Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26779 del 12/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26779 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
CUCCO DANIELE N. IL 24/09/1966
avverso la sentenza n. 331/2011 CORTE APPELLO di ANCONA, del
23/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. – .(3 aejt)
che ha concluso per

p

Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.

Data Udienza: 12/06/2015

Con sentenza del 23 gennaio 2014, la Corte di appello di Ancona ha, per quel
che qui rileva, confermato la sentenza pronunciata il 27 maggio 2010 dal Tribunale di
Macerata con la quale CUCCO Daniele era stato condannato alla pena di anni tre e
mesi quattro di reclusione ed euro 1.000 di multa quale imputato di ricettazione di
una autovettura ed altro provento di furto.
Propone ricorso per cassazione il difensore il quale,rinnovando le stesse
doglianze già proposte in appello e motivatamente disattese dai giudici del grado,
lamenta la mancata escussione di un teste che avrebbe potuto riferire sui fatti, con
conseguente violazione, fra l’altro,dei criteri di valutazione della prova in punto di
responsabilità. Si deduce poi vizio di motivazione, in quanto la coimputata sulla ase
dello stesso narrato dell’imputato sarebbe stata assolta e si deduce uguale vizio anche
in ordine al fatto che non sarebbero stati rinvenuti gli altri oggetti sottratti nella
medesima circostanza. Si lamenta infine la eccessività della pena e si contesta la
mancata concessione delle attenuanti generiche.
Il ricorso è manifestamente inammissibile in quanto i motivi sono generici e
volti ad una mera rivalutazione degli apprezzamenti correttamente svolti dei giudici
del gravame. Per un verso, dunque, il ricorso è inammissibile, in quanto il ricorrente
si è limitato a prospettare una alternativa ricostruzione dei fatti e delle responsabilità
sulla base esclusivamente di deduzioni in punto di fatto, per di più articolate in forza
di argomentazioni nella sostanza aspecifiche. I motivi proposti risultano, pertanto,
solo formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto
l’enunciato impugnatorio appare essere genericamente sviluppato sulla base di rilievi
di merito, tendenti ad una rilettura del compendio probatorio e ad una rivalutazione
delle relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni, per di più,
sviluppate sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti —
essenzialmente relativi alla ritenuta inattendibilità della versione difensiva, costellata
di riferimenti a persone decedute – in relazione ai quali il ricorrente ha svolto le
proprie censure, evidentemente tese ad un improprio riesame del fatto, estraneo al
perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a questa Corte. Sotto altro
profilo, riproponendosi le stesse doglianze già scrutinate in appello, senza che al
relativo apporto argomentativo sia stata frapposta una effettiva ed articolata critica
impugnatoria, il ricorso si rivela anche aspecifico. La giurisprudenza di questa Corte
è infatti ormai da tempo consolidata nell’affermare che deve essere ritenuto
inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che riproducono le stesse
ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi
considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, infatti, deve essere
apprezzata non solo per la sua genericità, intesa come indeterminatezza, ma anche per
la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e
quelle poste a fondamento dell’impugnazione, dal momento che quest’ultima non può
ignorare le esplicazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di specificità che
conduce, a norma dell’art. 591, comma 1, lettera c), cod. proc. pen., alla
1

OSSERVA

inammissibilità della impugnazione (Cass., Sez. I, 30 settembre 2004, Burzotta;
Cass., Sez. VI, 8 ottobre 2002, Notaristefano; Cass., Sez. IV, 11 aprile 2001,; Cass.,
Sez. IV, 29 marzo 2000, Barone; Cass., Sez. IV, 18 settembre 1997, Ahmetovic).
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 alla luce dei principi
affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagam nto delle spese
processuali e della somma di curo mille alla Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2015
Il Consi

estensore

dente

P. Q. M.

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