Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26795 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26795 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Angieri Augusto, nato a Taurano il 10/2/1962,
avverso la sentenza 10/7/2014 della Corte d’appello di Napoli, III sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Piero Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;
udito per l’imputato, l’avv. Annibale Schettino, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 10/7/2014, la Corte di appello di Napoli

confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Napoli, in data
30/4/2013, che aveva condannato Angieri Augusto alla pena di anni cinque
di reclusione ed €.10.000,00 di multa per i reati di usura di cui ai capi 1, 3
(aggravati dal metodo mafioso) e A), nonché per il reato di esercizio abusivo

1

Data Udienza: 19/06/2015

del credito di cui al capo 5

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ed equa la pena
inflitta

Avverso tale sentenza e avverso l’ordinanza reiettiva della questione

di costituzionalità con riferimento al decreto che dispone il giudizio ex art.
429 cod. proc. pen., nonché l’ordinanza di mancata acquisizione delle
trascrizioni delle conversazioni telefoniche, dei verbali delle dichiarazioni
dibattimentali delle persone offese relative al procedimento per i medesimi
fatti svoltosi con rito ordinario, e di documentazione proveniente
dall’imputato, propone ricorso Angieri Augusto per mezzo del suo difensore
di fiducia, sollevando sei motivi di gravame con i quali deduce:
3.1

Violazione del diritto alla prova e dei principi del giusto processo, in

riferimenti all’art. 111 Cost e 6 CEDU in relazione all’ordinanza di diniego di
acquisizione della documentazione afferente:
– la trascrizione delle telefonate di cui al brogliaccio in atti;
– le dichiarazioni testimoniali delle persone offese;
– i provvedimenti del Tribunale di Avellino e della Corte d’appello di Napoli
relativi alla richiesta di misura di prevenzione nei confronti dell’Angieri.
3.2

Incostituzionalità dell’art. 405 cod. proc. pen. nella parte in cui

non prevede che nell’esercizio dell’azione penale il P.M. debba tener conto
della rimodulazione dell’imputazione operata dal Tribunale per il riesame
che, nella specie aveva escluso la circostanza aggravante di cui all’art. 7 L.
203/91;
3.3

Vizio della motivazione per mancata risposta della Corte

territoriale a specifiche questioni sollevata dalla difesa con i motivi
d’appello; in particolare per l’erronea applicazione dell’aggravante ex art.
644, co. 5 n. 4 cod. pen.
3.4

Violazione di legge con riferimento all’art. 132 del Dlgs 385/93,

per l’insussistenza dei presupposti dell’esercizio abusivo dell’attività di
credito.
3.5

Violazione di legge e vizio della motivazione per travisamento

2

3.

della prova in relazione alla ritenuta sussistenza dei presupposti per
l’applicazione dell’aggravante ex art. 7 L. 203/91.
3.6

Vizio della motivazione per mancata concessione delle generiche

1.

Il ricorso è infondato.

2.

Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Secondo

l’insegnamento di questa Corte, nel giudizio abbreviato d’appello, siccome
l’unica attività d’integrazione probatoria consentita è quella esercitabile
officiosamente, non è configurabile un vero e proprio diritto alla prova di
una delle parti cui corrisponda uno speculare diritto della controparte alla
prova contraria, con la conseguenza che il mancato esercizio da parte del
giudice d’appello dei poteri officiosi di integrazione probatoria, non può mai
integrare, il vizio di cui all’art. 606, comma primo, lett. d) cod. proc. pen.
(Cass. Sez. 1, Sentenza n. 37588 del 18/06/2014 Ud. (dep. 12/09/2014)
Rv. 260840). Ed ancora: in tema di giudizio abbreviato, la rinnovazione
dell’istruzione dibattimentale in appello (art. 603 cod. proc. pen.) è
compatibile con il rito abbreviato “non condizionato”, ma il mancato
esercizio di poteri istruttori da parte del giudice, benché sollecitato
dall’imputato, non costituisce vizio deducibile mediante ricorso per
cassazione ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. d), cod. proc. pen.,
attesa la esclusione del diritto di chi ha optato per la definizione del
processo nelle forme del procedimento speciale “allo stato degli atti” a
richiedere alcuna integrazione probatoria (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 20262
del 18/03/2014 Ud. (dep. 15/05/2014 ) Rv. 259663). Nel caso di specie la
Corte legittimamente ha respinto l’integrazione probatoria richiesta dalla
difesa, con una motivazione priva di vizi logico-giuridici che giustifica
perfettamente la scelta compiuta.

3.

Anche la questione di incostituzionalità dell’art. 405 cod. proc. pen.

nella parte in cui non prevede che nell’esercizio dell’azione penale il P.M.
debba tener conto della riqualificazione dell’imputazione operata dal
Tribunale per il riesame è manifestamente infondata, data l’autonomia della
fase preliminare del processo rispetto alla fase dibattimentale. Del resto la

3

CONSIDERATO IN DIRITTO

Corte Costituzionale con la sentenza n. 121/2009 ha dichiarato
l’incostituzionalità del comma 1 bis dell’art. 405 cod. pen. che obbligava il
RM. a formulare richiesta di archiviazione in conformità all’accertamento
della insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza operato dal Tribunale del
riesame e convalidato dalla Cassazione.

4.

Per quanto riguarda il terzo, il quarto ed il quinto motivo di ricorso,

appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si integrano
vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una sola
entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del
28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n.
11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar
luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,
obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere
accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che
soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di
verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se
risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argonnentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di

occorre rilevare, in punto di diritto che la sentenza appellata e quella di

annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.
6.

Dall’esame congiunto delle due sentenze di merito emerge

l’infondatezza delle doglianze della difesa in ordine alla insussistenza
dell’aggravante di cui all’art. 644 co. 5 e del metodo mafioso, ex art. 7 L.
203/91, nonché dei presupposti per integrare il reato di esercizio abusivo
del credito. Di conseguenza i motivi terzo, quarto e quinto, devono essere
respinti siccome infondati.

7.

Infine è inammissibile il sesto motivo in punto di diniego delle

generiche. Nel caso di specie la mancata concessione delle circostanze
attenuanti generiche è giustificata da motivazione esente da manifesta
illogicità, che, pertanto, è insindacabile in cassazione (Cass., Sez. 6, n.
42688 del 24/9/2008, Rv. 242419), anche considerato il principio affermato
da questa Corte secondo cui non è necessario che il giudice di merito, nel
motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in
considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o
rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli
ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli
altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv.
249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).
8.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara rigetta il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento.

5

5.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali.
Così deciso, il 19 giugno 2015

Il Presidente

Il Consigliere estensore

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