoria per sentire i testi revocati
dal Tribunale. La Corte d’Appello respingeva la richiesta ritenendo non utile per il giudizio
sull’infermità e sulla riconoscibilità della stessa sentire la teste Mariani, compagna della parte
offesa, e non argomentata in termini di rilevanza la richiesta degli ulteriori testi.
Ciò detto deve rilevarsi che in questa sede il ricorrente si è limitato a lamentare la mancata
assunzione dei testi esclusi senza indicare se dalla decisione fosse desumibile una grave lacuna
del ragionamento probatorio e della sua rappresentazione a livello motivazionale emendabile
con l’acquisizione di dette prove. Le censure difensive risultano pertanto generiche e
comunque manifestamente infondate perché non pongono in evidenza la desumibilità o meno,
dal tessuto argomentativo della sentenza di lacune correggibili con l’assunzione delle prove
richieste.
Con riguardo alla richiesta di perizia deve rilevarsi che secondo il consolidato orientamento di
questa Corte la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un
mezzo di prova “neutro”, sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del
giudice ( Cass N. 835 del 2004 Rv. 227859; N. 4981 del 2004 Rv. 229665; N. 14130 del
2007 Rv. 236191)
Anche il motivo in argomento è pertanto inammissibile.
Con riguardo alle doglianze in punto di responsabilità deve preliminarmente ribadirsi che
quando le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli
elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della
sentenza di appello può saldarsi con quella precedente per formare un unico complesso corpo
argomentativo, sicché risulta possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo
grado, colmare eventuali lacune della sentenza di appello.
È pacifico che non vi è un obbligo motivazionale esteso a tutte le deduzioni che compongono il
gravame. Infatti, per adempiere compiutamente l’obbligo della motivazione, il giudice del
merito non è tenuto a prendere in esame espressamente ed analiticamente tutte le circostanze
e le argomentazioni dedotte dall’imputato e dal suo difensore. È, invece, sufficiente – e
necessario – che il giudice medesimo enunci con adeguatezza e logicità quali circostanze ed
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depositata, apparivano palesemente superflui ai fini del decidere, revocava l’ordinanza di

emergenze processuali si sono rese determinanti per la formazione del suo convincimento, in
modo che risulti l’iter logico seguito per addivenire alla decisione adottata
Nel caso di specie la sentenza impugnata, letta in uno con la sentenza di primo grado, non si
presta ad alcuna censura avendo entrambi i giudici di merito – dopo avere, da una parte,
rigorosamente osservato i principi di diritto enunciati da questa Corte di legittimità in ordine
alla valutazione delle prove e, dall’altra, puntualmente disatteso la tesi difensiva
alternativamente prospettata – ritenuto l’imputato colpevole del reato ascritto con motivazione
logica, congrua ed adeguata e, quindi, incensurabile in questa sede di legittimità

l’intrinseca attendibilità dei risultati dell’interpretazione delle prove e di attingere il merito
dell’analisi ricostruttiva dei fatti, bensì quella, del tutto diversa, di accertare se gli elementi
probatori posti a base della decisione siano stati valutati seguendo le regole della logica e
secondo linee argomentative adeguate, che rendano giustificate, sul piano della
consequenzialità, le conclusioni tratte, verificando la congruenza dei passaggi logici, con
l’ulteriore conseguenza, costantemente affermata da questa Corte, che ad una logica
valutazione dei fatti operata dal giudice di merito, non può quello di legittimità opporne
un’altra, ancorché altrettanto logica. Orbene, nel caso in esame palese è la natura di merito
delle argomentazioni difensive, giacché volte le medesime, a fronte di un’esaustiva
motivazione del giudice territoriale, a differentemente valutare gli elementi di prova
puntualmente da esso richiamati e valorizzati, onde poi accreditare uno svolgimento della
vicenda del tutto alternativo a quello logicamente accreditato con la sentenza impugnata.
Alla luce di dette considerazioni anche i motivi sub 5 ricorso presentato a mezzo difensore e
sub 2 ricorso personale pertanto sono inammissibili.
La doglianza di cui al primo motivo del ricorso personale, attinente a violazione di legge, non
risulta avanzata in appello. Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è
delineato dall’art. 609 c.p.p., comma 1, il quale ribadisce in forma esplicita un principio già
enucleato dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di
ricorso proposti. Detti motivi – contrassegnati dall’inderogabile “indicazione specifica delle
ragioni di diritto e degli elementi di fatto” che sorreggono ogni atto d’impugnazione (art. 581
c.p.p., comma 1, lett. c), e art. 591 c.p.p., comma 1, lett. c) – sono funzionali alla
delimitazione dell’oggetto della decisione impugnata ed all’indicazione delle relative questioni,
con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere
letta in correlazione con quella dell’art. 606 c.p.p., comma 3 nella parte in cui prevede la non
deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello.
Analoghe considerazioni valgono anche per il motivo sub 3 del ricorso a firma del difensore,
considerato che la doglianza non risulta sollevata in sede di appello dove è stata chiesta solo la
riduzione della pena previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e l’esclusione
della recidiva.

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La funzione dell’indagine di legittimità sulla motivazione non è infatti quella di sindacare

Con riguardo alla doglianze di omessa motivazione con riguardo alla ritenuta recidiva deve
rilevarsi che nel caso in argomento l’esclusione della recidiva era stata genericamente
richiesta. Non è pertanto annullabile per difetto di motivazione la sentenza in argomento per il
fatto che ha omesso di prendere in esame un motivo di impugnazione che, per essere privo del
requisito della specificità, avrebbero dovuto essere dichiarato inammissibile. Sussiste, infatti,
un effettivo interesse dell’imputato a dolersi della violazione solo quando l’assunto difensivo
posto a fondamento del motivo sia in astratto suscettibile di accoglimento.( Cass. N. 2415 del
1984 Rv. 163169; N. 154 del 1985 Rv. 167304; N. 16259 del 1989 ; Cass Sez. 4 n. 1982/99;

Così come l’imputato non può dolersi della mancata motivazione in ordine alla fissazione della
pena quando, come nel caso di specie, il giudice ha indicati in sentenza gli elementi ritenuti
rilevanti o determinanti nell’ambito della complessiva applicazione di tutti i criteri di cui all’art.
133 c.p.
Il ricorso, alla luce delle argomentazioni espresse deve, pertanto, essere dichiarato
inammissibile e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali e
della somma di C 1000,00 da versare alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione in
favore delle parti civili Cocchetti Maria Grazia, in proprio e in qualità di curatore del padre
Cocchetti Renato, e Cocchetti Giovanna delle spese sostenute nel presente grado di giudizio
che liquida in complessivi euro 4900,00 oltre le spese forfettarie nella misura del 15% CpA e
Iva

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali
e della somma di euro 1000,00 alla Cassa delle Ammende, nonché alla rifusione i

»favore delle

parti civili Cocchetti Maria Grazia, in proprio e in qualità di curatore del padrevCocchetti Renato,
e Cocchetti Giovanna delle spese sostenute nel presente grado di giudizio che liquida in
complessivi euro 4900,00 oltre le spese forfettarie nella misura del 15% CpA e Iva
Così deliberato in Roma il 10.11.2015
Il Consigliere estensore
Giovanna VERGA

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Il Presidente
DANESE

Cass Sez. 4 n. 24973/09)

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