Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26792 del 19/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26792 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Houssini Sami, nato in Tunisia il 12/2/1971
avverso la sentenza 21/10/2014 della Corte d’appello di Bologna, II
sezione penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Piero Gaeta, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 21/10/2014, la Corte di appello di Bologna, in

parziale riforma della sentenza del Gip presso il Tribunale di Bologna, in data
22/11/2013, riqualificati i fatti di cui al capo A) come sequestro di persona
ex art. 605 cod. pen. ed estorsione ex art. 629 cod. pen., riduceva la pena
inflitta a Houssini Sami, rideterminandola in anni cinque di reclusione ed C.
700,00 di multa,

1

Data Udienza: 19/06/2015

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, sollevando due motivi di gravame con il quale deduce:
3.1

Contraddittorietà ed illogicità della motivazione e violazione di

legge in relazione ai reati di rapina estorsione e sequestro di persona. Al
riguardo si duole che la Corte pur ritenendo inattendibile la persona offesa
abbia ritenuto sussistenti gli atti predatori. Eccepisce, inoltre, che la
derubricazione dell’originaria contestazione di sequestro di persona a scopo

di rapina contestato al capo B).
3.2

Violazione di legge in relazione agli artt. 133 e 62 n. 4 cod. pen.

e carenza di motivazione sul punto, dolendosi del diniego dell’attenuante
del danno patrimoniale di speciale tenuità e della dosimetria della pena.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità e comunque manifestamente infondati.

2.

Per quanto riguarda il primo motivo, le censure di vizio della

motivazione si risolvono in doglilanze generiche e quindi sono inammissibili
per aspecificità. In diritto è manifestamente infondata l’eccezione di
incompatibilità fra il reato di estorsione, come riqualificato il capo A) e
quello di rapina di cui al capo B), in quanto si tratta di condotte diverse,
riguardanti, la prima l’estorsione commessa in danno della madre della
vittima, la seconda la sottrazione del portafoglio e del telefono cellulare ad
Andriy Stepanov.

3.

Ugualmente inammissibili sono le censure in merito al trattamento

sanzionatorio in quanto, secondo la giurisprudenza di questa Corte,
nell’ipotesi in cui la determinazione della pena non si discosti
eccessivamente dai minimi edittali, il giudice ottempera all’obbligo
motivazionale di cui all’art. 125, comma terzo, cod.pen., anche ove adoperi
espressioni come “pena congrua”, “pena equa”, “congruo aumento”, ovvero
si richiami alla gravità del reato o alla personalità del reo (Cass. Sez. 3,
Sentenza n. 33773 del 29/05/2007 Ud. (dep. 03/09/2007 ) Rv. 237402). E’
stato, poi, ulteriormente precisato che la specifica e dettagliata motivazione
2

di estorsione a mera estorsione, impedisce la coesistenza logica con il reato

in ordine alla quantità di pena irrogata, specie in relazione alle diminuzioni o
aumenti per circostanze, è necessaria soltanto se la pena sia di gran lunga
superiore alla misura media di quella edittale, potendo altrimenti essere
sufficienti a dare conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. le
espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”,
come pure il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere
(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 36245 del 26/06/2009 Ud. (dep. 18/09/2009)

misura media di quella edittale, ma va rilevato che la Corte ha
specificamente motivato giustificando lo scostamento dal minimo edittale.
Quanto all’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod. pen., il ricorrente non ha
alcun motivo di dolersene dal momento che la Corte d’appello l’ha applicata,
versandola nel giudizio di comparazione con criterio di equivalenza. Pertanto
nessuna censura può essere mossa, sotto questo profilo alla sentenza
impugnata.

4.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 19 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

Rv. 245596). Nel caso di specie non solo la pena inflitta è al di sotto della

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