Sentenza Sentenza Cassazione Penale n. 26775 del 12/06/2015


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Penale Sent. Sez. 2 Num. 26775 Anno 2015
Presidente: ESPOSITO ANTONIO
Relatore: MACCHIA ALBERTO

Data Udienza: 12/06/2015

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
COLANGELO ANTONIO N. IL 31/03/1956
COLANGELO LUIGI N. IL 05/07/1984
avverso la sentenza n. 684/2012 CORTE APPELLO di BARI, del
27/01/2014
visti gli atti, la sentenza e il ricorso
udita in PUBBLICA UDIENZA del 12/06/2015 la relazione fatta dal
Consigliere Dott. ALBERTO MACCHIA
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott.
che ha concluso per
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Udito, per la parte civile, l’Avv
Udit i difensor Avv.
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Con sentenza del 27 gennaio 2014, la Corte di appello di Bari ha confermato la
sentenza pronunciata il 26 settembre 2011 dal Tribunale di Trani, con al quale
COLANGELO Antonio era stato condannato alla pena di anni due e mesi tre di
reclusione ed euro 1.500 di multa e COLANGELO Luigi alla pena di anni due e mesi
sei di reclusione ed euro 2.000 di multa quali imputati di truffa e ricettazione ed il
COLANGELO Luigi anche di calunnia.
Entrambi gli imputato propongono ricorso per cassazione. A proposito della
calunni contestata a COLANGELO Luigi si ribadiscono le doglianze già formulate in
appello circa il fatto che le deposizioni raccolte sulla vicenda non permetterebbero di
chiarire come e da chi fosse stata effettuata la consegna del titolo denunciato come
smarrito. Le medesime censure sono rinnovate anche in riferimento alla ricettazione
die titolo Tas Bank, visto che lo stesso era stato denunciato come smarrito assieme ad
altri in epoca successiva a quella in cui la persona offesa lo aveva ricevuto in
pagamento di merce. Non sussisterebbe, poi, il reato di triffa in quanto si tratterebbe
di un mero inadempimento contrattuale. Non sarebbe stato infine motivato l’aumento
di pena per la continuazione.
Il ricorso è palesemente inammissibile, in quanto il ricorrente si è limitato a
prospettare una alternativa ricostruzione dei fatti e delle responsabilità sulla base
esclusivamente di deduzioni in punto di fatto, per di più articolate in forza di
argomentazioni nella sostanza aspecifiche. I motivi proposti risultano, pertanto, solo
formalmente evocativi dei prospettati vizi di legittimità, ma in concreto l’enunciato
impugnatorio appare essere genericamente sviluppato sulla base di rilievi di merito,
tendenti ad una rilettura del compendio probatorio e ad una rivalutazione delle
relative statuizioni adottate dalla Corte territoriale. Statuizioni, per di più, sviluppate
sulla base di un esauriente corredo argomentativo, proprio sui punti (falsa denunci di
smarrimento dei titoli, con implicita accusa per il prenditore; artifici in relazione alle
modalità di apparente pagamento della merce, coinvolgimento di entrambi gli
imputati; valutazione attenta delle dichiarazioni testimoniali) in relazione ai quali il
ricorrente ha svolto le proprie censure, evidentemente tese ad un improprio riesame
del fatto, estraneo al perimetro entro il quale può svolgersi il sindacato riservato a
questa Corte. Le censure riguardanti la motivazione sulla pena oltre che non
specificamente dedotte in appello, sono palesemente infondate, essendo stata
motivatamente sviluppata la determinazione del trattamento sanzionatorio.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso segue la condanna dei ricorrenti
al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di
una somma che si stima equo determinare in euro 1.000,00 ciascuno alla luce dei
principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000.

P. Q.
1

OSSERVA

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento elle spese
processuali e ciascuno della somma di euro mille alla Cassa delle a
nde.
Così deciso in Roma, il 12 giugno 2015
estensore

Il Consig

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