Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 2686 del 09/01/2014


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 2686 Anno 2014
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: DI MARZIO FABRIZIO

Data Udienza: 09/01/2014

SENTENZA
Sul ricorso proposto da De Stefano Salvatore, nato il 2.1.1963 avverso la
ordinanza del Tribunale della libertà di Catania, del 20.12.2012. Sentita la
relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio Di Marzio; udita la
requisitoria del sostituto procuratore generale Elisabetta Cesqui, il quale ha
concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza impugna’ta il Tribunale del riesame di Catania, decidendo sulla
richiesta di riesame promossa nell’interesse di Di Stefano Salvatore avverso
l’ordinanza del GIP del tribunale di Ragusa del 21/11/2012, che aveva
applicato allo stesso la misura cautelare della custodia in carcere sussistendo
gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di associazione a delinquere e
altro, ha riformato il provvedimento sostituendo alla predetta misura quella
degli arresti domiciliari.
Nel ricorso presentato nell’interesse dell’indagato si contesta violazione di
legge in relazione all’art. 416 cod. pen. e vizio di motivazione lamentando che
il tribunale avrebbe ritenuto integrati i gravi indizi di colpevolezza in ordine al

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reato associativo in assenza degli elementi di fattispecie all’uopo necessari
limitandosi a dedurre l’associazione a delinquere e la partecipazione, nella
stessa, dell’odierno indagato, dalle emergenze indiziarie tuttavia relative
esclusivamente ai reati-fine. Anche su questi ultimi, integranti ipotesi di furto,
si contesta l’insussistenza del quadro indiziario necessario all’adozione della
misura.
CONSIDERATO IN DIRITTO

Per giurisprudenza di questa Corte, che il Collegio condivide, l’ordinamento
non conferisce alla Corte di Cassazione alcun potere di revisione degli
elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore
degli indizi, né alcun potere di riconsiderazione delle caratteristiche soggettive
dell’indagato, ivi compreso l’apprezzamento delle esigenze cautelari e delle
misure ritenute adeguate, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito
esclusivo e insindacabile del giudice cui è stata chiesta l’applicazione della
misura cautelare, nonché del tribunale del riesame. Il controllo di legittimità
sui punti devoluti è, perciò, circoscritto all’esclusivo esame dell’atto impugnato
al fine di verificare che il testo di esso sia rispondente a due requisiti, uno di
carattere positivo e l’altro negativo, la cui presenza rende l’atto incensurabile
in sede di legittimità: 1) – l’esposizione delle ragioni giuridicamente
significative che lo hanno determinato; 2) – l’assenza di illogicità evidenti,
ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del
provvedimento(cfr. Cass. Sez. 6^ sent. n. 2146 del 25.05.1995 dep.
16.06.1995 rv 201840’e, tra le più recenti, Cass. Sez. III, 28.2.2012, n.
12763).
Tanto precisato, sul caso di specie deve rilevarsi quanto segue.
Nell’ordinanza impugnata, con motivazione logica e conforme alle regole di
diritto, si ricostruisce la sussistenza di un grave quadro indiziario in ordine a
tutti i delitti contestati al ricorrente ai capi A, B, C dell’imputazione
(rispettivamente, alle – pigine: 6-8 per la fattispecie associativa; 2-5 per i
furti).
Nel ricorso, dimostrandosi un evidente difetto di correlazione con la
motivazione della ordinanza impugnata, si espongono critiche estremamente
generiche e come tali già in prospettazione inammissibili circa la sussistenza
del quadro indiziario con riguardo ai delitti di furto; non si tiene invece conto
della compiuta motivàzrone in ordine alla sussistenza della associazione a
delinquere, per come allo stato delineata dal quadro indiziario in atti, pur
accuratamente svolta dal tribunale.

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Nel provvedimento impugnato, infatti, il tribunale ha precisato – tra l’altro- la
ripartizione dei ruoli tra gli associati per la realizzazione dei singoli reati-fine;
lo stesso legame esistente tra essi, rafforzato da relazioni di tipo personale;
l’aiuto reciproco dopo la commissione di delitti allo scopo di garantirsi
copertura; il numero dei reati commessi e di quelli che gli indagati avevano
intenzione di portare a termine (che testimoniano la continuità dell’operatività
del gruppo nel tempo); la sussistenza di precise basi logistiche utilizzate per

realizzazione del programma criminale; la cooperazione anche nei reati
finalizzati ad ulteriori profitti, come di ricettazione: tutti indici sintomatici
dell’esistenza non già di un semplice accordo limitato alla commissione di
alcuni reati bensì, molto più ampiamente, dell’operato di una struttura
attentamente organizzata, finalizzata al perseguimento di un ben più ampio
programma associativo.
Ne consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al
pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della
Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa
emergenti dai ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
PQM
-•
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e al versamento della somma di euro 1000,077in favore
della Cassa delle ammende.
Così deliberato il 9.1.2014

Il Consigliere estensore
Fabrizio Di Marzio

o

Il
A

sidente

orli Esposito

l’organizzazione dei reati; il materiale contributo fornito da essi alla

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