Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26783 del 16/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26783 Anno 2015
Presidente: GENTILE MARIO
Relatore: GALLO DOMENICO

SENTENZA

Sul ricorso proposto da
Fardella Gioacchino, nato a Palermo il 15/3/1956
avverso la sentenza 17/3/2014 della Corte d’appello di Palermo, II sezione
penale;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Domenico Gallo;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore generale,
Antonio Gialanella, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso;

RITENUTO IN FATTO

1.

Con sentenza in data 17/3/2014, la Corte di appello di Palermo

confermava la sentenza del Gup presso il Tribunale di Palermo, in data
17/10/2012, che aveva condannato Fardella Gioacchino alla pena di anni
uno, mesi sei di reclusione ed C. 4.000,00 di multa per il reato di usura
continuata ed esercizio abusivo del credito.

2.

La Corte territoriale respingeva le censure mosse con l’atto d’appello,

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Data Udienza: 16/06/2015

e confermava le statuizioni del primo giudice, ritenendo accertata la penale
responsabilità dell’imputato in ordine ai reati a lui ascritti ed equa la pena
inflitta.

3.

Avverso tale sentenza propone ricorso l’imputato per mezzo del suo

difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio della motivazione
in relazione al reato di usura ed in relazione al reato di esercizio abusivo

3.1

Quanto al primo reato si duole che la Corte d’appello si sia riportata

alla motivazione del giudice di prime cure senza tener conto delle specifiche
censure sollevate dall’appellante in punto di verifica della credibilità del
narrato della persona offesa e di riscontri esterni.
3.2

Quanto al secondo reato, eccepisce l’insussistenza del presupposto

dello svolgimento dell’attività di credito verso una platea indeterminata di
soggetti.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.

Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti

nel giudizio di legittimità.

2.

In punto di diritto occorre rilevare che la sentenza appellata e quella

di appello, quando non vi è difformità sulle conclusioni raggiunte, si
integrano vicendevolmente, formando un tutto organico ed inscindibile, una
sola entità logico- giuridica, alla quale occorre fare riferimento per giudicare
della congruità della motivazione. Pertanto, il giudice di appello, in caso di
pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per
relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non
oggetto di specifiche censure (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 4827 del
28/4/1994 (ud. 18/3/1994) Rv. 198613, Lo Parco; Sez. 6, Sentenza n.
11421 del 25/11/1995 (ud. 29/9/1995), Rv. 203073, Baldini). Inoltre, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte ritiene che non possano giustificare
l’annullamento minime incongruenze argomentative o l’omessa esposizione
di elementi di valutazione che, ad avviso della parte, avrebbero potuto dar
luogo ad una diversa decisione, sempreché tali elementi non siano muniti di
un chiaro e inequivocabile carattere di decisività e non risultino, di per sè,
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del credito.

obiettivamente e intrinsecamente idonei a determinare una diversa
decisione. In argomento, si è spiegato che non costituisce vizio della
motivazione qualsiasi omissione concernente l’analisi di determinati
elementi probatori, in quanto la rilevanza dei singoli dati non può essere
accertata estrapolandoli dal contesto in cui essi sono inseriti, ma devono
essere posti a confronto con il complesso probatorio, dal momento che
soltanto una valutazione globale e una visione di insieme permettono di

risultino inidonei a scuotere la compattezza logica dell’impianto
argomentativo, dovendo intendersi, in quest’ultimo caso, implicitamente
confutati. (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 3751 del 23/3/2000 (ud. 15/2/2000),
Rv. 215722, Re Carlo; Sez. 5, Sentenza n. 3980 del 15/10/2003 (Ud.
23/9/2003) Rv.226230, Fabrizi; Sez. 5, Sentenza n. 7572 del 11/6/1999
(ud. 22/4/1999) Rv. 213643, Maffeis). Le posizioni della giurisprudenza di
legittimità rivelano, dunque, che non è considerata automatica causa di
annullamento la motivazione incompleta ne’ quella implicita quando
l’apparato logico relativo agli elementi probatori ritenuti rilevanti costituisca
diretta ed inequivoca confutazione degli elementi non menzionati, a meno
che questi presentino determinante efficienza e concludenza probatoria,
tanto da giustificare, di per sè, una differente ricostruzione del fatto e da
ribaltare gli esiti della valutazione delle prove.

3.

In applicazione di tali principi, può osservarsi che la sentenza di

secondo grado recepisce in modo critico e valutativo la sentenza di primo
grado, correttamente limitandosi a ripercorrere e ad approfondire alcuni
aspetti del complesso probatorio oggetto di valutazione critica da parte della
difesa, omettendo, in modo del tutto legittimo in applicazione dei principi
sopra enunciati, di esaminare quelle doglianze degli atti di appello che
avevano già trovato risposta esaustiva nella sentenza del primo giudice.

4.

In particolare la sentenza d’appello ha preso in considerazione le

censure in punto di attendibilità del narrato della persona offesa, rilevando
che le dichiarazioni della persona offesa risultavano confermate da altre
emergenze processuali, richiamando le dichiarazioni di Conte Antonino e
Barbaro Salvatore ed i risultati delle intercettazioni telefoniche, fra le quali
una conversazione in cui l’imputato discute proprio delle somme da avere
dalla persona offesa.

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verificare se essi rivestano realmente consistenza decisiva oppure se

5.

Orbene, secondo l’insegnamento di questa Corte: in tema di

valutazione della prova testimoniale, a base del libero convincimento del
giudice possono essere poste sia le dichiarazioni della parte offesa sia quelle
di un testimone legato da stretti vincoli di parentela con la medesima. Ne
consegue che la deposizione della persona offesa dal reato, pur se non può
essere equiparata a quella del testimone estraneo, può tuttavia essere

controllo di credibilità oggettiva e soggettiva, non richiedendo
necessariamente neppure riscontri esterni, quando non sussistano situazioni
che inducano a dubitare della sua attendibilità” (Cass. Sez. 5, Sentenza n.
6910 del 27/04/1999 Ud. (dep.01/06/1999 ) Rv. 213613;

Sez. 5,

Sentenza n. 8934 del 09/06/2000 Ud. (dep. 08/08/2000 ) Rv. 217355; Sez.
2, Sentenza n. 4281 del 17/08/2000 Cc. (dep. 24/08/2000) Rv. 217419).

6.

Tanto premesso, occorre precisare che: “in tema di prove, la

valutazione della credibilità della persona offesa dal reato rappresenta una
questione di fatto che ha una propria chiave di lettura nel compendio
motivazionale fornito dal giudice e che non può essere rivalutata in sede di
legittimità, a meno che il giudice non sia incorso in manifeste
contraddizioni” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 8382 del 22/01/2008 Ud.
(dep.25/02/2008 ) Rv. 239342).

7.

Nel caso di specie il percorso argomentativo seguito dalla Corte

territoriale non presenta contraddizioni manifeste, al contrario il controllo
dell’attendibilità delle dichiarazioni della persona offesa è stato effettuato
dalla Corte con argomentazioni in fatto coerenti e prive di vizi logicogiuridici.

8.

Per quanto riguarda le censure sollevate con il secondo motivo in

punto di sussistenza degli estremi del reato di esercizio abusivo del credito,
secondo la giurisprudenza di questa Corte, commette il reato di esercizio
abusivo di attività finanziaria, a norma dell’art. 132 D.Lgs. 1 settembre
1993, n. 385, chi pone in essere le condotte previste dall’art. 106 del
medesimo D.Lgs. inserendosi nel libero mercato e sottraendosi ai controlli di
legge, purché l’attività, anche se in concreto realizzata per una cerchia
ristretta di soggetti, sia rivolta ad un numero potenzialmente illimitato

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assunta anche da sola come fonte di prova, ove sia sottoposta a un attento

(Cass. Sez. 2, Sentenza n. 41142 del 19/09/2013 Ud. (dep. 07/10/2013 )
Rv. 257337). Nel caso di specie la motivazione della Corte territoriale dà
atto di una complessa ed abituale attività di prestito di denaro a terzi,
condotta che costituisce la principale attività svolta dal Fardella nell’arco
temporale compreso fra il 2007 ed il 2008. Alla luce di tale accertamento
infatto sono corrette le conclusioni in diritto dei giudici del merito che hanno
ritenuto integrati gli estremi della condotta del reato di esercizio abusivo del

manifestamente infondato.

9.

Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che

dichiara inammissibile il ricorso, l’imputato che lo ha proposto deve essere
condannato al pagamento delle spese del procedimento, nonché ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità – al pagamento a favore della Cassa delle ammende di una
somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n.
186 del 2000, si stima equo determinare in euro 1.000,00 (mille/00).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso, il 16 giugno 2015

Il Consigliere estensore

Il Presidente

credito. Pertanto anche il secondo motivo di ricorsa del Fardella risulta

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