Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26793 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26793 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Seidaj Indrit, nato a Durazzo il 27/1/1990
avverso la sentenza 18/9/2014 della Corte d’appello di Genova, I sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Piero Gaeta, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 18/9/2014, la Corte di appello di Genova

confermava la sentenza del Gip presso il Tribunale di Imperia, in data
6/11/2013, che aveva condannato Seidaj Indrit alla pena di anni tre, mesi
due di reclusione ed €.1.000,00 di multa per i reati di rapina, lesioni
personali, porto ingiustificato di coltello in concorso.

1

Data Udienza: 19/06/2015

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello

in punto di trattamento sanzionatorio e confermava le statuizioni del primo
giudice, ritenendo equa la pena inflitta

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando quattro motivi di gravame con i quale
deduce:
Vizio della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza

dell’aggravante di cui all’art. 328 comma 3 bis cod. pen.
3.2

Vizio della motivazione e violazione di legge in relazione alla ritenuta

sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 bis, anche in relazione
all’art. 628, comma 3 bis cod. pen.
3.3

Vizio della motivazione in relazione al diniego dell’attenuante di cui

all’art. 62 n. 6 cod. pen.
3.4

Vizio della motivazione per essere stata esclusa dal giudizio di

equivalenza l’aggravante di cui all’art. 628, comma 3 bis e poi
contraddittoriamente reinserita, nonché per omessa valutazione di
numerosissime attenuanti generiche.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

2.

Per quanto riguarda il primo motivo di ricorso in punto di sussistenza

dell’aggravante dell’essere stato il fatto commesso nei luoghi di cui all’art.
624 bis cod. pen. le censure del ricorrente sono ripetitive delle analoghe
questioni sollevate con i motivi d’appello che la Corte d’appello ha rigettato
confutandole con motivazione congrua, priva di vizi logico giuridici e
coerente con la giurisprudenza di questa Corte. Nè sarebbe possibile
intravedere un’incompatibilità fra l’aggravante di cui all’art. 624 bis e quella
di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. dal momento che – come ha osservato
correttamente la Corte d’appello – la volontaria manomissione dell’impitato
dio illuminazione è stata posta in essere proprio per compiere il delitto con
maggiore sicurezza, ostacolandop il riconoscimento dei due colpevoli. Di

2

3.1

conseguenza sono inammissibili il primo e secondo motivo di ricorso.

3.

Sono inammissibili anche le censure sollevate con il terzo motivo di

ricorso. La Corte territoriale ha respinto la richiesta di concessione
dell’attenuante del risarcimento del danno con una motivazione congrua,
articolata con valutazioni in fatto sul carattere non satisfattivo della somma
versata, che non possono essere oggetto di diverso apprezzamente in

4.

Infine sono inammissibili le censure in punto di giudizio di

comparazione fra aggravanti e attenuanti. Infatti, le statuizioni relative al
giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una
valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato
di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento
illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi
quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a
ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in
concreto (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931).
5.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

questa sede.

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