Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26797 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26797 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Giubaldo Francesco, nato a Marsala il 28/1/1970
avverso la sentenza 14/10/2014 della Corte d’appello di Palermo, II
sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Piero Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato, l’avv. Giovanni Gaudino, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 14/10/2014, la Corte di appello di Palermo

confermava la sentenza del Tribunale di Marsala, in data 19/9/2013, che
aveva condannato Giubaldo Francesco alla pena di anni cinque di reclusione
ed €.1.500,00 di multa per il reato di rapina aggravata in concorso.

1

Data Udienza: 19/06/2015

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità dell’imputato in ordine al reato a lui ascritto ed equa la pena
inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con i quali deduce:
Erronea applicazione dell’art. 194 cod. proc. pen. ed omessa ed

insufficiente motivazione in ordine alla disamina della prove difensive. Al
riguardo si duole che la Corte abbia omesso del tutto ogni valutazione in
ordine alle prove testimoniali indotte dalla difesa in primo grado,
limitandosi a richiamare de plano le argomentazioni del primo giudice per
disattendere l’alibi dell’imputato.
3.2

Erronea applicazione dell’art. 533 cod. pen. per aver violato la

regola dell’al di là di ogni ragionevole dubbio nell’affermare la colpevolezza
dell’imputato.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

2.

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella

di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una
sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del
28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n.
11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar
luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
2

3.1

un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,
obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere
accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che

verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se
risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di
annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

3.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice. Le
osservazioni del ricorrente, fondate su doglianze generiche, non scalfiscono
l’impostazione della motivazione e non fanno emergere profili di manifesta
illogicità della stessa; nella sostanza, esse svolgono, sul punto
dell’accertamento della responsabilità, considerazioni in fatto insuscettibili di
valutazione in sede di legittimità, risultando intese a provocare un
intervento in sovrapposizione di questa Corte rispetto ai contenuti della
decisione adottata dal Giudice del merito. Come tali risultano inammissibili.

3

soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di

4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 giugno 2015

186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille! 00).

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